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Serra, torna dopo sedici anni la processione di San Biagio: LE FOTO

Sono due gli eventi che hanno favorito lo svolgersi della processione di San Biagio (che non aveva luogo dal 2000): i 1.700 anni passati dal martirio del Protettore della gola ed il Giubileo straordinario della Misericordia. All’evento hanno partecipato, oltre a numerosi fedeli, i tre seggi priorali in abito ed alcuni fra confratelli e consorelle. La processione è iniziata alle 16 e, dopo l’uscita dalla chiesa Matrice, si è snodata per la via (che gira intorno alla chiesa) che porta il nome del Santo. Sono stati effettuati tre giri per ricordare quelli fatti dalla testa di San Biagio dopo che gli venne mozzata intorno al 316 a seguito dei contrasti tra gli imperatori Costantino (Occidente) e Licino (Oriente). Giunti a Spinetto, vi è stata la sosta presso la chiesa dell’Assunta. Poi la visita alla chiesa dell’Assunta di Terravecchia e di Maria de’ Sette Dolori. Quindi il rientro nella Matrice. Nella gallery vi proponiamo gli spettacolari scatti di Raffaele Timpano.

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Serra: San Biagio, l'abbaculu e la benedizione della gola

"Sufficientemente annuncia la festa non un colpo scuro, ma l'odore che per le strade di spande dai forni dove cuoce il dolce che ripete il pastorale vescovile da voi tenuto nelle mani guantate di rosso: il baculum dei latini, l'abbàaculo di torrone o di 'nzullo' di mostacciolo o più modestamente di farina, latte ed uova con la cannella; non la musica di ottoni e clarini, l'allieta, ma la frignata d'impazienza interrotta dal ceffone materno per non farvi torto".

La festa di cui parla Sharo Gambino nel suo libro "Sull'Ancinale" è quella in onore di san Biagio.

Per certi aspetti, a Serra, la festa è piuttosto singolare, così come singolare era la circostanza che, fino a qualche tempo addietro, il Santo fosse il patrono del paese che deve la sua fondazione a san Bruno.

Una peculiarità la cui origine è piuttosto oscura.

Se, da una parte, infatti, è sufficientemente chiaro il legame, di origine bizantina, tra la Calabria ed il Santo protettore della gola, avvolto nella nebbia del mistero è, invece, quello con la cittadina delle Serre, dove il culto, potrebbe essere arrivato in maniera piuttosto rocambolesca.

A cercare di stabilirne l’origine, non senza una buona dose d’indeterminatezza, è, nella prima metà dell’Ottocento, don Domenico Pisani che, nel resoconto, fatto per la “Platea”, ovvero la “Cronistoria di Serra San Bruno” redatta dai cappellani della chiesa Matrice, rivela che: "venendo qui al di loro travaglio degli uomini, e passando per le vie della Lacina, ove vi era una chiesetta diruta dedicata a S. Blasi, vi tolsero il quadro ivi inculto, che portarono nella di loro chiesetta, ove non sappiamo se dalla pubblica devozione, o d’altro fu dichiarato Protettore e Patrono".

Il culto, dopo aver percorso le accidentate e tortuose vie della fede, nella cittadina bruniana deve essersi diffuso con una certa rapidità, al punto tale che la chiesa Matrice è vocata, proprio, a san Biagio. Ciò che, invece, non nasconde misteri è la lunga tradizione, tutta serrese, sviluppatasi attorno alla festa del Santo.

Alle manifestazioni liturgiche, caratterizzate da una processione molto partecipata che per tre volte faceva il periplo della chiesa Matrice, si associavano e si associa, tuttora, una singolare tradizione dolciaria. Ieri, come, oggi, infatti, i fedeli si recano in chiesa per far benedire gli “abbaculi”, tipici biscotti dall’inconfondibile forma del pastorale, il bastone usato dai vescovi durante le funzioni.

Al di là del riferimento liturgico e religioso, per secoli, gli “abbaculi” hanno rappresentato un vero e proprio suggello d’amore. Secondo la tradizione, infatti, nel giorno dedicato a san Biagio, il fidanzato donava alla promessa sposa un “abbaculu” decorato con mandorle e confetti.

