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Simbario, anziano cade e sbatte la testa: vivo per miracolo

Grande paura a Simbario dove, nelle prime ore di oggi, un anziano F.U. e' caduto rovinosamente dalle scale esterne della propria abitazione situata in via G.B. Ceraso,  battendo violentemente la testa.A trovare l'uomo riverso in una pozza di sangue alcuni parenti che hanno immediatamente allertato i soccorritori. Giunti sul posto, i sanitari del 118, dopo aver effettuato una medicazione, hanno trasportato l'anziano presso il nosocomio di Serra San Bruno. Inizialmente le condizioni del malcapitato sembravano essere particolarmente gravi, tanto che era stato allertato l’elisoccorso. Fortunatamente la situazione si e' rivelata meno grave di quanto non si fosse ipotizzato in un primo momento è l'uomo ha ricevuto le cure del caso presso l'ospedale di Serra.

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Dodici motivi per non fare impresa in Calabria

Quella che segue è la lettera aperta indirizzata alla “classe dirigente” calabrese da Francesco Tassone, fondatore ed amministratore delegato della Personal Factory, ovvero una delle eccellenze industriali italiane che, a Simbario, in provincia di Vibo Valentia, produce “Origami”, un robot capace di trasformare i rivenditori di malte per l’edilizia in piccoli produttori.

Lettera aperta alla classe dirigente di questa regione. Cari di cui sopra vi chiedo un favore spiegateci perché dovremmo fare impresa in Calabria. Vorrei fare un breve e riduttivo elenco ad uso di qualche anima pia che voglia un giorno forse interessarsi dello sviluppo economico del territorio calabrese. Piuttosto che esibirsi in qualche piagnisteo televisivo a posteriori dopo che le aziende chiudono. Noi oggi siamo il più grosso insediamento industriale delle Serre Calabre con quattro sedi nel comune di Simbario. Produciamo tecnologia medio alta con quote di export fuori area euro prossime al 60%. Allo stesso tempo abbiamo uno dei 5 laboratori privati più grandi e meglio attrezzati di Italia Lo sapete che i costi per un’impresa del nostro tipo insediata nel nostro territorio sono minimo il 35% superiori a quelli della Brianza?

1. Siamo costretti ad avere una doppia sede con doppio affitto, doppio personale oltre che dover pagare decine di migliaia di euro per viaggi ed alberghi dei dipendenti che fanno la spola tra le due sedi. Questo perché commercialmente siamo irraggiungibili dai clienti. A questo si aggiunge la beffa di una compagnia di bandiera che riduce i voli facendo esplodere i costi. Fossimo in un’isola almeno godremmo di qualche agevolazione ma purtroppo siamo solo isolati.

2. Vi rendete conto che siamo senza strade. Anche i vicini nord africani hanno infrastrutture migliori. L’unica infrastruttura stradale importante a livello regionale è un’autostrada interrotta per tempo indefinito con passaggio di autotreni per paesini di montagna con costi logistici esplosi. Per un’impresa ligure, emiliana, veneta etc., importare un container dalla Cina, Brasile, Germania costa 800 dollari, spedirlo dal sud Italia 1500. A questo si aggiunge una viabilità interna da cordigliera delle Ande, con strade ad una carreggiata invase dalla quella che ormai è diventata una giungla con buche profonde decine di centimetri. Solo nelle ultime quattro settimane abbiamo avuto ben 8 pneumatici danneggiati, mezzi fermi per recuperi etc. Con la beffa di una superstrada a 100m dall’azienda (la tristemente famosa trasversale delle serre) in costruzione penso dal 1965

3. Ma ci sono i treni. Visto che Trenitalia per tutte le regioni del sud dedicherà in investimenti ben il 2% del totale degli investimenti. Questo nonostante il notevole ritardo del Sud ed un’alta velocità ed un trasporto locale inesistenti.

