Paesi di Calabria: Cetraro

 

Su un dorso collinare a 120 mt (s.l.m.) e a sud del fiume Aron, sulla costa tirrenica della provincia cosentina, troviamo Cetraro. Il suo toponimo deriverebbe, secondo alcuni, da “citra Aron” (al di qua dell’Aron) e secondo altri da “terra del cedro” per via dell’indigena produzione di questa pianta.Comunque sia, la storia e la genesi di Cetraro sono legate al mare perché l’antica Cyterium era città marinara come la mitica Lampetia, omonima della sua fondatrice, sorella di Fetonte, città magnogreca citata da Plinio, Polibio, P. Giovanni Fiore nella sua “Calabria Illustrata”, dal Marafioti, dal Barrio e altri.  Secondo quest’ultimo già dal 1200 in Cetraro era un fiorente arsenale regio dove si costruivano le navi da guerra e spesso era obiettivo di incursioni, come nel 1534, allorquando la nostra cittadina fu assalita ed incendiata dalla flotta di Solimano il Magnifico che “v’abbrugiò sette galeoni, non ancora finiti” (P. Giovanni Fiore). Oggi, da quelle origini, Cetraro resta un bel centro marinaro che ospita tante paranze e che continua le sue tradizioni. Ma non è solo mare, anzi. È antico centro di studi e sede di un rinomato Liceo e Convitto retto dai Benedettini. Questi vi giunsero nel 1086 e, come scrive il Fiore: “ vi restarono trattenuti dalla dolcezza del clima, dalla naturale bontà del popolo e dallo splendore del paesaggio” del luogo che Sichelgaita, moglie di Roberto il Guiscardo, donò in feudo ai Benedettini di Montecassino. Da questo momento, Cetraro restò alle dipendenze dei monaci di San Benedetto, fino all’abolizione del feudalesimo del 1806 e amministrata, quindi, da un Vicario benedettino che si era stabilito in uno dei palazzi del centro storico vicino alla chiesa di San Nicola. All’interno della vecchia Cetraro, tra i tanti angoli artistici e chiese, si deve visitare il complesso monastico del “Ritiro”, tenuto dai Domenicani prima e dai Gesuiti poi e del quale non se ne conosce l’epoca certa di fondazione, anche se alcuni elementi artistici derivanti dal chiostro e dal portale lo farebbero risalire al XV secolo. Comunque attorno al ‘700, chiesa e convento erano in forte attività e soppressi poi dai Francesi nel 1810. Due anni dopo, però, il Ritiro venne restituito ai fedeli che contribuirono alla ricostruzione voluta dal P. Predicatore Biagio Durante di Luzzi. Della vecchia ed illustre struttura del Ritiro rimane ben poco: la parte architettonica integra ben visibile è il portale e il chiostro. Il portale è in pietra tufacea di stile ogivale preceduto da tre gradini a semicerchio. All’interno è evidente il trittico marmoreo del Mazzolo che costituisce una grande pala d’altare che s’innalza a quattro paraste decorate e poggianti su basamenti architettonici. Al centro del trittico è collocata la statua in marmo della Madonna con Bambino in braccio, di scuola gagginiana, e nelle nicchie laterali sono conservate le statue di santi francescani. Tutta l’opera, di stile rinascimentale del sec. XVI, è attribuita a Giovambattista Mazzolo, carrarese e residente a Messina. Oggi Cetraro è importantissimo centro industriale con flotta peschereccia florida e buone industrie artigianali di cementi e laterizi. E poi…è centro di notevole turismo balneare che richiama curiosi e villeggianti da ogni dove ai quali si offre una bella spiaggia estesa per alcuni chilometri, tra due promontori che formano una bellissima scogliera che, tra l’altro, custodisce la “Grotta del Riccio".

  • Published in Cultura

Paesi di Calabria: il fantasma di Nardodipace vecchio abitato

C’è una credenza, un luogo comune, una non verità che presenta tutte le fattezza dell’autenticità. E’ opinione assai diffusa, infatti, che la Calabria sia solamente sole, mare e ‘ndrangheta. Vi è, invece, una Calabria profonda, nascosta, inesplorata non solo ai visitatori, ai turisti, ma agli stessi calabresi. Un mondo appartato, fatto di storie sconosciute, di umanità dolenti, tenaci, restie a lasciare la terra dei padri. Luoghi segnati dal tempo, erosi dalla modernità, sfigurati da terremoti o alluvioni.

Una Calabria antica, arroccatasi sui monti per sfuggire alle incursioni saracene ed alle insidie della malaria. Una Calabria fatta di agricoltori, pastori e poco altro. Una Calabria segnata dalla miseria, dall’abbandono, dall’emigrazione e dall’ansia del ritorno. Abbarbicata sulla vallata percorsa dalle acque dell’Allaro sorge Nardodipace Vecchio Abitato, una delle cinque frazioni che compongono quello che fino a qualche anno addietro era considerato il paese più povero d’Italia.