Una volta benedetto, il biscotto veniva spezzato in due parti; la parte diritta rimaneva alla rappresentante del gentil sesso, mentre quella ricurva veniva restituita al futuro sposo. Una sorta di san Valentino in salsa serrese, caratterizzato dal riferimento, neppure troppo velato, alla sessualità ed alla fecondità della coppia.

Passati gli anni in cui la statua del Santo, durante la terza domenica d’agosto, veniva condotta al calvario, i serresi, nella giornata del tre febbraio non si sottraggono alla benedizione della gola attraverso l’imposizione di due candele incrociate.

Le due candele, rimandano al rito della Candelora, che, secondo Alfredo Cattabiani, sarebbe stato mutuato dalla festa in onore della dea Februa, ovvero Giunone, e all’usanza pagana di percorrere le strade impugnando fiaccole accese in segno di purificazione.

Tutto cristiano, invece, il culto legato alla benedizione della gola.

Secondo la tradizione, infatti, mentre veniva condotto a Sebaste (Armenia) per essere processato e poi condannato a morte, durante una persecuzione del IV secolo, san Biagio avrebbe salvato la vita ad un bambino in procinto di soffocare a causa di una lisca conficcataglisi in gola.

 

 

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Serra. Rottura di una tubatura a Spinetto: edificio allagato

Si è rotta una tubatura in via Milite Ignoto, nel quartiere Spinetto a Serra San Bruno. Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco che hanno effettuato un primissimo intervento. Presenti anche il sindaco Bruno Rosi ed agenti della Polizia Municipale  Il rischio da scongiurare è che l'acqua, già penetrata fino allo scantinato di un edificio, provochi ulteriori danni. E' per questa ragione che i residenti, amareggiati per un senso di abbandono da parte delle "istituzioni", si sono fatti carico dell'acquisto di una pompa utile ad affrontare l'emergenza notturna. 

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Aggressione dopo Serrese-Soriano: i Carabinieri stanno ricostruendo i fatti

Stanno lavorando attivamente i Carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, agli ordini del tenente Mattia Ivano Losciale, per ricostruire in modo dettagliato ed individuare i responsabili della rissa scatenatasi nel pomeriggio di domenica al termine dell'incontro fra la Serrese ed il Soriano. Uno dei calciatori della formazione di casa ha avuto la necessità di ricorrere alle cure mediche prestategli presso l'ospedale "San Bruno". I sanitari lo hanno giudicato guaribile in dieci giorni. Sulla base di quanto ricostruito fino al momento dagli investigatori, il litigio sarebbe iniziato già in campo  per poi proseguire lontano dallo stadio.  Pur non essendo stata presentata alcuna formale denuncia, i militari del'Arma hanno avviato le indagini finalizzate a chiarire il caso. 

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Il centro storico di Serra e l'identità perduta