4. Ma noi puntiamo sulla digital economy. Peccato che nel nostro comune il costo per banda sia tra le 15 e le 20 volte superiori alle grosse metropoli e dove un’intera area PIP è da 2 settimane senza connessione telefonica causa cavo interrotto con un costo per noi di circa 900€ giorno causa alcuni macchinari fermi. Tanto perché abbiamo deciso di puntare sul cloud Manufacturing. Vorrei sapere se Telecom fa aspettare lo stesso tempo il bellissimo km rosso di Bergamo o le altre aree produttive italiane.

5. Benvenuti nel far west fiscale. Come si ripianano i dissesti comunali provinciali, regionali etc.? Semplice portando tutte le addizionali ai massimi consentiti dalla legge. Il risultato un capannone costruito nella zona di cui sopra dove i terreni e le tasse dovrebbero essere gratis paga (con questi eccellenti livelli si servizio) di più rispetto a trovarsi su uno svincolo della tangenziale di Milano o fronte autostrada del sole. Idem la tassazione sul lavoro etc.

6. Ma esiste la leggenda che il lavoro costa poco. Bene provate a convincere manager e figure tecniche di medio/alto livello con esperienza di almeno 15 anni a lavorare a Simbario e valutate quanto bisogna pagarli per convincerli al trasloco non meno di 30% in più rispetto ad un concorrente lombardo o veneto oltre a benefit da zona disagiata. Certo facessimo call center troveremmo migliaia di giovani neolaureati a lavorare quasi gratis. Ma purtroppo produciamo alta tecnologia dove per crescere in fretta servono competenze ed esperienza.

7. Agevolazioni per l’occupazione queste sconosciute. Se tu impresa calabrese vuoi assumere una figura di basso profilo con competenze basse, magari disoccupata cronica ecco che la regione e lo Stato si mobilitano per farti pagare pochissimo una persona che comunque pagheresti molto poco. Quindi ecco che il modello call center continua a pagare. Ma se devi assumere buoni ingegneri ecco che l’aiuto concesso equivale a zero euro. Peccato che lo sviluppo locale aumenta più con il secondo profilo che con il primo. Risultato dalla nostra apertura zero aiuti.

 8. Ma il bello viene con l’export. Se fossimo un’azienda marchigiana, piemontese, lombarda, veneta etc. ecco che camere di commercio, province, regioni, agenzie per lo sviluppo si mobilitano per facilitarti il più possibile la presenza a fiere internazionali. Pur avendo ottime fiere a pochi km dai cancelli dell’azienda. Se invece sei made in Calabria ti paghi tutto da solo in compenso puoi scegliere tra decine di corsi in cui persone che non hanno mai venduto neanche un bullone ti spiegano come si esporta. Risultato ad ogni fiera in giro per il mondo i nostri vicini di stand italiani spendono 30-40.000 euro in meno rispetto a quello che spendiamo noi. Moltiplicato per 5 fiere all’anno parliamo di un extra costo di 200.000 euro rispetto ad essere nella famosa Italia di serie A.

9. Ma ecco gli aiuti industriali. Finalmente riusciamo ad avere un aiuto di natura industriale. Che vuol dire riuscire ad avere un mutuo al 4% cioè il tasso di mercato. Quindi noi imprenditori calabresi dobbiamo ringraziare l’aiuto pubblico se riusciamo ad avere un mutuo il cui tasso è a valori di mercato perché dobbiamo ritenerci fortunati ed aiutati se una banca ci presta soldi.

10. Per non parlare della burocrazia. Dove i soldi delle nostre tasse vengono usati per pagare un esercito di imboscati negli uffici pubblici il cui lavoro consiste nel incasinare e trattare con sufficienza il lavoro delle imprese. Nel nostro caso vuol dire un anno e mezzo per un certificato antimafia durante il quale si hanno i mezzi di trasporto bloccati oppure vuol dire che dipendenti di lingua russa (il cui lavoro è quello di farci da commerciali) restino bloccati ogni anno per 6 mesi causa rinnovi permessi di soggiorno. Soluzione basta trasferirli a Milano ed in pochi giorni hanno il definitivo. Ma vuol dire anche pagare, probabilmente a livello mondiale le più alte patrimoniali sui rifiuti (visto che si paga al mq) con il divieto di poterne conferire e dover pagare a sua volta società private per lo smaltimento. Con in più l’onere di controllare se realmente possono operare altrimenti ti prendi una bella accusa penale.

