'Ndrangheta, beni per 15 milioni di euro confiscati a imprenditore calabrese

Personale della Direzione investigativa antimafia, finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Scico, con il coordinamento della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo e della locale Direzione distrettuale antimafia, hanno eseguito un provvedimento, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria, che dispone la confisca di compendi aziendali, beni immobili, mobili e rapporti finanziari - per un valore complessivo stimato in oltre 15 milioni di euro - riconducibili ad un imprenditore reggino attivo nel settore dei servizi aziendali.

La figura dell’imprenditore era emersa nell’ambito dell’operazione denominata “Martingala”, condotta da personale della Dia e della guardia di finanza di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della locale Direzione distrettuale antimafia, conclusasi nel mese di febbraio 2018, nel cui ambito l'uomo è stato rinviato a giudizio per diverse ipotesi di reato, tra cui associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati connessi e conseguenti alla gestione delittuosa di flussi economici, tra i quali riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, intestazione fittizia di beni, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.

In particolare, secondo quanto emerso dalle indagini, il destinatario del provvedimento sarebbe stato il “regista” di un complesso sistema illecito, costruito intorno a molteplici società di comodo, con sede in Italia ed all’estero, di cui aveva la disponibilità diretta o mediata. Lo stesso, tramite regolare documentazione, con fatture per operazioni inesistenti accompagnate da artificiosi documenti di trasporto, di movimenti fittizi di merci e prestazioni apparenti di servizi, tra le società a se riferibili e le imprese beneficiarie avrebbe offerto ai propri “clienti” una formale giustificazione per la grande quantità di denaro che convergeva verso le sue imprese.

L'imprenditore, quindi, avrebbe messo a disposizione di numerose imprese – per lo più riferibili a persone ritenute diretta espressione della ‘ndrangheta o collusi con questa – la sua organizzazione e il suo reticolo di società cartolari, sparse tra l’Italia e l’estero, sistematicamente coinvolte in svariate transazioni economiche, che simulavano movimenti di merci e flussi finanziari di apparente origine commerciale. Il sistema così congegnato sarebbe stato funzionale, oltre che ad esigenze di riciclaggio, anche all’acquisizione fraudolenta di crediti fiscali.

In relazione alle risultanze dell’attività investigativa, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e la locale Direzione distrettuale antimafia hanno delegato al Gruppo investigazione criminalità organizzata della guardia di finanza di Reggio Calabria, allo Scico e al locale Centro operativo Dia, l'indagine di carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali.

Al riguardo, dopo aver delineato il profilo di pericolosità sociale sia generica che qualificata dell'indagato, anche valorizzando le risultanze delle precedenti indagini, gli investigatori hanno indirizzato la loro attività alla ricostruzione delle acquisizioni patrimoniali - dirette o indirette - effettuate dall'uomo nell’ultimo trentennio, accertando - attraverso una complessa e articolata attività di verifica e riscontro documentale - i patrimoni, direttamente o indirettamente, a lui riconducibili, il cui valore sarebbe decisamente sproporzionato rispetto alla capacità reddituale dichiarata ai fini delle imposte sui redditi nonché in quanto frutto o reimpiego, in buona parte, di attività illecite.

Alla luce di tali risultanze, il Tribunale di Reggio Calabria, nel mese di ottobre 2020, ha disposto il sequestro del patrimonio riconducibile all'imprenditore. Successivamente, riconoscendo la validità dell’impianto indiziario, con il provvedimento eseguito oggi ha decretato la confisca dell’intero compendio aziendale di 7 tra imprese e società commerciali, con sede sia in Italia che all’estero, 1 ditta individuale, 5 immobili, 10 orologi di lusso e disponibilità finanziarie per un valore complessivo stimato in oltre 15 milioni di euro.

Con il medesimo provvedimento, il locale Tribunale ha sottoposto l’imprenditore a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, per 4 anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o dimora abituale.

Reggio Calabria, arrestati 4 imprenditori (NOMI E VIDEO)

Nella giornata odierna i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria–Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti degli imprenditori reggini:

  1. FICARA Carmelo, cl. 56;
  2. GIORDANO Andrea Francesco, cl. 51;
  3. SURACE Giuseppe, cl. 84;
  4. SURACE Michele, cl. 57;

FICARA Carmelo ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso; GIORDANO Andrea Francesco e SURACE Michele dei reati di associazione di tipo mafioso, esercizio abusivo dell’attività finanziaria e trasferimento fraudolento di valori aggravato poiché commesso al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa (quest’ultimo reato contestato anche a SURACE Giuseppe).