Scivolare lungo il dedalo di viuzze di Serra San Bruno sprigiona emozioni che arrestano il corso naturale del tempo permettendogli di fare retromarcia e imboccare i percorsi lontani della storia. Ad ogni passo corrisponde una sana ubriacatura di ricordi, gli odori sembrano essere stati sempre lì, sospesi nell'aria frizzante, protetti da pareti esterne scrostate dall'inesorabilità di un trapasso nell'aldilà della memoria. Rinunciare alla custodia gelosa di quei tesori che scorrono uno dopo l'altro, stretti e vicini come fossero un corpo unico indistinguibile e non unità immobiliari distinte e separate, si è tradotto nell'abbandono del carattere più intimo della comunità serrese. E' la prova, sbattuta in faccia, della bandiera bianca alzata di fronte ad un mal interpretato progresso che ha contribuito a tagliare, fino a ridurlo in minuscoli pezzettini, quel destino comune un tempo inseguito in modo naturale, senza sforzi. Le lingue di  pietra che scorrono tuttora sotto i passi sempre meno frequenti dell'uomo circoscrivevano, in un passato che appare remoto, i confini di un enorme cortile: nessun limite a fissarne i margini, nessuna rivendicazione di proprietà privata perché, si sa, la strada è di tutti. Il dramma, vero, è che nel terzo millennio quei medesimi ciottoli, quelle medesime stradine incastonate in un labirinto di arte umile e preziosa, sono diventate di nessuno. Il vociare che dettava il ticchettio della quotidianità è stato strozzato dalla modernità che ha sprangato le porte e svuotato il presepe vivente 365 giorni l'anno. Non è nostalgia, è consapevolezza. Non è rimpianto a buon mercato, è coscienza collettiva che si affievolisce fino a morire. L'errore capitale non è di oggi, ma fu quello di non rendersene conto quando sarebbe stato possibile, quando sarebbe stato indispensabile. E' come se, di fronte ad un male che lentamente si affaccia in una parte vitale del corpo, si preferisca fingere che non esista: non vedere, non sentire, non parlare. Ma è un male che non lascia scampo se non arrestato immediatamente. Un incubo che avanza attaccandosi ovunque fino a bruciare l'anima. Questo è successo qualche decennio fa. E' lì, a qual bivio dell'urbanistica e, di conseguenza, della vita sociale, che Serra si è smarrita. Ha fatto e permesso ciò che non avrebbe dovuto, non ha fatto e non ha impedito ciò che avrebbe dovuto. Inseguendo uno sviluppo urbanistico che ha occupato oasi incontaminate,  stuprando ciascuna di esse, si è lasciata invadere dalla folle corsa a costruire ed ingoiare ogni centimetro di paradiso terrestre. A ridosso della gloriosa Certosa, lì dove comincia la ristoratrice passeggiata sotto la verde maestosità di alberi e foglie, fu addirittura edificata la sede della Compagnia Carabinieri. Ovunque, gli amministratori dell'epoca, avrebbero potuto concedere la licenza per costruire un edificio così imponente, ma non lì. E' stato un messaggio devastante, il segnale che la cittadina cara a San Brunone di Colonia rinunciava, da allora e per sempre, alla sua più intima vocazione turistica, in realtà mai coltivata con perseverante intelligenza e lucidità. Quel che ne è scaturito nel corso degli anni è stato il peggiore degli esiti: il centro storico ridotto ad una sbiadita e poco colorata cartolina raffigurante altre epoche e zone, un tempo consacrate alla natura incontaminata, ridotte a terreni buoni per alzare palazzi e palazzine, ville e villette. Il conto aperto, sul piano paesaggistico e sociale, non potrà mai più essere saldato, ma ingegnarsi per provare a restituire vita pulsante al cuore di Serra San Bruno è un'impresa che vale la pena perseguire. Consegnare al futuro l'identità di epoche intrise di maestria artigianale e solidarietà umana, recuperare, anche così, rapporti umani risvegliati dal torpore dell'insano egoismo sarebbe il modo migliore per rialzare la testa e riappropriarsi dell'identità perduta. Trovando forme, realistiche e concrete, per ripopolare case disabitate e voracemente consumate dall'usura dello scorrere delle stagioni permetterebbe all'anima serrese di sottrarsi alle maledette grinfie dell'oblio. 

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Comunali di Serra, il centrosinistra parte all'attacco: "Amministrazione fallimentare"