11. Meno male che ci pensa il mercato locale ad aiutarti. Anche qui meglio importare che comprare locale ed ecco che i capitolati sono ad uso e consumo di aziende del nord, quando anche da una semplice analisi di impatto ambientale (a parità di costo se non inferiore) conviene comprare a km zero. Ed è anche legale visto che i punteggi per la certificazione verde leed sono usati in molte regioni. Eppure basta guardare i capitolati per il ripristino e costruzione di scuole, caserme, uffici vari per vedere cosa suggeriscono. Lo scorso anno il nostro fatturato in regione è stato del 3% sul totale.

12. Ma ecco un territorio a basso costo ideale per i giovani. Peccato che nelle centinaia di ruderi abbandonati per motivi elettorali risultano residenti centinaia di persone emigrate ormai da generazioni e che approfittano della residenza per percepire aiuti da braccianti agricoli e pensioni. Risultato che giovani coppie si vedono chiedere decine di migliaia di euro per delle baracche. Idem per i terreni i cui prezzo sono assolutamente senza senso. Lì la tassazione che sulla improduttività dovrebbe essere feroce è zero. Cari politici sinceramente vorrei che nelle programmazione dei fiumi di miliardi comunitari (che mediamente non siete in grado di spendere) prendeste in esame almeno qualche punto. Piuttosto che preoccupavi di accumulare posti di lavoro inutili che servono sono per uno squallido assistenzialismo ed un bacino di voto di scambio. Perché come dimostriamo in Calabria si può operare. Il problema è che cominciamo a sembrare degli emeriti coglioni che lavorano 7 giorni su 7 365 giorni all’anno non per crescere a tripla cifra quale è il nostro potenziale ma per sopravvivere. Ed ancora mi rivolgo ai nostri corregionali. Quanti dei vostri risparmi sono stati investiti sui territori, nel lanciare attività produttive, nel ristrutturare case, nel riprendere le coltivazioni sui terreni spesso di proprietà. E’ facile lamentarsi e fare interminabili e stucchevoli piagnistei pretendendo che l’economia cresca con i soldi degli altri. Dal territorio ad ogni occasione si spreme sono squallido assistenzialismo per poi magari con quei soldi comprarsi la rendita romana o milanese. Pensate veramente che il motivo per cui in Calabria non nascono grandi aziende sia per idiozia ed incapacità dei suoi imprenditori oppure frutto di un sistema che crea una selezione naturale al ribasso dove i vincitori sono i “prenditori” prosperano truffando Stato e dipendenti.

 Fondatore ed amministratore delegato della Personal Factory SpA

 

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I “ceravolari”, ovvero gli incantatori di serpenti delle Serre

Erano figure a metà strada tra il santone ed il saltimbanco. La loro, era un’esistenza itinerante, erratica. Personaggi strani, sospesi tra inferno e paradiso, tra dio ed il demonio. Si aggiravano per le fiere con il loro bizzarro bagaglio, un contenitore in legno di forma cilindrica nel quale trasportavano i loro “attrezzi” del mestiere.