Poche case, una chiesa, un canale per l’approvvigionamento idrico che taglia trasversalmente il centro abitato. Un paese semi deserto, quasi fantasma, pochi abitanti, un pugno di vecchi pervicacemente attaccati al loro passato, a povere case devastate dalle alluvioni. Lungo il percorso le strette ed anguste stradine, adagiate sul margine di un precipizio, fanno pensare ai muli, agli asini, agli animali da soma che dovevano condurre alle fatiche dei campi umili contadini.

Lasciata l’auto che a fatica si è fatta strada sulla ripida e stretta salita, una donna stupita, quasi spaesata sembra chiedersi chi siamo, come siamo arrivati.

Nardodipace vecchia non è certo una località turistica, non ha neppure il vantaggio di sorgere in prossimità di una via di comunicazione, tanto meno di essere un borgo di passaggio. Al contrario è uno di quei luoghi che si raggiungono solamente se dotati di buona volontà. Non ci si arriva per caso, non ci si va senza un motivo, ma difficilmente si ha un motivo per andarci.

Presa la breve discesa che porta in paese due sole donne che, sotto il peso degli anni trascinano il loro abito nero, quello che le calabresi di un tempo indossavano per non svestirlo mai più, danno al paese una sembianza di vita. Intorno desolazione ed abbandono. Qualche vecchio balcone in ferro battuto con incise le iniziali arrugginite di un proprietario che non c’è più. La chiesa ritinteggiata stride fortemente in un contesto arcaico, per certi versi, ancestrale. Gli stretti vicoli, le porte basse, quasi lillipuziane, esercitano il loro mistero. Ogni stradina sembra avere un pezzo di storia da raccontare. Gli usci spalancati su povere stanze polverose parlano di promiscuità, di tempi in cui uomini, donne, vecchi, bambini, animali e cose si contendevano pochi metri, pur di trovare rifugio dai rigori del rigido inverno. Arnesi arrugginiti, solai in continua sfida con la forza di gravità, ammuffiti e maleodoranti pagliericci popolano dimore di un regno invisibile. Una, due, tre porte color pastello recano incisi disegni invano insidiati dal tempo. Un silenzio indolente, quasi molesto. Un’atmosfera diacronica, irreale, a tratti inverosimile.

Chiudere gli occhi, restare immobili, scrutare con l’udito e lasciarsi rapire dalle note del vento; tutti gesti innaturali capaci di suscitare sensazioni, emozioni che riaprono un’inattuale regione dello spirito.

Il lento, faticoso gracchiare di una vecchia Ape Piaggio rammenta impietoso però, che quello non è più un paese dell’Ottocento, anche se ne conserva tutta l’apparenza.

Eppure non è un luogo dove il tempo si è fermato, anzi. Si è mosso, inclemente, impetuoso, ne ha alterato la fisionomia, ha rapito le persone lasciandovi solamente i loro fantasmi. Uno spazio sul quale pesano i segni del declino, dell’abbandono e contro i quali sono ormai in pochi a lottare, a resistere. A dispetto del tempo e della desolazione, sopravvive latente una percettibile fascinazione, una segreta attrazione. Nardodipace, il vecchio Nardodipace quello segnato dalle alluvioni e dalle catastrofi, nonostante tutto, come ha scritto Vito Teti, rappresenta uno di quei «luoghi moribondi o già morti, ma anche metafora di una storia di dissoluzione e contemporaneamente della voglia di presenza e di resistenza delle popolazioni».  

  • Published in Cultura

La Calabria è la "miseria senza fantasia"

Nei giorni scorsi, tra le tante vecchie carte gelosamente custodite del mio modesto archivio librario, ho ripreso la copia di un articolo, datato 20 marzo 1958, a firma di Ugo La Malfa scritto per “La voce repubblicana” e titolato “La miseria di Cutro”. Mi piace, ora, riproporlo e trascriverlo fedelmente, senza ulteriore commento, pur consapevole che esso non sia più del tutto attuale e molto vicino alla realtà dei nostri giorni ma pur utile ad aprire un dibattito tra le coscienze attorno ai grandi temi di oggi che, fatte le debite proporzioni, riprendono le tinte di ieri.