«Quattro anni di fallimenti e di promesse disattese». Questo il bilancio dell’amministrazione Rosi per il segretario giovanile dei Giovani democratici, Luigi Tassone, all’apertura ufficiale della campagna elettorale del centrosinistra per le prossime comunali di Serra San Bruno. Secondo il giovane democratico che ha introdotto la manifestazione “#ricostruireserraèpossibile” «con la vittoria del centrodestra è iniziato il declino e il regresso che ha comportato la mancanza delle più elementari regole di civiltà, il paese è una pattumiera con cumuli di rifiuti ovunque. Il centrodestra ha fallito». Ma il centrosinistra innanzi alla sala Chimirri piena di facce nuove ostenta sicurezza: «non abbiamo paura di vincere le elezioni, abbiamo le idee le persone e le competenze, il cambiamento è doveroso. Il nostro obiettivo è quello di ripristinare la normalità». Valeria Giancotti, dal canto suo, ha ripercorso il contesto storico nel quel si è verificata la vittoria del centrodestra e le promesse di quella compagine che «non hanno prodotto alcun risultato». L’obiettivo di Domenico Scarfone che per la prima volta si affaccia sulla scena politica serrese «è quello di far crescere questo paese per portarlo più in alto e farlo decollare. Dobbiamo lavorare bene insieme a questo progetto". Il segretario cittadino del circolo del Pd, Paolo Reitano ha chiamato il popolo serrese all’unità d’intenti col centrosinistra: «stasera lanciamo un messaggio, abbiamo bisogno di tutto il popolo serrese per stilare insieme un progetto fattibile e condiviso, collaborando con noi per la rinascita di Serra». Poi una stoccata allo «sprint di fine mandato di un'amministrazione che dopo quattro anni si sveglia dal letargo. Tutto questo non ha senso, l'amministrazione Rosi ormai appartiene al passato». Per Reitano la partenza deve avvenire «dalla cultura perché attraverso essa il popolo si rende libero". Per Vincenzo Damiani, quello che importa è che «non bisogna riprendere il Comune per ambizioni personali, ma per farlo rinascere». E’ apparso sicuro e molto convinto, Domenico Dominelli, secondo il quale «questo è un movimento al quale possiamo affidare il governo di questa città. Unità e novità importanti in questo nuovo centrosinistra che è pronto per vincere e per amministrare. Dobbiamo vincere per aiutare il popolo di Serra San Bruno che vuole uscire da un incubo durato cinque anni. Siamo nelle condizioni di dare le gambe al nostro progetto di rinnovamento ma tutto ciò che viene fuori dev'essere la sintesi del gruppo dirigente del centrosinistra deve indicarci l'anima della struttura e i suoi programmi».
Ha duramente stigmatizzato la vittoria elettorale del centrodestra, Pino Raffele, secondo cui «l'attuale sindaco Rosi nel 2011 vinse la competizione elettorale con false promesse e tutti stanno ancora aspettando. I cittadini dovrebbero riflettere – ha proseguito -  e comprendere di essere stati ingannati. Stanno facendo la loro campagna elettorale con delibere prove di copertura finanziaria, a questo ci opporremo con una opposizione ferma e dura». L’ex sindaco, Raffaele Lo Iacono, invece di quanto sarebbe successo nel Comune ha proposto una lettura diversa, a tratti sibillina: «Quello che è successo in questi ultimi anni di amministrazione non è dovuto ad incapacità ma c'è un disegno incomprensibile. Bisogna ricordare che c'è stata una commissione d'accesso che aveva chiesto lo scioglimento del Comune, questo significa che qualcosa ci sarà stato. L'amministrazione comunale ci mette la faccia ma la mente è all'esterno». Bruno Censore, deputato Pd, e artefice della ritrovata intesa del nuovo centrosinistra ha concluso la manifestazione, ponendo l’accenno sulle motivazioni che hanno indotto tutti a ritrovarsi: «Se stasera siamo qui – ha detto - è perché vogliamo dare il nostro contributo al nostro paese, sia che siamo interessati in prima persona sia se non lo siamo. Oggi Serra ha toccato il punto più basso da quando sono nate le municipalità, un livello così basso di degrado la nostra cittadina non lo ha mai toccato. C'è abbandono anche nelle cose più elementari. Ma siamo qui, i cittadini sono con noi e questo vuol dire che non ci siamo rassegnati. C'è rabbia e dobbiamo dare dignità ed opportunità a questo paese che ha una storia, un patrimonio e deve avere un futuro».




L'antica arte serrese del sanguinaccio

Lungo ed indissolubile è il legame che unisce la Calabria ed i calabresi al maiale. Al ”porco” andrebbe dedicata un’elegia nella quale decantare le sue incommensurabili virtù.

Ogni paese calabrese dovrebbe elevargli un monumento.

Per secoli, infatti, è stato proprio lui a restituire con gli interessi ciò che aveva ricevuto nel corso dell’anno. I beneficiati di una tale provvidenza, a tutte le latitudini, si sono ingegnati a conservare, per i tempi grami, tutto ciò che si potesse deteriorare. Ma, poiché, del buon suino non si butta via niente, la fantasia e la fame si sono coalizzate per trasformare in leccornie, anche le parti apparentemente meno appetibili.

Così, ad esempio, il sangue che oggi renderebbe insonni le notti di tanti schizzinosi, per decenni ha garantito un buon apporto calorico agli strati popolari.

Quando l’arte culinaria non veniva ancora esercitata in asettici studi televisivi, ma sulla fiamma del focolare, tante donne s’industriavano a trasformare il sangue del maiale in sanguinaccio.

Non stiamo parlando, ovviamente, della versione dolce, bensì di quella destinata ai palati più audaci.