CERAVOLARI E SAMPAOLARI

Chi erano, cosa facessero, come vivessero, lo sapevano bene a Simbario dove avevano il loro regno, erano i “ceravolari” o “sampaolari”. Nella gran parte dei casi, erano astuti contadini cui la credenza popolare aveva assegnato una funziona quasi sacrale. Era a loro, infatti, che ci si rivolgeva per trovare sollievo da una malattia o per propiziare un evento positivo, come un raccolto abbondante. La figura del “ceravolaro”, per certi aspetti, rappresentava un elemento caratterizzante del piccolo centro delle Serre, al punto che, il sacerdote Bruno Maria Tedeschi, nella sua relazione contenuta nel Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato – Distretto di Monteleone di Calabria, pubblicato nel 1859, riferendosi a Simbario,  nel paragrafo riservato ai “pregiudizi e false credenze”, così si esprimeva: “Ciò che v’ha di particolare in questa materia, consiste nella credenza ai così detti Ceravolari, o Sampaolari […] Costoro sono dei contadini impostori, i quali per traffico di lucro presso la credula gente, vanno spacciando rimedii misteriosi e sicuri per guarire le più ostinate malattie, e per assicurare la prosperità dei raccolti e degli armenti. Siffatti ciurmadori camminano armati d’una scatola, con dentro alcune vipere vive, alle quali tolgono anticipatamente i denti incisori, e per meglio ingannare, scherzano coi modi più strani con quei rettili, da cui si dicono rispettati in forza di magia. In questo modo fanno la rivista delle mandre, ed esigono dei contributi, che vengono somministrati con massima sollecitudine. Per curare le malattie, praticano alcuni bizzarri riti, e tra gli altri quello da loro detto Messa di S. Paolo, che si fanno pagare senza scrupolo di ledere le tasse, o cadere in reato di simonia. Una tal sorta di Messa si riduce alla recita di alcune preci sacre, guaste e monche, e mescolate di altre formole bizzarre di un linguaggio furfantinesco, fatta da tre persone stranamente vestite di cappuccio, e accoccolate in terra, facendo gesti e smorfie nel più grottesco modo del mondo ora simulando deliquio, ora imitando i moti d’un epilettico … la plebe che viene da essi corbellata si guarda bene di farne oggetto di criminazione presso la giustizia”.

I SERPENTI E LE FIERE

I “sampaolari” erano una sorta di “incantatori” di serpenti, ma non solo. Catturavano i rettili, gli estraevano i denti o il veleno e li portavano in giro per le fiere. Il loro peregrinare iniziava, solitamente, a fine aprile e continuava per tutta l’estate. Il periodo d’attività era, inevitabilmente, legato alla disponibilità della materia prima che, come ricordava un vecchio adagio, “li nimbi di marzu risbigghianu li serpi e ntra aprili cchiù guardi e cchiù ndi vidi”, iniziava a rendersi disponibile in primavera.

Con il primo sole, quindi, prendevano il via “rappresentazioni”. Nelle piazze più frequentate, soprattutto in occasione delle feste, non era insolito imbattersi nella figura del “sampaolaro” che  faceva scorrere sul suo corpo un serpente. Lo metteva nella manica della camicia per farlo uscire da dietro il colletto, un collaudato canovaccio che richiamava un numeroso pubblico che, ogni volta, assisteva con curiosità e diffidenza allo stravagante spettacolo. L’esibizione in piazza, però, costituiva soltanto una parte dell’attività.

Come ricorda Cesare Mulè, in “Catanzaro e le Serre”, “i ceravoli (o sampaolari) vecchi rugosi dagli occhi di fiamma girano per le montagne e le fiere portando in scatole e cassettine vipere e serpi alle quali è stato beninteso sottratto il veleno. In cambio di poche lire sono pronti a dare ricette magiche, rimedi, cataplasmi, suffumigi. Talvolta recitano la cosiddetta “messa di San Paolo”, un misto di preghiere smozzicate e senza senso e di formule magiche”. La scelta di esibirsi con un serpente, non era casuale, poiché richiamava i numerosi santi ritenuti miracolosamente capaci di dominare le serpi, da san Paolo ai santi Cosma e Damiano; da san Foca, fino a san Vito. Che ci fosse un rapporto diretto, tra la religiosità popolare ed i “sampaolari” lo si deduce, inoltre, dal nome che rimanda all’episodio secondo il quale, trovandosi a Malta, “san Paolo, nel gettare nel fuco un fascio di sarmenti, fu assalito dal morso di un serpe velenoso e né uscì immune, dando così prova del suo potere di dominazione sui serpenti”.