Il provvedimento costituisce l’esito di un’articolata attività investigativa, avviata nel febbraio 2017 dai militari del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria sotto la direzione della locale Direzione Distrettuale Antimafia, tesa a far luce su un sistema di cointeressenze criminali, coltivate dai citati imprenditori che, sfruttando l’appoggio delle più temibili cosche cittadine, in particolare la cosca “TEGANO”, sono riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati in fiorenti e diversificate attività commerciali.

Le indagini confortano il dato storico, oramai pacificamente acquisito, della commistione di interessi tra mafia ed imprenditoria, che sovente si alimentano e rafforzano vicendevolmente, in un connubio di formidabile capacità intrusiva nel tessuto sociale ed economico. L’indagine odierna, convenzionalmente denominata “Monopoli”, volge in questa direzione, portando alla luce ulteriori esempi di imprese “mafiose” che hanno imposto al territorio un monopolio di fatto, inquinando il libero mercato ed impedendo agli imprenditori sprovvisti di sponsor mafiosi di competere in condizioni di parità.

Michele SURACE ed Andrea GIORDANO
L’avvio delle investigazioni è costituito dalle concordanti dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia riguardo agli imprenditori reggini Michele SURACE e Andrea GIORDANO, recentemente coinvolti anche nell’operazione “MARTINGALA” in quanto indagati in concorso per auto-riciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Le rivelazioni dei collaboratori hanno delineato dettagliatamente i profili dei due soggetti, affiliati di lunga data ai “TEGANO” di Archi ed in contatto, in particolare, con il boss Giovanni TEGANO, attualmente detenuto.

Gli approfondimenti investigativi svolti dai Carabinieri hanno permesso di ripercorrere le fortune del duo imprenditoriale SURACE-GIORDANO, che hanno preso il via dall’edilizia residenziale: verso la fine degli anni ’90 realizzano il complesso residenziale “MARY PARK”, fabbricato che ospiterà i locali dell’unica sala bingo cittadina e numerose villette a schiera, in cui era stata riservata la disponibilità di un appartamento a Giuseppe TEGANO, fratello del boss Giovanni TEGANO.

Tale “vicinanza”, nel tempo, ha garantito ai due imprenditori un eccezionale sviluppo economico: gli accertamenti esperiti hanno permesso di documentare il reimpiego dei proventi illeciti della cosca in diversificate iniziative imprenditoriali affidate a SURACE e GIORDANO, divenuti nel tempo un tassello fondamentale del sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti della “famiglia”.

La consapevolezza del proprio ruolo negli affari illeciti dei “TEGANO” e il timore dei provvedimenti che la Procura reggina avrebbe potuto adottare sulla base delle indagini scaturite dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia - già noti all’opinione pubblica - ha indotto SURACE e GIORDANO ad avviare una serie di manovre societarie funzionali a schermare la reale titolarità delle imprese a loro riferibili, sottraendole ad eventuali aggressioni patrimoniali.

A partire dal 2016, pertanto, le imprese edili e immobiliari dei due assumeranno l’attuale conformazione in:

  • “Essegi Costruzioni s.r.l.” e “G.G. Edilizia” (fittiziamente intestate ai figli di Andrea GIORDANO, Giorgio e Giuseppe), di fatto gestite da Andrea GIORDANO;
  • “Construction Italy s.r.l.” e “Coedil S.r.l.” (fittiziamente intestate a Demetrio MODAFFERI, Giuseppe SURACE, Gaetano Hermann MURDICA, rispettivamente cognato, figlio e genero di Michele SURACE) il cui dominus è Michele SURACE,

Il monitoraggio investigativo di Andrea GIORDANO e Michele SURACE ha definitivamente comprovato come le quattro società operassero sotto il loro diretto e continuo controllo. Gli indagati sono stati infatti “immortalati” mentre gestivano personalmente le maestranze sui cantieri edili e i dipendenti degli uffici commerciali, ordinavano materiale presso i fornitori, accompagnavano i potenziali acquirenti nelle visite agli immobili in vendita e tenevano tutti i rapporti con il commercialista di fiducia, tutti ruoli assolutamente incoerenti con gli assetti societari formali.