Un’arte che a Serra trovava espressione nelle rivendite, generalmente le macellerie, dove era possibile acquistare “nu capu di sangunazzu”. All’uscita dalla messa domenicale di “la Curunedha”, i serresi di un tempo non andavano a fare colazione al bar; si recavano, piuttosto, a comprare un pezzo di sanguinaccio, che veniva portato a casa per essere condiviso con il resto della famiglia. Il più delle volte, però, prendeva un'altra strada per finire associato ad almeno un quarto di vino in una delle tante osterie che popolavano il centro storico.

La genesi del sanguinaccio iniziava, ovviamente, con l’uccisione del maiale quando qualche “novizio” veniva incaricato di raccogliere in un contenitore ogni stilla di sangue fuoriuscita dalla ferita prodotta dalle mani esperti di chi si faceva carico di mandare all’altro mondo il miglior amico dei calabresi. A quel punto, con l’ausilio di un cucchiaio di legno, o più semplicemente con una mano s’iniziava a girare vigorosamente il liquido appena raccolto affinché non coagulasse. Lasciato qualche ora a riposare, poteva prendere due strade. La prima, vedeva protagonisti i rivenditori che passavano per le case a proporre mestoli di sangue che finiva in una padella, fritto con un filo d’olio. L’altra, quella più elaborata, portava direttamente nelle cucine in cui le abili mani di donne esperte iniziavano a mette in fila gli ingredienti necessari a produrre il prelibato sanguinaccio.

S’iniziava facendo friggere il grasso di maiale tagliato a pezzettini minuscoli, frattanto, seguendo le giuste proporzioni, il sangue veniva miscelato ad acqua. Era poi la volta del sale e del pepe nero, il tutto, una volta unito, finiva nelle budella, le stesse utilizzate per insaccare le salsicce. A quel punto, iniziava il lavoro più delicato, la cottura. Si trattava di un processo per il quale serviva una perizia di lungo corso. Bisognava, infatti, riconoscere la giusta temperatura per evitare che, nel caso l’acqua fosse troppo calda, le budella si rompessero, facendo fuoriuscire il contenuto. Al contrario, una temperatura non adeguata, avrebbe impedito al sangue di coagulare, rendendolo immangiabile. Inconvenienti nei quali, tuttavia, non incorreva chi riusciva a guadagnarsi da vivere con un mestiere oggi impensabile. Completata la cottura, iniziava la vendita.

Gli avventori avviavano, così, il loro lento pellegrinaggio per “reclamare” una parte di sanguinaccio. Consuetudine imponeva che lo si mangiasse infilandolo in bocca e sfilandone lentamente il contenuto. Una delizia, oggi quasi del tutto estinta, che ha allietato per decenni i rustici palati di persone che, a Cracco ed ai vegani, avrebbero fatto una sonora pernacchia.

 

 

 

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Serra: diminuiscono i residenti, crescono gli stranieri. I numeri della decadenza

Fanno riflettere e anche tanto, perché ormai una sorta di involuzione economica e culturale pare essersi concretizzata. I dati forniti dall’Ufficio anagrafe confermano il trend riguardante la popolazione della cittadina della Certosa: continua infatti la fase discendente con una perdita di 39 unità (nel 2014 il saldo era stato di – 61). Gli abitanti di Serra passano da 6773 a 6734. Le persone che hanno posto nell’anno appena trascorso la residenza nel principale centro montano del Vibonese sono 112, quelle che si sono trasferite altrove 142.

Anno

2015

Nati

51

Morti

60

Iscritti

112

Cancellati

142

Saldo

-39

Interessanti anche i numeri concernenti quelli che tecnicamente vengono definiti stranieri (non italiani, senza considerare la loro appartenenza o meno alla Comunità europea): nel 2014 erano 184, nel 2015 invece 204. La sensazione è che, per come accade per la stragrande maggioranza dei paesi montani del centro-sud, le condizioni di vita spingano ad una fuga verso le realtà più avanzate, dove la realizzazione umana e professionale è più agevole. I tagli riservati ai servizi ed agli uffici pubblici non fanno che aumentare la tendenza e chi rimane lo fa compiendo non irrilevanti rinunce. Le migliori energie vanno via: cercare di invertire la rotta è così sempre più difficile, soprattutto perché in questo contesto la meritocrazia e la preparazione sono concetti marginali e destinati a soccombere al cospetto di logiche diverse da quelle produttive.

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