 

Mimmo Stirparo

 

“Ha scritto Alfredo Todisco su La Stampa di giorni fa, a illustrazione di una sua inchiesta in Calabria, e dopo aver elogiato la riforma agraria, la bonifica, l’intervento della Cassa del Mezzogiorno, le seguenti impressionanti parole: “Un miglioramento, senza dubbio, vi è stato…La visione di Cutro, tuttavia, è ancora terribile. A Napoli la miseria, anche la più tetra, è sempre di uomini che conservano la scintilla dell’anima. Qui la miseria ha uno sfondo che ha perduto molto dell’umano. Senza canti, senza tradizioni artigiane, senza costumi particolari. Cutro è un paese abitato da un popolo di bambini scalzi e di cani randagi. Gli adulti sono sui campi, oppure aspettano un lavoro lungo la strada principale, seduti a terra, gli sguardi stupefatti. I cani di Cutro hanno lunghe orecchie penzolanti, sono tutti diversi gli uni dagli altri, offrono una varietà infinita di musi contraffatti e spiritati…A Cutro, forse il comune più depresso d’Italia, la natalità raggiunge uno dei tassi più elevati, il cinquanta per mille. Gli interni (delle case) sono ancora più tetri delle vie, se possibile. Pavimenti di terra battuta, cosparsi di foglie e di verdura. Il fuoco spesso si accende in un angolo dell’unica stanza, il fumo incrosta il muro di nero, esce dal tetto sconnesso. Nessuna meraviglia che in queste condizioni il tracoma e la tubercolosi infieriscano tra la popolazione del comune. Spingendo ancora più nell’interno del marchesato di Crotone, si traversano paesi che oltre a non avere acqua, luce, fognature, mancano persino del cimitero.” Ho citato queste parole per dimostrare come, a quasi dieci anni di distanza dalla riforma agraria, dall’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, da una politica di interventi statali, la situazione di molte zone d’Italia sia rimasta in uno stadio di miseria quasi inconcepibile. E non si tratta della sola Calabria o del solo Mezzogiorno. Si visitino molti Comuni montani dell’Umbria, delle Marche, della stessa Emilia, del Piemonte: il quadro non è differente. Vi è in corso una vasta e clamorosa polemica fra statalisti e antistatalisti. L’on. Malagodi, il senatore Sturzo, il ministro Pella, vantano i meriti della libertà economica e si proclamano fieri assertori dell’antistatalismo. Altri difendono lo statalismo o, almeno, si fanno propugnatori dell’intervento statale. Ma come è avvenuto che essendovi state, nel nostro Paese, fasi di libertà economica, a cui sono succedute cosiddette fasi di statalismo, essendo o non essendo esistiti l’IRI e l’ENI, essendovi stati al governo uomini della destra o della sinistra, democratici o totalitari, la sorte di Cutro sia rimasta la stessa? Che cosa ha fatto sì che la civiltà più elementare non abbia sfiorato Cutro, o altri Comuni che si trovano nella stessa tragica condizione di Cutro? Come è possibile che, nell’anno di grazia 1958, giornalisti come Todisco, facciano nel nostro Paese, che noi presumiamo essere di alta civiltà, constatazioni e rilievi che si possono tutt’al più riferire a miserrimi villaggi dell’Egitto, della Turchia o dell’India? Quale mai razza di collettività e di società è la nostra, che può mostrare, contemporaneamente, i grattacieli e le costose costruzioni edilizie di Milano e le miserie di Cutro? Come si può pretendere di far parte dell’Europa, della cosiddetta civiltà occidentale, e avere casi come quelli di Cutro, facendone oggetto di commossi e attoniti reportages giornalistici soltanto? Siamo alla vigilia di una battaglia elettorale. Possiamo forse sperare che la sorte di Cutro migliorerà nei prossimi cinque anni? L’on. Malagodi, il senatore Sturzo, il ministro Pella promettono di smantellare l’IRI o l’ENI, di fare tabula rasa dello statalismo, ma forse ci danno una soluzione qualunque del problema della miseria italiana? Lo statalismo imperversa e non si accorge di Cutro, ma se ne è accorta forse l’iniziativa privata in tutti questi anni? Lo Stato sperpera denaro in inutili cose, ma i grattacieli di Milano, ma i lussuosi cinematografi oggi in crisi, innegabili frutti dell’iniziativa privata, sono proprio utili in un Paese che mostra agli stranieri attenti e consapevoli, una desolazione e una miseria ancora tanto assurdamente diffuse? In verità, dopo i primi interventi del 1950, dopo gli entusiasmi e le polemiche intorno alla riforma agraria e alla Cassa del Mezzogiorno, la democrazia si è seduta. La fiamma si è spenta e il regime di oggi continua  l’andazzo di ieri, le tradizioni del fascismo o dello Stato liberale. Si continueranno a gettare centinaia di miliardi dell’iniziativa privata o dell’iniziativa pubblica in investimenti voluttuari o del tutto superflui o non commisurati alle necessità elementari del Paese. Ma all’orizzonte di Cutro non apparirà nulla di nuovo, come dieci anni, come cinquant’anni, come un secolo fa. È evidente che la nostra non è una civiltà degna di questo nome, se per civiltà s’intende una condizione di vita dignitosa ed omogenea. E’ evidente che senza un grande sforzo di disciplina, di austerità, di solidarietà, l’Italia non sarà mai un Paese occidentale e moderno. È evidente che solo lo Stato, affiancato dalle regioni, dai comuni, dall’iniziativa pubblica e privata, può portare a compimento un grandioso processo di redenzione di tutta la società nazionale. Ma vi è forse una qualsiasi indicazione politica che questo possa essere fatto nei prossimi anni? Vi è un impegno, una battaglia, un programma che dia qualche speranza? Dieci anni fa la democrazia aveva più sensibilità ai problemi della condizione storica e sociale del nostro Paese di quanta non ne abbia oggi. È questa la causa vera del generale malessere e di indubbia decadenza. Troveremo l’energia morale e le forze politiche necessarie ad un compito che sistematicamente una certa Italia ufficiale, sia di destra o di sinistra, statalista o antistatalista, democratica o totalitaria, trascura, occupandosi di ben più solidi interessi e di meno crude realtà? E quando governo e parlamento a Roma, ma alcuni liberi iniziativisti a Milano o a Torino, si accorgeranno che Cutro è in Italia e non nel centro dell’Africa?” (Ugo La Malfa)

