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Spaccio di droga gestito dalla 'ndrangheta: arrestate 9 persone

Nove sono le persone finite in manette nell'ambito di un'operazione condotta dai Carabinieri in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare che il giudice delle indagini preliminari  del Tribunale di Roma ha emesso accogliendo l'istanza avanzata dalla Direzione distrettuale Antimafia. Quattro di loro sono accusate di appartenere ad una organizzazione criminale dedita allo spaccio di droga proveniente dalla Calabria e smerciata sulle piazze dell'hinterland capitolino. Secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, l'associazione a delinquere si sarebbe servita di giovanissimi non ancora maggiorenni, avrebbe avuto armi a disposizione e favorito gli interessi della 'ndrangheta. L'attività odierna si è sviluppata, oltre che a Roma, anche a Castelnuovo di Porto Guidona Montecelio, Tivoli e, in provincia di Reggio Calabria, ad Africo Nuovo e Bovalino. Leader del gruppo sgominato stamane sarebbe un uomo di 34 anni nato a San Luca e vicino al clan Nirta-Romeo-Giorgi, per il quale è ipotizzato, tra gli altri, il reato di intestazione fittizia di attività commerciali. I militari dell'Arma di Tivoli, nel contesto delle perquisizioni e dei sequestri effettuati in queste ore, si sono imbattuti in "pizzini" di cui sarebbe autore un boss della criminalità organizzata calabrese attualmente dietro le sbarre. Fogli che conterrebbero precise direttive relative alla conduzione del traffico di droga. Un particolare che ha convinto gli investigatori a ritenere come esso fosse direttamente gestito dalla 'ndrangheta. 

Operazione "Saggio compagno": smantellate tre cosche di 'ndrangheta

Nelle prime ore di oggi nelle province di Reggio Calabria ed in quelle di Roma, Verbania e Vibo Valentia i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con l’ausilio di personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori "Calabria", in esecuzione a decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, hanno tratto in arresto 36 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, ricettazione, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, favoreggiamento personale, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, estorsione, furto, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate, danneggiamento seguito da incendio, tutti aggravati dal metodo mafioso. Nella circostanza sono state, altresì, effettuate 11 perquisizioni domiciliari nei confronti di altrettanti indagati nel medesimo procedimento. Le indagini, avviate dalla Compagnia Carabinieri di Taurianova sin dal novembre 2013, che si sono avvalse anche delle propalazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, hanno consentito di delineare gli assetti nonché di acclarare l’appartenenza degli indagati, anche con ruoli di vertice, alle cosche Petullà, Ladini e Foriglio, quali articolazioni autonome dell’associazione per delinquere di tipo 'ndranghetistico nota come locale di Cinquefrondi, operante nel territorio dei Comuni di Cinquefrondi e Anoia con ramificazioni in tutta la provincia ed in altre province. L’attività della cosca, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, era finalizzata al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona mediante il compimento di una serie indeterminata di delitti in materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro il patrimonio, la vita e l’incolumità individuale, in materia di commercio di sostanze stupefacenti, favoreggiamento latitanti, nonché delitti volti ad acquisire direttamente e indirettamente la gestione e/o il controllo di attività economiche, in particolare nel settore degli appalti boschivi, ed ogni altra attività illecita. Si procederà, inoltre, al sequestro di beni mobili ed immobili riconducibili ad alcuni degli indagati per un valore stimato in oltre cinquecento mila euro mentre l’attività ha permesso nel tempo di procedere già all’arresto di 8 persone, al sequestro di oltre un chilogrammo di cocaina ed al rinvenimento di numerose armi da guerra e comuni da sparo. I particolari dell’operazione "Saggio compagno" saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che sarà tenuta presso il Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria alle ore 11:00 odierne.

 

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Associazione mafiosa, maxi-operazione alle prime luci dell’alba

Dalle prime ore di stamattina nella provincia di Reggio Calabria ed in altre province è in corso una vasta operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria per l’esecuzione di 37 provvedimenti di fermo di indiziato di delitto emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria nonché di numerose perquisizioni. I reati contestati sono associazione per delinquere di tipo mafioso, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, ricettazione, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, favoreggiamento personale, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, estorsione, furto, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate, danneggiamento seguito da incendio, tutti aggravati dal metodo mafioso.

