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AC: "Le vergogne di Falcomatà e soci continuano, il castigo di Dio arriverà"

"Ci aspettiamo una riflessione di monsignor Fiorini Morosini in merito alla data scelta, dal 7 al 10 settembre, dai vertici del PD per celebrare la Festa regionale dell’Unità a Reggio Calabria e di cui - afferma in una nota Enzo Vacalebre, presidente di Alleanza Calabrese - stiamo aspettando con ansia il programma.  Guarda caso, negli stessi giorni la Città sarà come sempre a fianco della sua 'Padrona'. Questi signori, ormai senza alcun tipo di pudore, stanno, con questa scelta, oltraggiando tutto ciò che di sacro hanno i Reggini e  che nei momenti più difficili hanno trovato rifugio sotto il mantello della loro protettrice". "Crediamo - prosegue il massimo responsabile di AC - che i proponenti di questa genialata siano il sindaco Falcomatà, il presidente del Consiglio regionale Irto ed il capogruppo, nonché segretario provinciale abusivo, Romeo.  Alleanza Calabrese rivolge loro i più vivi complimenti. Hanno fatto ciò che nessuna Amministrazione, di qualsiasi colore politico, aveva mai realizzato. Mischiare i sentimenti intimi di un popolo con della becera propaganda politica". "Utilizzare i mangiatori di paninu cu saddizzu  - si domanda Vacalebre - come comparse e nella speranza che gli facciano da pubblico? Ma poi cosa  festeggerà il PD durante la loro festa, vigliaccamente organizzata durante la festa della Madonna della Consolazione? La morte dei Reggini? La morte dei Calabresi? Seguirà la Sacra Effigie. Si presenterà a consegnare il cero. Gli consigliamo, se è obbligato a farlo, anche perché non crediamo che sia un devoto, visto i suoi comportamenti, di mettersi una maschera. Si vergognino Falcomatà ed i suoi sodali. E si ricordino che Dio non paga il sabato. Il suo castigo, anche se tardivo, arriverà, implacabile, inevitabile". "Reggio - è la perentoria conclusione di Enzo Vacalebre - è una città che può dimenticare gli uomini, ma non la sua Maria Santissima della Consolazione".

 

Serra. Stagione estiva in chiaroscuro: antichi vizi e virtù da coltivare

Breve, troppo breve, il periodo intercorso dall'insediamento della nuova Amministrazione Comunale di Serra San Bruno per pretendere di più, in qualità e quantità, dal cartellone di eventi estivi. Accolte con buon senso le legittime giustificazioni dettate dalla necessità di fare i conti con le esangui casse municipali, tuttavia, è opportuno tracciare una netta linea di demarcazione tra ciò che merita di essere posto nel giusto risalto e quel che, invece, deve diventare oggetto di seria riflessione per disegnare un solco in discesa per le sorti della cittadina bruniana. L'entusiasmo che porta in dotazione il sindaco Luigi Tassone è la mattonella da cui partire per prendere la rincorsa: il sincero desiderio di spendersi per una crescita stabile e produttiva traspare in modo visibile, al pari della rapida presa di coscienza del ruolo che ha assunto nel giugno scorso. L'abito c'è e, sebbene non risulti ancora essere tagliato su misura, tutto lascia supporre che, progressivamente, il Primo Cittadino, saprà indossarlo con sempre maggiore consapevolezza. Perché questo percorso sia liberato da "bucce di banana" è fondamentale, però, che sia lui, anche in maniera plasticamente visibile, ad ergersi a guida dell'intera comunità. Un capo che, coinvolgendo in modo attivo tutte le categorie e tutti i cittadini, indichi la via imposta da una visione strategica. E' questa la vera prova del fuoco: tratteggiare, fin nel minimo dettaglio, il futuro prossimo di Serra San Bruno che non può prescindere da un approccio radicalmente differente all'inesauribile risorsa del turismo. Affinché l'obiettivo sia perseguito con lucidità, è indispensabile programmare con lungimiranza avendo come orizzonte il lungo periodo: l'improvvisazione non paga e la sinergia tra pubblico e privato