 

  • Published in Cultura

Calabria ultima regione d’Europa: un motivo ci sarà!

Per cercare di capire le ragioni dell’arretratezza calabrese, andrebbe, forse, commissionato uno studio sul tempo. Non sul tempo inteso in senso meteorologico, bensì sulla percezione e sulla relazione che i calabresi hanno con il tempo inteso in senso cronologico. Forse, complice l’assenza nel loro dialetto del tempo futuro, i calabresi vivono in un eterno presente. Ma chi, nell’epoca dell’accelerazione dei processi storici, si ostina a considerare solo il presente finisce per vivere avvinghiato alle ragnatele del passato, senza mai conoscere la speranza dell’avvenire. L’ovvia conseguenza è che non si programma mai alcunché, non si fanno progetti per il futuro e ci si limita, tutt’al più, a gestire in maniera maldestra e sconclusionata le emergenze. Un modo di fare tipico della classe politica calabrese che, come altrove, rappresenta sempre lo specchio fedele di chi la esprime. Non è una questione di destra, sinistra o centro, la storia recente non aiuta certo a trovare grandi differenze tra orchestre che, pur avendo avuto la pretesa di essere diverse, hanno finito per suonare il medesimo spartito. Del resto, la tendenza a vivere in un diuturno presente implica che la storia si ripeta sempre allo stesso modo. Cambiano solo alcuni attori, ma il canovaccio rimane immutato. Così, come ogni anno, in prossimità dell’estate la Regione Calabria scopre che i depuratori calabresi non funzionano o funzionano male, con il risultato che i turisti che verranno a mettere a bagno le loro neghittosa membra nel mare calabrese rischieranno di trovare le acque un tantino opache. Peccato ci si ricordi del problema solo quando è ormai tempo di piantare l’ombrellone in riva al mare. E’ stato così, con Chiaravalloti, con Loiero e con Scopelliti. Per non essere da meno, Oliverio si è adeguato all’andazzo. Ieri, infatti, è stata data la notizia che la giunta regionale ha destinato alla depurazione otto milioni di euro da distribuire a cento comuni. Al netto dell’esiguità dell’importo, poco più di ottantamila euro in media per ogni ente, la notizia sarebbe in sé positiva se non fosse che rischia di non sortire alcun effetto concreto. In pratica, i comuni rivieraschi dovrebbero impiegare i fondi loro assegnati per attivare o potenziare i depuratori al fine di garantire un mare cristallino. In una regione in cui l’offerta turistica è orientata quasi esclusivamente alla risorsa marina, il provvedimento dovrebbe essere accolto dal plauso generale. Del resto, quanto la pulizia delle acque sia fondamentale per l’economia calabrese lo ha lasciato intendere lo stesso Oliverio il quale, commentando il provvedimento, ha dichiarato: “si tratta di una prima, concreta risposta ad un problema che riguarda l’inquinamento delle nostre acque marine. Una situazione che negli anni passati, è stata spesso oggetto di critica e che, probabilmente, è alla base del forte decremento delle presenze turistiche registrato nella nostra regione”. Consapevoli di questa verità, non si capisce, quindi, la ragione per la quale il governatore e la sua giunta abbiano disposto il finanziamento a distanza di sette mesi dalle elezioni regionali, tanto più che, allo stato, l’intervento rischia di essere inutile o quantomeno intempestivo. Trovandoci a metà giugno, infatti, il provvedimento non produrrà alcun effetto sulla stagione turistica in corso. Nella migliore delle ipotesi, i depuratori calabresi saranno a regime quando i turisti staranno partendo per la settimana bianca. L’iniziativa avrebbe dovuto essere attivata all’indomani dell’insediamento della nuova giunta, anche per un’altra ragione. I fondi impiegati provengono, infatti, dal FESR 2007-2013, cioè risorse che qualora non dovessero essere impegnate entro il prossimo 31 dicembre dovranno essere restituite  all’Unione europea. Per quanto paradossale, la vicenda non sorprende nessuno. Del resto se la Calabria è l’ultima regione d’Europa un motivo ci sarà!