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La 'ndrangheta "ripulisce" i soldi della droga nel mercato della frutta: 4 arresti

La Guardia di Finanza, sotto la direzione del Procuratore Aggiunto della DDA Giovanni Bombrdieri e del Sostituto Procuratore Antimafia Pierpaolo Bruni, ha proceduto oggi al fermo di: Michele Iannelli, 40enne di Cetraro; Fabrizio Iannelli, 38enne di Cetraro; Christian Onorato, 27enne di Cetaro; Pierangelo Iacovo, 26enne di Cetraro, soggetti sospettati di essere legati alla cosca Muto ed accusati di aver dato vita ad un imponente traffico di stupefacenti. Ma non solo: con le attività di ieri si conclude un’indagine durata più di un anno, che ha consentito di smantellare il presunto sodalizio e di disvelare, secondo gli inquirenti, come la 'ndrangheta cetrarese impiega i capitali provento della vendita di droga. Contestualmente ai fermi, infatti, i Finanzieri di Cosenza hanno sequestrato un ingrosso e due punti vendita al dettaglio di frutta e verdura fittiziamente intestati ad alcuni prestanome ma, a parere degli investigatori, di fatto gestiti dal pluripregiudicato Michele Iannelli alias "Tavolone". Dopo un anno di intense attività, la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, partendo dagli elementi emersi nel corso delle indagini, ha emesso i quattro provvedimenti restrittivi volti ad evitare che gli indagati potessero darsi alla fuga e tre decreti di sequestro d’urgenza delle ditte, con lo scopo di porre fine ad un’attività di riciclaggio che, oltre a ripulire i soldi della droga, garantiva, sostengono le Fiamme Gialle, ulteriori introiti alla consorteria, condizionando il mercato ortofrutticolo di una vasta area della provincia. L’indagine ha inizio circa un anno fa, quando i Finanzieri scoprivano una vera e propria raffineria di droga sulle alture di Cetraro: un’imponente centrale adibita allo stoccaggio, confezionamento e distribuzione di grosse partite di marijuana e cocaina gestita dalla 'ndrangheta cetrarese. Migliaia di piante, di cui oltre tremila in fase di essiccazione e altre sessanta pronte per il travaso nonché circa due quintali di "erba" stipati in cinquanta balle, ciascuna contenente un quantitativo di stupefacente variabile tra i due e i cinque chilogrammi e migliaia di semi di pregiata qualità provenienti probabilmente dal mercato olandese. Avanzatissimo il sistema utilizzato per la produzione dello stupefacente: un impianto "industriale" di essiccazione intensiva, completo di apparato di areazione perfettamente funzionante nonché di un sistema di illuminazione, capace di sfruttare al meglio anche la luce naturale – per mezzo appositi pannelli trasparenti installati al soffitto – integrato da lampade alogene oltre ad un impianto di irrigazione e di riscaldamento. Ma non solo marijuana. Quattrocento grammi di cocaina, conservata sottovuoto, pronta per essere spacciata e sostanza in polvere utilizzata per il "taglio"; strumenti e contenitori necessari per il confezionamento dello stupefacente e tre ciclomotori di provenienza furtiva. A protezione della "preziosa merce" e della intera area utilizzata per l’illecita produzione i sospetti malviventi avevano installato un sofisticato impianto di videosorveglianza attraverso il quale riuscivano a controllare tutti i "movimenti" che, però, nulla ha potuto nei confronti della destrezza e tenacia posta in campo dai finanzieri. Le Fiamme Gialle ritengono di essere penetrate nel punto più segreto per ogni narcos: dove conserva il suo "tesoro". Un tesoro da circa 10 milioni di euro che i presunti affiliati alla cosca Muto intendevano, riferiscono i finanzieri, difendere con ogni mezzo. I militari della GdF, infatti, nel corso delle perquisizioni hanno rinvenuto  due pistole, un fucile a pompa, due carabine e migliaia di munizioni. Sin dai primi momenti i militari si rendevano conto che dietro una produzione tanto imponente non poteva che esserci la lunga mano dei potenti clan cetraresi. È così che, sotto l’egida della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, i finanzieri hanno cercato ogni singolo elemento utile per risalire la filiera e rintracciare i responsabili del traffico di droga. Oltre alle armi e alla droga i finanzieri hanno scoperto quello che si è rivelato essere il "libro mastro" del clan: vendite di grosse partite di stupefacenti, acquisti di materiale utile per la coltivazione e lo stoccaggio della marijuana e per il taglio della cocaina e, soprattutto, la spartizione dei proventi tra i quattro fermati che compaiono sistematicamente in ogni appunto dove si procede alla spartizione degli "utili". Mesi di lavoro hanno portato gli investigatori a decriptare cifre e sigle, riuscendo a dare un nome ed un volto ai presunti componenti del sodalizio e riuscendo a ricostruire un volume d’affari di enormi proporzioni. Come dimostrato, Michele Iannelli, considerato il leader della consorteria, riciclava, a giudizio delle Fiamme Gialle, gli ingenti proventi in una serie di attività commerciali dalle lecite parvenze, punti vendita di prodotti ortofrutticoli che il pluripregiudicato, già colpito da misure cautelari reali per essere stato coinvolto in altre inchieste della DDA di Catanzaro, aveva intestato ad una serie di prestanome tra cui lo stesso Onorato. Era infatti Michele Iannelli, è la conclusione degli investigatori, ad occuparsi della gestione dei tre esercizi commerciali, pretendendo dai suoi collaboratori ordine e disciplina, rimproverandoli per i ritardi nelle consegne o per le mancate riscossioni dei crediti. Quando i vari attendenti si dimostravano incapaci nel farsi pagare dai clienti era lo stesso "Tavolone" a farsi avanti per risolvere le "pendenze" sfruttando "fama" e stazza fisica. Nei confronti delle teste di legno, a loro volta denunciati per la normativa antimafia in materia di intestazioni fittizie, sono state estese le attività di perquisizione che hanno consentito il sequestro di altra documentazione che potrebbe rivelarsi utile per consolidare le posizioni dei fermati. Gli inquirenti sono convinti di aver così scoperto e represso uno dei canali attraverso il quale la 'ndrangheta cetrarese ripulisce i soldi della droga, distorce il mercato lecito, emargina gli onesti contribuenti e crea un nuovo monopolio di illegalità.