è l'unico grimaldello in grado di scardinare antichi retaggi comportamentali che pesano come macigni sul groppone delle ambizioni. Già in una recente occasione, questo giornale aveva auspicato che i risultati (troppo tardivi) raggiunti nei lavori per il completamento della Trasversale delle Serre meritano di essere considerati l'elastico trampolino di lancio verso lo sviluppo e non un traguardo sotto il quale sgomitare stappando bottiglie di champagne. Troppe le occasioni perse per lasciarsi andare ad una prosopopea sterile che farebbe perdere di vista, ancora una volta, gli obiettivi da conquistare a suon di idee concretamente perseguibili. Valga, per tutti, l'esempio rappresentato dalla decisione, intelligente, di fare ingresso nel circuito "Bandiera arancione". Corre l'obbligo, già solo per questa ragione, di riempire di contenuti la strada intrapresa che è puntellata dall'abbraccio di una cultura fondata su due motori: la tutela dell'ambiente e la "cura", professionale ed avvolgente, delle esigenze manifestate dai turisti. Entrambi appartenenti, potenzialmente, al profilo genetico di Serra San Bruno, non sono stati, tuttavia, ancora sfruttati a pieno regime: tutt'altro. Per rendere strutturale in maniera continuativa la vocazione naturale del "gioiello delle Serre" è imprescindibile l'abilità della squadra di governo. Soltanto una proficua sinergia tra pubblico e privato, infatti, può togliere dalle secche della ricerca spasmodica dell'interesse "particulare", rinchiudendosi ottusamente alla prospettiva del tenace inseguimento del benessere collettivo. Basti pensare alla contraddizione, enorme, costituita dalla fiera resistenza opposta da qualche commerciante alla chiusura al traffico per l'intera giornata del Corso Umberto I durante le affollate settimane del mese di agosto. Anche a questo proposito è apprezzabile il desiderio, coltivato da Tassone, di alzare l'asticella trasformando per qualche ora in più rispetto al passato l'arteria stradale nel cuore del centro storico in isola pedonale di cui possano beneficiare tutti: cittadini, turisti e gli stessi commercianti. Nonostante gli sforzi, resta da capire come possano conciliarsi l'esigenza di salvaguardare il delicatissimo patrimonio storico-artistico-architettonico e naturale, con l'invasione di lamiere e gas di scarico inquinanti in tutti i pertugi delle vie storiche di Serra. Ordine e decoro urbano che passano, tra l'altro, dall'urgente soluzione della drammatica emergenza legata al randagismo. Nel caso le difficoltà siano connesse a motivazioni di carattere economico-finanziario, è opportuno che, a strettissimo giro di posta, l'Amministrazione si sieda attorno ad un tavolo con le varie associazioni che sul territorio difendono i diritti degli animali senza alzarsi prima di aver individuato un percorso condiviso che spazzi via gli alibi e prevenga atti di indegna bestialità come l'avvelenamento con polpette disseminate per strada. Un oltraggio alla civiltà ed alla storia della cittadina della Certosa perpetrato là, in mezzo al dedalo brulicante di fascino struggente di quell'incantevole labirinto di vicoli che trasuda cultura popolare e tradizioni senza tempo. Un tributo perpetuo alla Bellezza davanti al quale inchinarsi con sacro rispetto attribuendogli valore, anche economico, con una radicale operazione di recupero che permetta di sfruttarlo, in forma intensiva, sul piano turistico. Il numero di posti letto complessivamente disponibili per i visitatori è talmente esiguo, del resto, da stroncare sul nascere qualsiasi velleità. In quest'ottica, il naufragio del progetto "Paese albergo" si erge come un precedente da non ripetere, una grottesca manifestazione di impreparazione ed incapacità inscenata dagli amministratori precedenti. Avendo come punto di riferimento gli errori del passato, l'Esecutivo comunale, anche in questo caso fungendo da traino dell'iniziativa privata, deve