  • Published in Diorama

Dodici motivi per non fare impresa in Calabria

Quella che segue è la lettera aperta indirizzata alla “classe dirigente” calabrese da Francesco Tassone, fondatore ed amministratore delegato della Personal Factory, ovvero una delle eccellenze industriali italiane che, a Simbario, in provincia di Vibo Valentia, produce “Origami”, un robot capace di trasformare i rivenditori di malte per l’edilizia in piccoli produttori.

Lettera aperta alla classe dirigente di questa regione. Cari di cui sopra vi chiedo un favore spiegateci perché dovremmo fare impresa in Calabria. Vorrei fare un breve e riduttivo elenco ad uso di qualche anima pia che voglia un giorno forse interessarsi dello sviluppo economico del territorio calabrese. Piuttosto che esibirsi in qualche piagnisteo televisivo a posteriori dopo che le aziende chiudono. Noi oggi siamo il più grosso insediamento industriale delle Serre Calabre con quattro sedi nel comune di Simbario. Produciamo tecnologia medio alta con quote di export fuori area euro prossime al 60%. Allo stesso tempo abbiamo uno dei 5 laboratori privati più grandi e meglio attrezzati di Italia Lo sapete che i costi per un’impresa del nostro tipo insediata nel nostro territorio sono minimo il 35% superiori a quelli della Brianza?

1. Siamo costretti ad avere una doppia sede con doppio affitto, doppio personale oltre che dover pagare decine di migliaia di euro per viaggi ed alberghi dei dipendenti che fanno la spola tra le due sedi. Questo perché commercialmente siamo irraggiungibili dai clienti. A questo si aggiunge la beffa di una compagnia di bandiera che riduce i voli facendo esplodere i costi. Fossimo in un’isola almeno godremmo di qualche agevolazione ma purtroppo siamo solo isolati.

2. Vi rendete conto che siamo senza strade. Anche i vicini nord africani hanno infrastrutture migliori. L’unica infrastruttura stradale importante a livello regionale è un’autostrada interrotta per tempo indefinito con passaggio di autotreni per paesini di montagna con costi logistici esplosi. Per un’impresa ligure, emiliana, veneta etc., importare un container dalla Cina, Brasile, Germania costa 800 dollari, spedirlo dal sud Italia 1500. A questo si aggiunge una viabilità interna da cordigliera delle Ande, con strade ad una carreggiata invase dalla quella che ormai è diventata una giungla con buche profonde decine di centimetri. Solo nelle ultime quattro settimane abbiamo avuto ben 8 pneumatici danneggiati, mezzi fermi per recuperi etc. Con la beffa di una superstrada a 100m dall’azienda (la tristemente famosa trasversale delle serre) in costruzione penso dal 1965

3. Ma ci sono i treni. Visto che Trenitalia per tutte le regioni del sud dedicherà in investimenti ben il 2% del totale degli investimenti. Questo nonostante il notevole ritardo del Sud ed un’alta velocità ed un trasporto locale inesistenti.

4. Ma noi puntiamo sulla digital economy. Peccato che nel nostro comune il costo per banda sia tra le 15 e le 20 volte superiori alle grosse metropoli e dove un’intera area PIP è da 2 settimane senza connessione telefonica causa cavo interrotto con un costo per noi di circa 900€ giorno causa alcuni macchinari fermi. Tanto perché abbiamo deciso di puntare sul cloud Manufacturing. Vorrei sapere se Telecom fa aspettare lo stesso tempo il bellissimo km rosso di Bergamo o le altre aree produttive italiane.

5. Benvenuti nel far west fiscale. Come si ripianano i dissesti comunali provinciali, regionali etc.? Semplice portando tutte le addizionali ai massimi consentiti dalla legge. Il risultato un capannone costruito nella zona di cui sopra dove i terreni e le tasse dovrebbero essere gratis paga (con questi eccellenti livelli si servizio) di più rispetto a trovarsi su uno svincolo della tangenziale di Milano o fronte autostrada del sole. Idem la tassazione sul lavoro etc.