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'Ndrangheta: catturato uno dei 100 latitanti più pericolosi

Sei arresti sono stati effettuati nell'ambito di un'inchiesta contro il traffico internazionale di cocaina gestito dalla 'ndrangheta. Ad eseguire i provvedimenti restrittivi sono stati i poliziotti della Squadra Mobile di Bologna, coadiuvati dalla Direzione Centrale per i servizi antidroga  e dal Servizio Centrale Operativo.  Uno dei destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere è Sebastiano Signanti, ricercato da tempo e presente nell'elendo dei cento latitanti più pericolosi. Nato a Reggio Calabria, è stato scovato e catturato in Belgio doveva aveva trovato riparo. 

Confiscati beni per 1,5 milioni di euro ad un affiliato alla 'ndrangheta

La Direzione investigativa antimafia ha confiscato beni, il cui importo complessivamente ammonta a quasi 1,5 milioni di euro, al cinquantunenne Cosimo Alvaro, al momento in galera e ritenuto affiliato all'omonimo clan di Sinopoli, che ha interessi criminali nell'area compresa fra Cosoleto, Sant'Eufemia in Aspromonte, San Procopio e nella stessa Reggio Calabria.  Un paio di decenni addietro fu riconosciuto responsabile, con sentenza passata in giudicato, di illeciti connessi alla droga. In conseguenza di tale vicenda giudiziaria divenne, inoltre, un sorvegliato speciale. Nel 2010 fu tratto in arresto nell'ambito dell'inchiesta denominata "Meta", da cui scaturì un processo che gli procurò una condanna a più di diciassette anni di reclusione. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, influenzò le elezioni amministrative che si celebrarono a San Procopio. La successiva operazione ribattezzata "Xenopolis" confermò, a parere degli investigatori, il suo status di soggetto stabilmente appartenente alla 'ndrangheta. Lo scorso anno, al termine del dibattimento processuale, è stato giudicato colpevole del reato di associazione mafiosa e condannato a nove anni di carcere.  