osare con intraprendenza individuando i canali di finanziamento utili ai fini del reperimento delle risorse da utilizzare per riempire di strutture ricettive il centro storico. E' inammissibile continuare a vantarsi della magnificenza delle Certosa, di Santa Maria e delle chiese senza avere un guizzo d'ingegno che, facendo affidamento sulle leve del marketing e della comunicazione, metta a reddito il filone del turismo religioso. Servono competenze adeguate all'impresa ed un orientamento pragmaticamente votato alla sfida ad una concorrenza che, in Italia ed all'estero, è in perenne fermento. La fotografia dell'esistente, opaca, funga da base di partenza perché ancora tanti sono i passi da compiere prima di salire sul treno che può accompagnare Serra San Bruno all'agognata stazione del futuro. Essere coscienti degli enormi limiti attuali è il primo banco di prova: la mentalità dell'accoglienza e dell'ospitalità, se tradotta in sistema, premierà coloro che se ne faranno carico esibendola con stile, costringendo al miglioramento dell'offerta quegli esercizi commerciali in cui ancora, a titolo esemplificativo, non è possibile effettuare un acquisto con carta di credito perché sprovvisti di POS. Lascia di stucco, in particolare, che fra questi figurino anche quelli che si propongono come approdo naturale delle visite turistiche.  Spalancare, con cortesia e disponibilità, le porte agli ospiti predisponendo l'animo ed i comportamenti all'idea che essi siano "La" risorsa è un'esperienza da vivere in modo totalizzante: la precondizione imprescindibile per offrire, ogni giorno dell'anno, un'immagine di cui andare orgogliosi e da "vendere" sul mercato. E sia chiaro fin d'ora: lasciarsi spingere dall'indolenza nella palude della rassegnazione bloccherebbe sul nascere qualsiasi tentativo di dare colore ad un domani che può avere, nonostante tutto, contorni rosei. 

In morte del centrodestra reggino: l'elezione del Consiglio Metropolitano ne ha constatato il decesso

Il voto di Palazzo Madama e, a stretto giro di posta, l'ingresso a Rebibbia di Antonio Caridi, oltre ad aver segnato una svolta sul piano squisitamente giudiziario, ha imposto lo stop alla scalata, ormai in fase avanzata, di un esponente del centrodestra reggino le cui mosse negli ultimi due anni erano state tutte volte alla conquista della supremazia in città e provincia. Fermo ai box Giuseppe Scopelliti, anch'egli per vicissitudini penali, il vice coordinatore regionale di Forza Italia aveva fatto man bassa di eletti sia a Palazzo San Giorgio che altrove, fino ai Consigli Comunali più piccoli dell'entroterra. Tutti sotto l'ala protettiva di colui che, agli occhi dei rappresentanti di un'area politica sconquassata come mai accaduto nella storia recente, sembrava essere il nuovo "uomo forte" da sostenere per mettere sotto vetro le proprie rispettive ambizioni. I piani, però, sono stati smantellati dalle recenti inchieste sulle quali sarà, come si recita in questi casi, la magistratura a doversi pronunciare. Al momento la chiave di lettura , dunque, non può che riguardare lo stato di salute del centrodestra a queste latitudini. Una prima conferma di questo assunto è piombata sulle macerie della coalizione con lo scrutinio del voto per il Consiglio Metropolitano. Le elezioni, celebratesi domenica, hanno sancito un ulteriore smottamento di credibilità e forza per coloro che, staccatosi il collante del potere e smarrita la guida dell'ex presidente della Regione, si sono mossi in ordine sparso e, perseverando nell'errore, continuano colpevolmente a farlo. Troppi i rancori, anche di natura personale, esplosi con il "liberi tutti", troppo ampie le distanze tra i vari movimenti e partiti che compongono, in linea puramente astratta, la sedicente alleanza. L'assenza di figure di peso in grado di esercitare una leadership autorevole si sta rivelando un ostacolo impossibile da sormontare proseguendo