6. Ma esiste la leggenda che il lavoro costa poco. Bene provate a convincere manager e figure tecniche di medio/alto livello con esperienza di almeno 15 anni a lavorare a Simbario e valutate quanto bisogna pagarli per convincerli al trasloco non meno di 30% in più rispetto ad un concorrente lombardo o veneto oltre a benefit da zona disagiata. Certo facessimo call center troveremmo migliaia di giovani neolaureati a lavorare quasi gratis. Ma purtroppo produciamo alta tecnologia dove per crescere in fretta servono competenze ed esperienza.

7. Agevolazioni per l’occupazione queste sconosciute. Se tu impresa calabrese vuoi assumere una figura di basso profilo con competenze basse, magari disoccupata cronica ecco che la regione e lo Stato si mobilitano per farti pagare pochissimo una persona che comunque pagheresti molto poco. Quindi ecco che il modello call center continua a pagare. Ma se devi assumere buoni ingegneri ecco che l’aiuto concesso equivale a zero euro. Peccato che lo sviluppo locale aumenta più con il secondo profilo che con il primo. Risultato dalla nostra apertura zero aiuti.

 8. Ma il bello viene con l’export. Se fossimo un’azienda marchigiana, piemontese, lombarda, veneta etc. ecco che camere di commercio, province, regioni, agenzie per lo sviluppo si mobilitano per facilitarti il più possibile la presenza a fiere internazionali. Pur avendo ottime fiere a pochi km dai cancelli dell’azienda. Se invece sei made in Calabria ti paghi tutto da solo in compenso puoi scegliere tra decine di corsi in cui persone che non hanno mai venduto neanche un bullone ti spiegano come si esporta. Risultato ad ogni fiera in giro per il mondo i nostri vicini di stand italiani spendono 30-40.000 euro in meno rispetto a quello che spendiamo noi. Moltiplicato per 5 fiere all’anno parliamo di un extra costo di 200.000 euro rispetto ad essere nella famosa Italia di serie A.

9. Ma ecco gli aiuti industriali. Finalmente riusciamo ad avere un aiuto di natura industriale. Che vuol dire riuscire ad avere un mutuo al 4% cioè il tasso di mercato. Quindi noi imprenditori calabresi dobbiamo ringraziare l’aiuto pubblico se riusciamo ad avere un mutuo il cui tasso è a valori di mercato perché dobbiamo ritenerci fortunati ed aiutati se una banca ci presta soldi.

10. Per non parlare della burocrazia. Dove i soldi delle nostre tasse vengono usati per pagare un esercito di imboscati negli uffici pubblici il cui lavoro consiste nel incasinare e trattare con sufficienza il lavoro delle imprese. Nel nostro caso vuol dire un anno e mezzo per un certificato antimafia durante il quale si hanno i mezzi di trasporto bloccati oppure vuol dire che dipendenti di lingua russa (il cui lavoro è quello di farci da commerciali) restino bloccati ogni anno per 6 mesi causa rinnovi permessi di soggiorno. Soluzione basta trasferirli a Milano ed in pochi giorni hanno il definitivo. Ma vuol dire anche pagare, probabilmente a livello mondiale le più alte patrimoniali sui rifiuti (visto che si paga al mq) con il divieto di poterne conferire e dover pagare a sua volta società private per lo smaltimento. Con in più l’onere di controllare se realmente possono operare altrimenti ti prendi una bella accusa penale.

11. Meno male che ci pensa il mercato locale ad aiutarti. Anche qui meglio importare che comprare locale ed ecco che i capitolati sono ad uso e consumo di aziende del nord, quando anche da una semplice analisi di impatto ambientale (a parità di costo se non inferiore) conviene comprare a km zero. Ed è anche legale visto che i punteggi per la certificazione verde leed sono usati in molte regioni. Eppure basta guardare i capitolati per il ripristino e costruzione di scuole, caserme, uffici vari per vedere cosa suggeriscono. Lo scorso anno il nostro fatturato in regione è stato del 3% sul totale.

12. Ma ecco un territorio a basso costo ideale per i giovani. Peccato che nelle centinaia di ruderi abbandonati per motivi elettorali risultano residenti centinaia di persone emigrate ormai da generazioni e che approfittano della residenza per percepire aiuti da braccianti agricoli e pensioni. Risultato che giovani coppie si vedono chiedere decine di migliaia di euro per delle baracche. Idem per i terreni i cui prezzo sono assolutamente senza senso. Lì la tassazione che sulla improduttività dovrebbe essere feroce è zero. Cari politici sinceramente vorrei che nelle programmazione dei fiumi di miliardi comunitari (che mediamente non siete in grado di spendere) prendeste in esame almeno qualche punto. Piuttosto che preoccupavi di accumulare posti di lavoro inutili che servono sono per uno squallido assistenzialismo ed un bacino di voto di scambio. Perché come dimostriamo in Calabria si può operare. Il problema è che cominciamo a sembrare degli emeriti coglioni che lavorano 7 giorni su 7 365 giorni all’anno non per crescere a tripla cifra quale è il nostro potenziale ma per sopravvivere. Ed ancora mi rivolgo ai nostri corregionali. Quanti dei vostri risparmi sono stati investiti sui territori, nel lanciare attività produttive, nel ristrutturare case, nel riprendere le coltivazioni sui terreni spesso di proprietà. E’ facile lamentarsi e fare interminabili e stucchevoli piagnistei pretendendo che l’economia cresca con i soldi degli altri. Dal territorio ad ogni occasione si spreme sono squallido assistenzialismo per poi magari con quei soldi comprarsi la rendita romana o milanese. Pensate veramente che il motivo per cui in Calabria non nascono grandi aziende sia per idiozia ed incapacità dei suoi imprenditori oppure frutto di un sistema che crea una selezione naturale al ribasso dove i vincitori sono i “prenditori” prosperano truffando Stato e dipendenti.