I CERAVOLARI

La seconda denominazione, “ceravolari”, molto probabilmente si riferisce alla loro seconda natura. “Ceravolaro”, con una buona dose di certezza, deriva da “cerretano”, ovvero l’abitante della cittadina umbra di Cerreto. Proprio dal centro spoletino potrebbero aver preso uno dei due nomi i “sampaolari”. Come testimoniano gli statuti della cittadina umbra, dopo la “peste nera”  del 1348 – 49, i cerretani erano stati autorizzati a raccogliere la questua a favore dell’ordine del Beato Antonio, impegnato nella cura degl’infermi. Giorgio Cosmacini, nel suo “Ciarlataneria e medicina, cure, maschere, ciarle”, evidenzia che la funzione dei cerretani degenerò ed i pellegrini questuanti lasciarono il posto ai truffatori che approfittando della credulità popolare andavano in giro a vendere unguenti “miracolosi”. Tra i “cerratani”, ricorda Gentilcore in “Malattia e guarigione, ciarlatani, guaritori e seri professionisti”, coloro i quali esercitavano il maggior fascino sulle persone erano gli “ incantatori di serpenti”. In realtà erano molto di più di semplici “incantatori", poiché “davano antidoti contro malattie, contro morsicature di serpente, o di altri animali velenosi”. Si comprende, quindi, il motivo della loro diffusione e della loro popolarità, soprattutto nel mondo contadino dove l’incontro ravvicinato con i serpenti rappresentava una situazione tutt’altro che infrequente. Tuttavia, a dare i natali agli “incantatori” di serpenti sarebbero stati i marsi, l’antica popolazione stanziata in Abruzzo, i cui discendenti vagavano per l’Italia centro meridionale, accompagnati dai rettili che facevano scivolare sul loro corpo. Un’esibizione simile, se non addirittura uguale, a quella dei “sampaolari” i quali, però, potrebbero aver appreso la loro arte in Sicilia dove operavano i “serpari” o “ciaralli”, vere e proprie dinastie familiari che asserivano di discendere direttamente dai Marsi. Tra i dubbi, le ipotesi e le congetture, l’unica certezza e che dei “ceravolari” è rimasto soltanto il ricorso, forse.

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Simbario: Il gruppo teatrale prepara "“Ntra la vita ci vò fortuna”

 "Il Teatro è vita e la vita è Teatro"! Con queste parole di Carlo Goldoni, ha avuto inizio il cammino sulla via delle “arti performative” dei ragazzi della compagnia teatrale “T.N.S.G.C.” di Simbario che, anche quest’ anno,  con grande impegno e dedizione si sono immersi in un duro lavoro che li porterà a rappresentare una bellissima e brillante commedia nell’estate che verrà. Il percorso avviato nel 2010, ha portato eccellenti risultati, a tal punto che oggi la compagnia ha all’attivo ben sei rappresentazioni. I ragazzi stanno portando avanti le loro attività anche in questi mesi, con l’intento di far divertire il numeroso e  affezionato pubblico che ha sempre manifestato grande apprezzamento. La commedia sulla quale il gruppo sta lavorando, è un’opera scritta a quattro mani dal grande Eduardo De Filippo con la collaborazione di  Armando Curcio, “Ntra la vita ci vò fortuna”. La rappresentazione in tre atti, che verrà messa in scena in dialetto, è ambientata nella Napoli post-bellica e racconta la miseria e l'arte di arrangiarsi attraverso uno spaccato di vita familiare intriso di sberleffi, risate ed equivoci. Un’opera bella, ma difficile da rappresentare che non ha scoraggiato i giovani attori per, molti dei quali, il teatro trasporta anima, mente e cuore in una dimensione che permette di riflettere e allo stesso tempo di sognare.