lungo la via fin qui percorsa con gli occhi bassi ed un diario povero di visioni o, al limite, anche di idee. A fronte di un centrosinistra più volte tacciato, anche da chi scrive, di inadeguatezza strutturale, gli avversari (per modo di dire) brillano per i loro incomprensibili silenzi. Iniziative estemporanee che non sono tenute assieme dal filo rosso della logica, recriminazioni sterili sui social network ed una velenosa nostalgia per un passato consegnato definitivamente agli archivi: è questo il mix diabolico che viene confuso con una linea politica coerente ed efficace. Tra i "Falcomatà boys" ed il centrodestra permane, a conti fatti, una condizione statica di equilibrio fra debolezze: due differenti fragilità che si tengono assieme l'una con l'altra regalando l'illusione ad entrambe le parti di godere di una solidità in realtà inesistente. I nodi sono venuti al pettine nella tarda serata di domenica. Il Partito Democratico che, sebbene gracile, gestisce l'intera filiera del potere, dal Governo nazionale all'Amministrazione Comunale, passando per la Giunta regionale, ha sfruttato l'inesistenza di competitori sull'altro fronte della barricata, stravincendo la consultazione ed accaparrandosi nove delle quattordici poltrone in lizza. Due sono state conquistate dai Socialisti, una dalla lista "Locride Metropolitana". Una vera e propria "Caporetto"  per il centrodestra che, portando a casa due seggi, ha messo la firma sul proprio certificato di morte. Eduardo Lamberti Castronuovo, che ha raccattato il maggior numero di preferenze ponderate nella compagine sconfitta, si è comunque fermato ad una soglia inferiore a quella raggiunta dall'ultimo degli eletti dei "Democratici insieme per Reggio Metropolitana". Una plastica rappresentazione dell'irrilevanza, sociale e culturale prima ancora che politica, di un mondo, quello del centrodestra di Reggio Calabria, ridotto ai minimi termini. Sarà, se mai dovesse iniziare, un processo di ricostruzione lungo ed accidentato perché, prima di tutto, non si è ancora fatta strada nemmeno la presa di coscienza di un fallimento che risiede nell'ostinazione di fatti e numeri. Operazioni di bassissimo cabotaggio che, nei pensieri di qualcuno, dovrebbero costituire le basi per una ripartenza ancora ben al di là da venire. All'orizzonte, tuttavia, non si scorgono, soggetti che abbiano le qualità necessarie per rimettere assieme i tasselli di un mosaico andato in frantumi. Già il 6 settembre dello scorso anno scrivemmo che "a Reggio  i fermenti dell'opposizione germogliano all'esterno del Palazzo". Da allora nulla è cambiato, anzi, tutt'altro. Il quadro clinico del centrodestra è diventato sempre più preoccupante e, al netto del perpetuo "movimentismo" messo in atto da Enzo Vacalebre, presidente di Alleanza Calabrese, si fa fatica ad individuare un impegno organico che abbia come obiettivo il concepimento e la crescita di un'alternativa al centrosinistra. Basta andare a guardare la catastrofe emersa dalle urne aperte per la costituzione del Consiglio Metropolitano. Deludente, oltre ogni pessimistica previsione, la performance dei consiglieri comunali che siedono sui banchi dell'opposizione a Palazzo San Giorgio. Un campanello d'allarme, l'ennesimo a dire la verità, che dovrebbe scuotere sia chi era candidato sia chi non ha direttamente partecipato alla competizione. Le carte, nella composizione della lista "Centrodestra metropolitano", sono state distribuite dal capogruppo di Forza Italia in Consiglio Regionale, Alessandro Nicolò, e dal collega Francesco Cannizzaro. Il peso della sconfitta bruciante grava, dunque, sulle loro spalle, oltre che su quelle degli iscritti alla corsa. Un elemento di cui tutti i rappresentanti della coalizione dovrebbero tenere conto se sono davvero intenzionati a buttare in campo le energie migliori a disposizione ed a coinvolgere forze fresche da lanciare nella mischia. Insistere