 Fondatore ed amministratore delegato della Personal Factory SpA

 

  • Published in Diorama

La Calabria, ovvero la montagna sospesa sul mare PARTE PRIMA

 Fino agli anni passati ed ancora oggi fare turismo in Calabria significava e significa solo mare. Sulle coste ioniche e tirreniche sono venuti a formarsi diversi poli urbani a forte concentrazione prevalentemente balneare fino a costituire conurbazione lineare: insomma la Calabria è diventata sinonimo di mare. Si è trascurato il fatto che la nostra regione al suo interno è caratterizzata dalla montagna. Ecco alcuni dati: la superficie totale è di km 15080 e ben il 42 % è occupata da territorio montano, il 49 % è collinare e solo il 9 % è costituito da pianura. Inoltre ben 387 comuni dei complessivi 409 hanno fatto la loro storia sugli altipiani collinari e montuosi. È evidente che la Calabria è una regione montuosa, da sempre “gran bosco d’Italia”. I Greci conoscevano la Sila e i Romani la chiamarono “silva” per non confonderla col “nemus” il sacro bosco delle divinità. Per Virgilio fu “magna” nelle Georgiche ed addirittura “ingens” nell’Eneide. Fu menzionata dai più illustri geografi come Strabone, Plinio e Cicerone nel “Brutus” parla di “silva sila”. Oggi le carte la distinguono in: greca, grande e piccola. La Sila greca prende nome dagli insediamenti albanesi dei secoli XV e XVI, basta pensare, per ciò, ai centri abitati di Rota Greca, Vaccarizzo Albanese, Spezzano Albanese, Lungro ed altri. La Sila grande, che poi è il cuore di tutta la regione calabrese, è detta anche “badiale” dalle donazioni operate da Enrico VI a Gioacchino da Celico e soprattutto al suo Ordine Florense; è nomata anche “demaniale” grazie all’editto di Roberto d’Angiò che ne fissò i limiti con quella badiale. E poi la Sila Piccola, ma piccola solo per altitudine, che comprende i territori ricadenti nella provincia madre di Catanzaro con i comuni di  Taverna, Zagarise, Belcastro, Serrastretta e le località turistiche di Villaggio Mancuso e Villaggio Recise, e altri territori che appartengono oggi alla nuova provincia di Crotone come Savelli, Cotronei, e Villaggio Palumbo con Trepidò entrambi terre cotronellare. Percorriamo insieme questo itinerario storico – naturalistico- culturale e turistico dal mare verso l’alta montagna. Oggi vi è la superstrada a scorrimento veloce che, da Crotone, ci porta già a Camigliatello in poco meno di un’ora. È una strada – scrive A. Delfino – che “scorre superba sulle cime degli alberi, in arditi viadotti cancellando la tormentata orografia. Le strade costruite dai Borboni e poi imbellettate dal nuovo stato unitario, disegnate fra le groppe delle colline dirute, sembrano nastri sottili buttati alla rinfusa da un dispettoso folletto.” Certo i disagi non erano pochi, fino a qualche anno fa, se si pensa che per raggiungere Cosenza dalla città di Pitagora si attraversava una miriade di paesi come San Mauro Marchesato, Scandale, Santa Severina, Cotronei ed altri ancora più all’interno. Insomma ci volevano ben due giorni di cammino e su vecchie corriere e traini. Arriviamo a San Giovanni in Fiore che deve la sua esistenza all’Abate Gioacchino nativo della vicina Celico, detto poi “da Fiore” fondatore dell’Ordine monastico florense. Più avanti continuando a salire tra fitte abetaie e pinete raggiungiamo Camigliatello Silano, tra le più importanti e attrezzate stazioni turistiche soprattutto per gli sports invernali e sede del Parco Letterario “Old Calabria” nella vecchia torre di Camigliati. Tra questa località, Silvana Manzio, Lorica, Moccone, il Gariglione, i grandi laghi Cecita, Arvo e Ampollino ed oltre ancora ci troviamo nel bel mezzo del grande Parco Nazionale della Calabria. Ci inoltriamo fino al bosco del Filastro, regno indiscusso del “re pino”. Qui, infatti, c’è ancora un bel gruppo di pini, “i giganti della Sila” che si fanno risalire addirittura al 1430. Qui regna il famoso “pino laricio” o “loricato” che è un po’ quello che rimane della foresta primigenia. Il pino silano è una delle quattro razze che appartengono alla grande famiglia del pino nero, “pinus nigra” ed ha una vecchia storia che risale al terziario, insomma prima dell’uomo. Il suo legno è servito agli indigeni bruzi per difendersi dalle intemperie e dal nemico; i colonizzatori magnogreci lo portavano fino a Crotone utilizzando la corrente del Neto e sul Tirreno attraverso la breve strada dell’istmo di Marcellinara; i Romani lo utilizzarono in abbondanza per costruirvi le galee; ed ancora è servito per le volte delle austere basiliche romane e per la Cappella Sistina e non ultimo fu utile per ricavare la resina. E la Sila non è solo alberi e pini. È una sorta di pianeta  ancora incontaminato: gigli rossi, bucaneve, giunchiglie, viole mammole, orchidee nane, narcisi, semi di anice e la belladonna e la genziana ed altre piante medicinali e le innumerevoli specie di funghi e poi quel verdeggiante ed odoroso muschio tanto caro a bambini ed adulti che lo apprezzano per abbellire i presepi. E la Sila è anche il regno dell’acqua, data l’alta piovosità e l’innevamento. Qui nel 1927 si sono creati  i tre citati bacini di Cecita, Arvo e Ampollino che fanno produrre tanta energia idroelettrica nelle grandi centrali in territorio di Cotronei e sono di grande richiamo per la pesca sportiva e per gli sports nautici.

