La Calabria al quarto posto nella classifica del "mare illegale"

E’ impietoso il rapporto “Mare Monstrum” 2016 pubblicato da Legambiente. Il documento che descrive la situazione delle coste italiane, traccia un quadro a tinte fosche soprattutto per la Calabria, posizionata al quarto posto nella poco lusinghiera graduatoria del “mare illegale”. Le sanzioni accertate, culminate in 1.830 arresti o denunce, sono state 1.838, ovvero il 10% del totale nazionale. Peggio della Calabria hanno fatto solo il Lazio (1.920 infrazioni), la Sicilia (3.021 infrazioni) e la Campania (3.110 infrazioni). Ancor più allarmante il dato relativo alla cementificazione (il primato spetta alla Campania) dove, con 593 violazioni  pari al 13,2% del totale, la Calabria ha conquistato il secondo gradino più alto del podio. Nella gran parte, i reati legati alla cementificazione, che hanno portato all’arresto o alla denuncia di 560 persone, sono stati compiuti per costruire case, stabilimenti turistici, hotel, villaggi vacanza ed altre infrastrutture private sul demanio marittimo o in aree vincolate. Tra i casi che, su scala nazionale, occupano i primi 5 gradini  dell'abusivismo edilizio, Legambiente inserisce l’area del parco archeologico di Capo Colonna, a Crotone, “dove – si legge nel rapporto - ci sono 35 costruzioni abusive. si tratta di case sotto sequestro dalla metà degli anni novanta che sopravvivono indisturbate alle ruspe e la loro presenza, oltre a impedire l’estensione del parco a tutto il sito archeologico, testimonia l’inerzia della pubblica amministrazione che, nonostante la confisca definitiva, non si decide a buttarle giù. Già nel 2009 la Goletta verde di Legambiente ha consegnato al sindaco la Bandiera nera, il vessillo che ogni anno assegna ai ‘pirati del mare’, coloro che a vario titolo si rendono colpevoli o complici di gravi vicende di illegalità ai danni delle coste e del mare. Neanche questo è servito a riportare giustizia in quell’angolo di Calabria: uno dei peggiori sfregi al paesaggio, alla storia e alla cultura italiana è ancora lì. Una vicenda giudiziaria che inizia nel 1995, quando il pretore dispose il sequestro di centinaia di metri cubi in cemento armato sorti su una delle aree archeologiche più vaste d’Europa nel silenzio degli amministratori locali. Nel febbraio del 2004 la prima sentenza nei confronti di 35 proprietari: assoluzione per prescrizione del reato, ma confisca 12 degli immobili. Quelle case, dunque, sono e restano abusive. Il lungo iter giudiziario si è concluso, ma la vergogna di cemento, fatta di villette, condomini, scalinate a mare e cortili resta intatta. Il problema, secondo il Comune, starebbe nel fatto che le case sono abitate e l’intervento delle ruspe creerebbe problemi di ordine pubblico. Un alibi che suscita non poche perplessità. Soprattutto se si considera che ad aprile del 2012 lo stesso sindaco che teme i disordini nella zona archeologica, dopo 14 anni dalla confisca, ha fatto sgomberare coattivamente una palazzina - sempre a Capo Colonna - di proprietà di una famiglia della ‘ndrangheta. Un intervento riuscito impiegando uno squadrone composto da carabinieri, polizia, vigili urbani e vigili del fuoco. Dopo aver fatto uscire gli occupanti, ha addirittura provveduto alla rimozione di mobili e suppellettili con una ditta di traslochi e fatto staccare elettricità e acqua dalle aziende fornitrici. Non è certo mancata la resistenza delle famiglie, ma in poche ore tutto si è risolto come deciso. Un miracolo? Un colpo di fortuna? Ci piacerebbe che il primo cittadino tentasse la sorte anche con lo sgombero delle vergognose ville nel Parco archeologico”.

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