sui personaggi che da troppo occupano la scena sarebbe un errore irrimediabile. Non è il desiderio di "nuovismo" a tutti i costi che dovrebbe indirizzare le scelte, ma il coraggio di affidare le chiavi a chi sarebbe percepito dall'opinione pubblica come una reale opzione verso cui catalizzare il consenso in virtù di un disegno capace di tratteggiare i contorni della Città Metropolitana del futuro. Non rileva, ai fini del ragionamento, che tali soggetti siano pescati dalla società civile o appartengano già alla dimensione pubblica della politica propriamente detta. E' il momento che anche chi è già dentro i Palazzi si eserciti in uno scatto di coraggio per proporsi non ai livelli gerarchicamente più elevati della catena di comando, ma, senza filtri di alcun genere, all'intera comunità. Agendo in autonomia e slegati da vincoli di qualsivoglia natura, è l'ora, per chiunque ritenga di possedere idee forti e le caratteristiche necessarie per assolvere al ruolo, di lanciarsi in mare aperto. Solo a titolo esemplificativo e confinando il ragionamento all'attuale rappresentanza istituzionale, una donna come Mary Caracciolo, per come ha interpretato fin qui la funzione di rappresentante in Consiglio Comunale a Reggio Calabria, sarebbe una delle personalità su cui puntare, assieme ad altre da scovare nell'alveo della Città Metropolitana, per dare un nuovo volto ad un centrodestra che necessita, oggi più di ieri, di ricucire il rapporto quotidiano con i vari pezzi della società reggina sordi al richiamo della Politica e disposti, semmai, a lanciarsi fra le braccia del pigro disincanto. Tanti altri, nascosti e silenti, o attivi esclusivamente dietro un pc, hanno adesso l'obbligo, non più rinviabile, di fare dieci passi avanti per dimostrare, in modo visibile e non astrattamente autocompiacente, che un altro modo di condurre la macchina amministrativa è possibile.  

E' nell'abbraccio della sofferenza la risposta all'orrore dell'indifferenza sociale

Bruciano sulla pelle: dardi insanguinati scagliati con la forza derivante dall'ignoranza di elementi basilari della grammatica comunicativa ed umana. Le parole, queste sconosciute, suonano alle nostre orecchie svuotate del peso specifico direttamente connesso al loro significato. Nel caos disordinato di società spappolate, le pronunciamo con un misto di noncuranza ed egoismo ottuso. Spogliati del coraggio che aiuta ad affrontare e saltare a piè pari gli ostacoli riservati dalla vita a ciascuno di noi, imbocchiamo con stupida miopia la via della codardia. Lungo quel sentiero, più semplice da attraversare perché libero dalle mine del confronto, non è fondamentale avere coraggio, non è richiesto camminare con la schiena dritta, tutt'altro. E' molto più proficuo piegarsi, assecondare la flessibilità inginocchiandosi davanti al totem del proprio finto benessere. Per sopravvivere, in fondo, è sufficiente la simulazione di una soddisfazione, il surrogato della felicità, da bere tutto d'un fiato fino ad ubriacarsi di aceto spacciato per vino buono dalla diabolica bottega del relativismo. Sprofondati nel profondo sonno dell'intelligenza emotiva, l'impegno quotidiano è ridotto alla perpetuazione della coltivazione di illusioni che germogliano grazie al web. Il comodo guanciale su cui poggiare il volto deformato dal cinismo e dalla bulimia del piacere contraffatto è realizzato con la piuma della colpevolizzazione dei giovani, delle generazioni che si affacciano all'esistenza mentre i loro occhi non scorgono null'altro che il buio dell'indifferenza sociale. Distratti dall'esaltazione delle magnifiche sorti e progressive della civiltà internettiana, non ci accorgiamo delle ferite inferte dalla lama del coltello affilata con il senso di estraneità rispetto alle angustie del vicino di banco, di casa, di scrivania, di vita. Una distanza impossibile da colmare perché invisibile allo sguardo spento di automi che hanno