Ovidio Romano: “Fusione? Sì, ma non con Serra”

L’idea è accattivante, la scelta dei partner è da approfondire. Nel dibattito sulla fusione dei Comuni delle Serre s’inserisce Ovidio Romano che effettua una disamina delle prospettive e offre una franca riflessione che non pecca di trasparenza. Il sindaco di Simbario parte da un’analisi storica e giuridica e spiega che “gli anni recenti sono stati caratterizzati da ripetuti interventi legislativi che hanno sancito l’obbligatorietà della gestione associata delle funzioni degli Enti locali, in particolare se di piccole dimensioni. Sono state introdotte nell’ordinamento – afferma - importanti disposizioni in materia, che interessano un numero elevato di Comuni minori e che necessitano di concretizzarsi in scelte operative urgenti. Se, da un lato, la riforma del Titolo V della Costituzione, valorizzando il peso amministrativo dei Comuni, ha ampliato il numero di funzioni delegate agli Enti locali, ha comportato, dall’altro, l’emergere di problemi di natura organizzativa ed economica in capo agli Enti medesimi. Si è quindi verificata, nel corso degli anni, una sempre maggiore difficoltà nell’organizzare efficacemente l’attività amministrativa in relazione ad un contesto sempre più mutevole e complesso e altri problemi simili si sono sommati all’esigenza di contenere la spesa pubblica ed affrontare l’attuale scenario di crisi, provvedendo al risanamento delle finanze pubbliche”. Dopo questo corposo preambolo, Romano cerca di volgere lo sguardo verso orizzonti lontani e ammette che “sarebbe veramente assurdo, in un contesto del genere, non valutare con attenzione la grossa opportunità che viene data agli Enti locali per cercare di rimediare, almeno  in parte, soprattutto ai tagli eccessivi imposti dallo Stato ai trasferimenti ordinari. La possibilità per i Comuni di aggregarsi tra di loro dando origine ad un’unica entità amministrativa – chiarisce - contempla un aumento del 20% dei trasferimenti stessi oltre a dei bonus aggiuntivi. Il legislatore ha colto l’opportunità di rafforzare le esperienze di collaborazione intercomunale, quali strumenti di razionalizzazione e valorizzazione dell’attività amministrativa con il principale obiettivo di ridurre i costi connessi all’erogazione dei servizi, mediante economie di scala e di esperienza, e, dall’altro, di rendere più efficiente la risposta della pubblica amministrazione alla domanda individuale dei cittadini. La gestione associata, in questo senso, rappresenta una valida opportunità per gli Enti di colmare il deficit di risorse necessarie per affrontare le sfide attuali e per erogare ai cittadini servizi in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni individuali e collettivi”. La successiva deduzione sembrerebbe ovvia e, invece, arriva la messa in guardia poiché “l’evidente vantaggio economico e organizzativo non può e non deve indurre a facili illusioni”. Nel ragionamento dell’esponente di Fratelli d’Italia non c’è spazio solo per i numeri, ma anche per i sentimenti e le radici che paiono rivestire un ruolo preponderante. “I presupposti per una fusione – asserisce infatti Romano - non devono essere esclusivamente di natura economica e organizzativa ma devono necessariamente superare il limite finanziario per invadere il campo sociale, quello della cultura e delle tradizioni e tenere nel giusto conto soprattutto la praticabilità dal punto di vista geografico”. Qui il capo dell’esecutivo del centro montano scopre del tutto le carte e puntualizzata che “sarebbe del tutto scontata la nascita di un solo Comune dalla fusione di Simbario, Spadola e Brognaturo per tutti i motivi elencati ma soprattutto in considerazione del fatto che ormai i tre paesi costituiscono un unico agglomerato urbano e gli interscambi tra le comunità sono tali da rendere omogenee le diverse appartenenze”. Il raggio d’azione sarebbe diverso rispetto a quello che legittima “una possibile fusione anche con Serra San Bruno” in quanto, secondo il parere di Romano, vanno vagliati gli “impedimenti” che prendono le sembianze di  “numerosi fattori non trascurabili”. Quali? Bisogna innanzitutto fare i conti con l’orgoglio simbariano e il primo cittadino specifica che “i paesi satelliti per tradizione e cultura hanno sempre mal sopportato la posizione egemonica del paese intorno a cui gravitano e mai accetterebbero di rendere tale egemonia istituzionale. Anche perché – aggiunge - essendo Serra molto più grande degli altri tre Comuni messi assieme appare assai probabile che la scelta della classe amministrativa sarebbe appannaggio esclusivo dei serresi stessi”. Sembrerebbe una motivazione campanilistica ma Romano preferisce utilizzare una terminologia diversa e argomentazioni che mirano a scacciare l’ombra della superficialità. “Ben vengano – sostiene - le fusioni che riescano a migliorare le condizioni generali di diverse popolazioni, purché queste avvengano nel rispetto delle opinioni di tutti i cittadini interessati. Ottenere una diffusa responsabilizzazione sul progetto di cambiamento dovrà essere compito primario degli organismi politici che andranno a costituire la nuova struttura pubblica e che avranno l’arduo compito di assicurarsi che fattori critici come la distribuzione delle risorse, la capacità di leggere tempestivamente i problemi sui diversi fronti e di ridistribuire dinamicamente le forze in campo,  rimangano costantemente sotto controllo. Da essi dipende buona parte del successo o dell’insuccesso dell’intero progetto di sviluppo. La riuscita di ogni buona pietanza si basa sul sapiente abbinamento degli ingredienti che vanno a comporla. Basta sbagliarne uno solo – è l’avviso finale - per rovinarne il gusto”.