La sala bingo di Archi
Tra le attività economiche paradigmatiche del rapporto fra SURACE-GIORDANO e i “TEGANO” vi è la sala bingo di Archi, la cui proprietà è da ricondurre, in parti uguali, a Giovanni TEGANO ed al binomio SURACE–GIORDANO, con una sostanziale spartizione di utili tra appartenenti alla stessa organizzazione criminale.

Dopo l’apertura della sala bingo - avviata nel 2001 ed allocata in un immobile del complesso “MARY PARK” - nel 2008 è lo stesso Michele SURACE a trasferirne la titolarità formale al cognato Bruno MANDICA, mantenendone comunque l’effettiva disponibilità insieme al socio GIORDANO.

Anche in questo caso ne forniscono evidenza definitiva le attività tecniche sviluppate dal Nucleo Investigativo, che hanno ripreso i continui trasferimenti di denaro contante che MANDICA preleva direttamente dalle casse del bingo e consegna nelle mani dei SURACE e di GIORDANO. Nel corso delle indagini sono stati censiti almeno 15 episodi, fra dazioni e “prelievi”, in grado di mettere in luce come il lucroso esercizio pubblico – capace di fatturare oltre 10 milioni di euro all’anno – costituisca vero e proprio “sportello bancomat” a disposizione dei due soci occulti.

Il quadro indiziario ha rivelato, inoltre, come la sala bingo di Archi, unica nel territorio del capoluogo, operasse evidentemente in regime di monopolio imprenditoriale, non certo in ragione di un fisiologico equilibrio fra domanda e offerta nel settore del gioco, bensì in virtù di accordi stipulati dalla famiglia “TEGANO”, titolare dell’iniziativa imprenditoriale, con le altre componenti della ‘ndrangheta cittadina. In tali condizioni, la sala bingo di Archi non poteva che prosperare indisturbata per quasi 20 anni, evidentemente grazie alla forza di intimidazione promanante dal prestigio criminale dei TEGANO e dall’alterazione delle regole del libero mercato da esse derivate.

Il progetto di apertura della seconda sala bingo nel quartiere Gebbione
Un ulteriore riscontro che consente di attribuire la sala bingo di Archi alla sfera di signoria di Michele SURACE si trae dalle intercettazioni che documentano il progetto di apertura - coltivato dallo stesso SURACE insieme a Carmelo FICARA (altro indagato su cui ci si soffermerà a breve) - di una seconda sala dello stesso tipo nel territorio reggino.

A partire dall’aprile 2017 SURACE, forte dell’esperienza maturata in tale contesto imprenditoriale, si è attivato per reperire i locali necessari a realizzare una nuova sala bingo nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria. In particolare, l’idea di Michele SURACE e del figlio Giuseppe era quella di acquisire una sala già aperta nel comune di Polistena, richiedendo successivamente l’autorizzazione all’A.D.M. a trasferirla nel territorio reggino. Il progetto imprenditoriale non andrà in porto per difficoltà di tipo burocratico. Appare tuttavia quanto mai significativo il dato relativo al luogo in cui i due SURACE avevano in programma di realizzare la nuova Sala Bingo, individuato - come s’è detto - nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.

Dalle dichiarazioni di uno dei collaboratori rientrate nell’indagine, relativamente ad un episodio occorso ad altro imprenditore della Piana di Gioia Tauro con medesime mire imprenditoriali ed indotto a desistere, si comprende come a Reggio Calabria sia preclusa l’apertura di nuove sale in altre zone della città, in ragione della situazione di monopolio della struttura di Archi imposto dai TEGANO. Tuttavia, in virtù di accordi criminali vigenti tra le principali famiglie reggine, proprio il quartiere Gebbione, notoriamente controllato dalla cosca LABATE e svincolato dagli accordi fra le principali cosche del capoluogo, poteva in astratto costituire l’unica area in cui realizzare un’ulteriore sala.