CONTINUA/1

  • Published in Cultura

Orsomarso (Fi): "Sugli sbarchi, la Calabria non è nella condizione di gestire l'emergenza"

Sugli sbarchi dei migranti la  Regione ascolti il grido d'allarme del sindaco di Corigliano Geraci e intervenga sul Governo. La Calabria - afferma Fausto Orsomarso, presidente del Gruppo misto -  terra di storica tradizione di solidarietà e accoglienza, non è nelle condizioni di gestire senza un supporto concreto  un evento così straordinario oltre che drammatico. Il grido d'allarme dell'on. Giuseppe Geraci, sindaco di Corgiliano Calabro che in via ordinaria dovrebbe essere impegnato nel governo della sua città salvata con un gran lavoro della sua squadra da un annunciato dissesto, non può più restare inascoltato o sottovalutato. Geraci - aggiunge Orsomarso - in questi giorni, anche nelle riunioni in prefettura, ha sottolineato come Corigliano non possa reggere economicamente oltre che logisticamente gli sbarchi.  Ha anche evidenziato come sia difficile poter pensare alla programmazione che riguarda Corigliano e il suo futuro mentre si è invece impegnati quotidianamente a gestire il problema sbarchi. Credo che Oliverio e tutto il Consiglio regionale debbano occuparsi di quello che accade in Calabria chiedendo al Governo Renzi un supporto più adeguato e una strategia che tenga conto prioritariamente di Calabria e Sicilia rispetto alle quali si prevede una intensificazione costante di sbarchi”.

Amministrative in Calabria, alle 12 ha votato il 16,76% degli aventi diritto

Sfiora quasi il 17 % l’affluenza al voto, rilevata alle 12, nei sessanta comuni calabresi chiamati a rinnovare gli organi amministrativi. La provincia che ha fatto registrare la percentuale più alta è quella di Crotone (22,09), seguita da Vibo Valentia (18,85), Reggio Calabria (16,46), Cosenza (16,24) e Catanzaro (16,05). Per quanto riguarda, invece, i centri con popolazione superiore ai 15 mila abitanti è stata Vibo Valentia la città che ha fatto registrare la maggiore partecipazione dei cittadini. Alle 12, infatti, si era recato alle urne il 20,72% degli aventi diritto. Poco più bassa la percentuale registrata a Gioia Tauro dove ha votato il 19,39% del corpo elettorale. Più contenuta l’affluenza a Siderno (16,27%), Castrovillari (16,15%) e Lamezia Terme (15,25%). Sembrano piuttosto disinteressati, invece, gli elettori di San Giovanni in Fiore che nella prima fase delle operazioni di voto hanno sostanzialmente disertato i seggi. Nel popoloso centro della Sila, infatti, alle 12 aveva votato soltanto l’11,66% degli aventi diritto.

Subscribe to this RSS feed