Fusione nelle Serre, favorevole il sindaco di Brognaturo

Si levano voci di condivisione rispetto al progetto di fusione dei Comuni di Serra San Bruno, Simbario, Spadola e Brognaturo. Ed è proprio il sindaco di quest’ultimo centro, Pino Iennarella, che spezza una lancia per un’idea innovativa che apre scenari nuovi. “Ben venga questa opportunità – spiega il primo cittadino – perché abbiamo solo da guadagnarci. Sono nettamente favorevole. Diventare un Comune che sfiora i 10 mila abitanti, dalle grandi prospettive e dalle grandi potenzialità, significa stare al passo con i tempi. Aumenterebbe enormemente il nostro potere contrattuale sia dal punto di vista economico che da quello politico”. Si percepisce una certa affinità con il pensiero del collega Bruno Rosi, poiché anche Iennarella guarda con attenzione alla possibilità di “armonizzare il corretto utilizzo del patrimonio boschivo” e ai “vantaggi” di carattere finanziario. Dover gestire “un territorio vastissimo” comporta, però, notevoli responsabilità e richiede una classe dirigente all’altezza. “Chi amministrerà – sottolinea al proposito Iennarella – dovrà capire le esigenze di tutta la popolazione ed ecco perché ritengo di considerevole rilevanza la fase dell’informazione che dovrebbe precedere il referendum”. Su questo aspetto, il sindaco del piccolo paese montano insiste e specifica che “sarebbero necessari diversi seminari per consentire ai cittadini di discutere e per comprendere cosa si aspettano e cosa vorrebbero realizzare. La base di ogni ragionamento deve essere che il territorio appartiene ad ogni cittadino”. Indispensabili diventano dunque la costituzione di “comitati promotori” e le “attività delle associazioni” che dovrebbero accompagnare questo processo. Al momento, anche a causa della distanza, non sembra rientrare nei piani il coinvolgimento di Mongiana, Fabrizia e Nardodipace.