perso l'orientamento e si aggirano come spettri nel freddo grattacielo delle proprie miserabili ambizioni. Saltellando da un abisso  di vanagloria all'altro, siamo rimasti sospesi dentro la bolla dell'annullamento della separazione fisica, effetto diretto ed anch'esso deformante della pervasività dei social network, sottraendoci all'ascolto della realtà più intima, quella vera e verificata secondo l'unica unità di misura valida: il legame consolidato nel tempo e nella condivisione. Ogni mattina ciascuno di noi si alza e prende posto in platea: sugli schermi di pc e smartphone scorrono in continuazione le scene della quotidianità di (im)perfetti sconosciuti. Un film  che si snoda lungo la trama dell'irrealtà. Uno spettacolo messo su con poche risorse ed alternato ad un altro genere di show: quello drammaticamente concreto delle tragedie, individuali e collettive, che partono dall'alto con la violenza di meteoriti, ma arrivano a destinazione depotenziate dall'infuso anestetizzante della commistione con l'ultima acrobazia di un gattino e con le ultimissime novità su Pokemon Go. Un tarantolato saliscendi che induce a dare credito alle nostre stesse parole per un arco temporale non superiore all'istante in cui le pronunciamo. Eternamente connessi, subiamo gli effetti perversi della disconnessione con la gerarchia dei valori di cui abbiamo ridisegnato la mappa mettendo al centro un avaro egocentrismo. E' così che le lancette della bussola vanno in tilt e, preda di una tempestosa confusione, fuggiamo nella caverna della rassicurante apatia. Nascosti lì dentro possiamo respirare l'aria ovattata della distanza siderale dal prossimo e liberarci di quel fastidioso senso di umanità che rischierebbe di farci "condiVIVERE" le sue fatiche. Sarà troppo tardi quando si farà spazio nelle nostre coscienze la consapevolezza che nemmeno questo è il punto più basso della bestialità. Quello che ci attende è talmente oscuro da far paura anche a noi, a noi che, prima di continuare a giocare a Candy Crush, abbiamo appena letto le parole scritte in un messaggio da uno dei ragazzi coinvolti nel suicidio della quattordicenne Carolina Picchio (la ragazzina, umiliata da cyberbulli, si tolse la vita nella notte nella notte a cavallo tra il 3 ed il 4 gennaio di tre anni fa): "Hai sentito che Carolina s'è ammazzata? Sì, ho sentito. Quasi quasi vado all'obitorio a vedere per l'ultima volta quella faccia di m..". Ma non sarà l'ultima volta che l'orrore della porta accanto farà breccia nel muro delle nostre meschinità, perché nulla ci impressiona, niente ci atterrisce. La speranza, l'unica, ha i volti di quei ragazzi e di quelle ragazze, di quegli uomini e di quelle donne che, con istinto spontaneo, scagliano la freccia del loro generoso entusiasmo in direzione della sofferenza, ricca di dignità e povera di retorica. L'esercito dell'Amore ha truppe ovunque, anche accanto a noi: per rendersene conto basta alzare gli occhi bassi che fissano le meschine miserie del proprio Io. Sollevando lo sguardo, sarà facile accorgersi della presenza di coloro che, in silenzio, producono un rumore assordante con le loro azioni, il solo parametro che conta. Essere travolti dalla gioia che tracima da ogni sillaba pronunciata dai volontari dell'AVAL di Serra San Bruno pronti a partire per l'annuale pellegrinaggio a Lourdes è una testimonianza esemplare. In troppi blaterano di "pace nel mondo" e un attimo dopo esibiscono la bava alla bocca nella sfida all'O.K. Corral per un parcheggio sotto casa. Altri, ed i volontari dell'AVAL sono fra questi, preferiscono l'esempio: esseri umani, non eroi, che "abbracciano" il dolore con generoso fervore. Farsi contagiare dalla loro concreta dimostrazione di fratellanza: è questa la via, felicemente impegnativa, da seguire per orientarsi mentre tutto intorno il mondo è ostaggio del torpore dei sentimenti. 

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