Michele SURACE aveva già tentato nel 2014 (in combutta con la famiglia MARTINO di Milano ed unitamente a familiari di Carmelo FICARA ed Andrea GIORDANO) di estendere i suoi interessi nel settore, aprendo una sala bingo a Cernusco sul Naviglio. Quella esperienza terminò con l’arresto e la condanna di Michele SURACE: come infatti accertato nell’inchiesta “Rinnovamento” della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, questi si era reso responsabile dell’incendio della struttura ricreativa al fine di ottenere l’ingente indennizzo previsto dalla polizza assicurativa.

Autoriciclaggio e abusivo esercizio dell’attività finanziaria
Nel corso delle investigazioni è stata documentata, altresì, l’attività di autoriciclaggio di parte della liquidità prelevata da Michele SURACE presso la sala Bingo di Archi. Tali somme di denaro sono state impiegate dallo stesso SURACE nell’ambito della gestione della società “Construction Italy s.r.l.”, come detto in precedenza fittiziamente intestata a Demetrio MODAFFERI.

Inoltre, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e i riscontri operati dai Carabinieri hanno indicato Michele e Giuseppe SURACE quali soggetti che, presso le rispettive attività commerciali, erano soliti concedere prestiti agli avventori. I destinatari della linea di credito offerta da padre e figlio erano soprattutto i clienti della sala bingo; allorquando costoro rimanevano sprovvisti di liquidità per continuare a giocare, si rivolgevano a Michele SURACE. Dalla lettura congiunta degli elementi acquisiti si è ricavato con certezza che i SURACE hanno posto in essere - in un contesto professionale e in modo continuativo e non occasionale - condotte di finanziamento rivolte ad una schiera di svariati avventori delle rispettive attività commerciali.

Carmelo FICARA
Con riferimento alla famiglia “DE STEFANO” di Archi, gli approfondimenti hanno interessato un terzo imprenditore edile, Carmelo FICARA. Rispetto a SURACE e GIORDANO, assolutamente intranei al sodalizio criminale di riferimento, FICARA può essere considerato l’uomo d’affari a disposizione della ndrangheta, rispetto alla quale diviene, progressivamente, concorrente esterno.

Gli accertamenti volti a ricostruire la sua intera storia imprenditoriale, unitamente agli esiti delle attività tecniche, hanno permesso di ricostruire le numerose cointeressenze imprenditoriali tra FICARA ed il binomio GIORDANO-SURACE, nonché uno storico rapporto di amicizia esistente in particolare tra FICARA e SURACE.

Il quadro indiziario raccolto ha messo in risalto il ruolo che FICARA ebbe, nel 2010, nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale della Magna Graecia di Reggio Calabria; si è accertato, infatti, che, in quella circostanza la cosca “DE STEFANO” aveva imposto, tra l’altro, all’amministratore della “Co.Bar. S.p.a.”, ditta a cui erano stati affidati i lavori in questione, l’affitto un magazzino di proprietà del FICARA da adibire a deposito temporaneo dei reperti archeologici. La vicenda dei lavori al museo cittadino era stata già oggetto, in passato, dell’indagine “Il principe” e in quella circostanza l’attenzione degli inquirenti fu incentrata su una serie di estorsioni consumate dalla cosca DE STEFANO e sul ruolo di primissimo livello rivestito da Giovanni DE STEFANO, figlio del defunto Giorgio DE STEFANO, reggente della cosca.

L’odierna inchiesta ha ricostruito doviziosamente le tappe della storia imprenditoriale di FICARA, il cui punto di partenza emerge dalle risultanze giudiziarie del procedimento “Alta tensione”, definito con l’accertamento di attività estorsive consumate in danno di imprenditori edili operanti nei quartieri reggini di Modena e Ciccarello da parte delle cosche CARIDI-BORGHETTO-ZINDATO e delle modalità d’infiltrazione occulta della ‘ndrangheta in quel settore imprenditoriale.

In quel procedimento era emerso come tra gli imprenditori vittime di estorsione vi fosse anche FICARA. Tuttavia le indagini avevano anche accertato come l’imprenditore avesse già significativamente diminuito la sua attività edilizia nei quartieri Modena e Ciccarello, spostandole in quello di Archi e nelle zone limitrofe.