Rosi: “La fusione fra Serra, Spadola, Brognaturo e Simbario è un percorso da attuare”

L’idea di una fusione fra Comuni lanciata dal Redattore è entrata di forza nell’agenda politica di diversi amministratori calabresi. E dopo Giuseppe Pitaro e Gregorio Tino, è Bruno Rosi ad esprimersi in merito, riconoscendo i benefici generati da un’operazione di aggregazione. Il primo cittadino ha intenzione di muoversi subito predisponendo i passaggi necessari per allargare l’area della condivisione e per costruire qualcosa di concreto. Ad essere parte attiva, oltre a quello di Serra San Bruno, sarebbero i Comuni di Spadola, Brognaturo e Simbario. È una prospettiva quasi naturale: un pugno di chilometri separa i loro centri storici; le loro tradizioni e la loro cultura si sovrappongono e si intersecano; la popolazione complessiva è di poco meno di 10 mila abitanti. Gli obiettivi da raggiungere, che sono quelli di “ottimizzare la gestione dei servizi” e di ottenere più congrui “trasferimenti erariali”, paiono poter prevalere sulle rinunce in termini di autonomia, che sono considerate marginali. “Già in precedenti occasioni – afferma il capo dell’esecutivo della cittadina della Certosa – avevo avviato una discussione preliminare su questo argomento con i sindaci di Spadola e Brognaturo, ora quel discorso può essere ripreso”. I tempi sembrano maturi e Rosi sostiene di avere l’intenzione di farsi “promotore di un nuovo incontro, coinvolgendo anche il sindaco di Simbario, per verificare la sussistenza dell’effettiva volontà in questo senso, per adottare idonee iniziative per informare le comunità ricadenti in questo ambito e per approfondire il pensiero dei cittadini”. Nella fattispecie del comprensorio delle Serre vibonesi ci sono poi rilevanti aspetti specifici perché, come spiega Rosi, “la fusione ci consentirebbe di adottare efficaci strumenti per avviare un vero ed armonico sviluppo del territorio e, in particolare, per valorizzare e sfruttare correttamente l’immenso patrimonio boschivo”. Le ricadute, dal punto di vista economico, sarebbero dunque consistenti visto che ai risparmi derivanti dalla riduzione dei costi di amministrazione si sommerebbero potenziali forme di guadagno scaturenti dall’attuazione coordinata di piani di crescita. Maggiori risorse che potrebbero trasformarsi in un migliore funzionamento degli Enti (o meglio, a quel punto, dell’Ente), in più occasioni per il rafforzamento dell’apparato produttivo e per la creazione di posti di lavoro.

Brognaturo: Grande successo per la presentazione del libro di Pino Tassone

BROGNATURO -  Grande successo per la presentazione del libro ”Ragazzi anni ‘50”, scritto dall’imprenditore simbariano Pino Tassone. A prendere parte alla manifestazione, oltre ad un considerevole numero di partecipanti, anche due giornalisti Rai di rilievo, Pietro Melia e Karen Sarlo. La manifestazione ha avuto inizio con i saluti del giornalista Pietro Melia, che, nel ruolo di moderatore,  ha dato la parola al presidente dell’associazione “Brognaturo nel cuore”, Domenico Giordano, promotore, negli ultimi anni, di numerose manifestazioni ed attività culturali. A prendere la parola, successivamente, il sindaco di Brognaturo, Giuseppe Iennarella, il quale si è congratulato con l’autore del libro ed ha espresso gratitudine per l’organizzazione dell’evento. Al termine del breve intervento di Francesco Procopio, la manifestazione è entrata nel vivo con la narrazione delle storie  raccolte nel volume in cui, Pino Tassone, ha ripercorso il suo passato. Il libro narra, infatti, la vita degli anni a cavallo tra il 1950 ed il 1970. Anni segnati da speranza ed amarezza, come quelli, in cui Tassone, racconta come, a malincuore, abbia preso le valigie per iniziare una vita da emigrato giramondo. C’è, poi, la storia di quando, in America, a soli ventisette anni, divenne un imprenditore di successo, turbato dall’ipocrisia e dalla precarietà dei rapporti umani. Una condizione che lo indusse a lasciare l’America e per andare in Germania, dove trovò equilibrio lavorativo e un approccio sociale diverso. Un libro consigliato, in particolare, ai giovani, perché rappresenta un esempio di vita, di chi, con sacrificio, coraggio e volontà, è riuscito a realizzare i propri sogni, anche in una terra povera e difficile come la Calabria.

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