Gli accertamenti esperiti dal Nucleo Investigativo nell’ambito di questo procedimento hanno acclarato gli esatti contorni entro i quali Carmelo FICARA e i suoi familiari decisero di denunciare i fatti di cui erano stati vittima. Il costruttore, infatti, a seguito di quegli accadimenti, aveva richiesto l’intervento dei DE STEFANO per appianare i suoi burrascosi rapporti con i BORGHETTO–ZINDATO del quartiere Modena, e da tale iniziale protezione il rapporto è successivamente evoluto, fino a consentirgli di assumere il ruolo di imprenditore di riferimento della potente cosca; ed infatti, a decorrere dal 2007, Carmelo FICARA concentrava nel quartiere Archi e zone limitrofe gran parte delle sue iniziative imprenditoriali, realizzando numerosi, rilevanti complessi residenziali grazie alla protezione offerta dal sodalizio.

Si comprende, pertanto, come FICARA non appartenga a quella categoria di imprenditori subordinati, assoggettati all’organizzazione criminale con l’intimidazione, quanto piuttosto a quella degli imprenditori “collusi” in grado di instaurare con il sodalizio mafioso un rapporto fondato su reciproci vantaggi.

Il sequestro
Alla luce delle complessive risultanze investigative è stato disposto il sequestro preventivo delle seguenti società - con relativo patrimonio ammontante a circa 50 milioni di euro - riconducibili agli odierni indagati:

  1. MICHELE SURACE E BINGO s.r.l. UNIPERSONALE, con sede a Roma;
  2. CONSTRUCTION ITALY s.r.l., con sede a Roma;
  3. COEDIL s.r.l., con sede a Reggio Calabria;
  4. ESSEGI s.r.l., con sede a Roma;
  5. Impresa Individuale G.G. EDILIZIA di GIORDANO Giorgio, con sede a Reggio Calabria;
  6. CARMELO FICARA s.r.l., con sede a Milano;
  7. REGHION IMMOBILIARE s.r.l., con sede a Reggio Calabria;
  8. BUY HOUSE S.r.l., con sede a Reggio Calabria;
  9. COPACABANA VILLAGE CALABRIA S.R.L., con sede legale a Reggio;
  10. Impresa individuale FICARA CARMELO con sede a Messina;
  11. SERENA S.r.l. con sede a Reggio Calabria;
  12. G.I.F. S.R.L., con sede a Roma;
  13. PROGETTIDEA S.r.l., con sede a Reggio Calabria;
  14. IMMOBILIARE GE.SU.FI. S.r.l., con sede a Milano;
  15. Impresa individuale DI LOLLO Orsola, con sede a Reggio Calabria;
  16. Impresa Individuale SURACE Giuseppe, con sede a Reggio Calabria.

 Inoltre, è stato sequestrato parte del patrimonio personale di Carmelo FICARA consistente in 120 unità immobiliari e 21 terreni.

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Operazione "Martingala", confermate le misure cautelari

Gli investigatori della Dia di Reggio Calabria e del locale Comando provinciale della guardia di finanza hanno eseguito le notifiche di ordinanze di misure cautelari, disposte dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Procura distrettuale antimafia, nei confronti di alcuni indagati, già colpiti dal provvedimento di fermo eseguito il 19 febbraio scorso nell’ambito dell’operazione denominata “Martingala”, su cui i giudici, in sede di convalida, si erano dichiarati incompetenti.

I nuovi provvedimenti hanno confermato l’impianto accusatorio, in particolare, nei riguardi di Mordà e di Scimone, quest’ultimo ritenuto l'ideatore, attraverso il fitto reticolo di imprese nazionali ed estere a lui riconducibili, di un “sistema” funzionale alla commissione di delitti tra cui la frode fiscale, il riciclaggio e l’usura. Per entrambi è stata disposta la custodia in carcere.

Nello specifico, sono stati ritenuti sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza, sia le esigenze cautelari, ravvisabili soprattutto nell’elevatissimo pericolo di reiterazione dei reati, che appare connotato da “nitidissimi requisiti di concretezza ed attualità”.

La custodia in carcere è stata applicata, anche, nei confronti di Giuseppe Nirta, cui vengono contestati i delitti di auto-riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.

È stata, invece, disposta la misura degli arresti domiciliari nei confronti di Domenico Gallo ed Antonino Carlo Chirico, quest'ultimo ritenuto responsabile in concorso con Mordà, dei reati di usura, bancarotta fallimentare e ricettazione di denaro.

 

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