'Ndrangheta, operazione "Picciotteria": sequestrati altri 200 chili di cocaina arrivati dalla Colombia

Dopo il sequestro di circa 130 chilogrammi portato a termine la scorsa settimana, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Venezia hanno intercettato un ulteriore carico di cocaina. Nella giornata del 9 dicembre, infatti, dal porto di Livorno è giunto un container destinato allo sdoganamento presso gli spazi doganali del porto veneziano. Il carico ufficialmente dichiarato era costituito da banane, ma le Fiamme Gialle di Venezia sapevano già, grazie alle investigazioni condotte, che all’interno delle casse di frutta tropicale avrebbero trovato ben altro e, pertanto, hanno atteso l’arrivo del carico a Venezia con in mano un decreto di perquisizione della Direzione Distrettuale Antimafia veneziana. Non appena giunto negli spazi doganali, il container è stato ispezionato a fondo dai militari del Nucleo di polizia tributaria, coadiuvati dai colleghi del II Gruppo di Venezia, dai 'Baschi verdi' e dai funzionari dell’Agenzia delle Dogane. Nel corso delle operazioni, nascosti fra i bancali, sono stati individuati 188 panetti di cocaina purissima, ciascuno del peso di circa 1.200 grammi, per un totale di oltre 220 chilogrammi. Si trattava di una nuova partita di droga destinata al presunto sodalizio criminale 'ndranghetista smantellato la scorsa settimana, operante principalmente nel veneziano e nell’hinterland milanese, che era stata ordinata nello scorso mese di novembre e che i trafficanti avrebbero dovuto prendere in consegna proprio in questi giorni. Gli arresti di giovedì scorso, invece, secondo gli inquirenti, hanno fatto saltare completamente i piani e non hanno reso possibile fermare il carico, che era già salpato a bordo di una nave dal porto di Turbo, in Colombia.

 

Onoriamo i veri eroi bonificando la giungla della fasulla anti 'ndrangheta

Era ora che qualcuno, a livello istituzionale, aprisse gli occhi e smettesse di voltarsi dall'altra parte davanti allo scandalo della corruzione delle anime e delle menti che i "professionisti dell'antimafia" allestiscono con una spregiudicatezza pari solo all'omertà di chi intuisce e tace. La Commissione parlamentare antimafia, infatti, ha deciso di aprire uno squarcio definitivo sulla gestione di associazioni e fondazioni che si sono rivelate un perfetto trampolino di lancio per personaggi senza arte né parte, arricchitisi di denaro e popolarità ingiustificata. L'azione di pulizia deve, però, essere, radicale. Non limitarsi a raccogliere nella rete i "pesci piccoli" per esibire risultati di fronte all'opinione pubblica, troppo spesso pigra nell'esaltazione di sedicenti star della lotta alla criminalità organizzata. In questo calderone della vergogna, è bene che gli inquilini di Palazzo San Macuto lo abbiano ben chiaro fin dai primi passi, si affollano in tanti: giornalisti, politici, parenti di vittime, istituzioni laiche e religiose, magistrati, sì, anche magistrati talmente impegnati nell'attività di divulgazione del nulla da dimenticare di avere un ufficio dotato di sedia, scrivania e faldoni su cui sgobbare per mettersi concretamente di traverso alle scorribande criminali di mafia, camorra e 'ndrangheta. Autentici truffatori della buona fede di un popolo pigramente inginocchiato al cospetto del sacro furore del simbolismo. Non c'è bisogno di ricordare in questa occasione quale sia stata la sorte in vita di Giovanni Falcone o di Paolo Borsellino, osteggiati con uno stillicidio di parole velenose ed atti paralizzanti da quegli stessi colleghi che, una volta defunti, li hanno sistemati come santini sulle rispettive scrivanie. Deturpare la nobiltà della eterna lotta tra il bene ed il male, tra la vita e la morte, per meschini interessi affaristici è, prima ancora che un'azione disdicevole, una disposizione d'animo criminale. Solo il ridicolo autocompiacimento del politico medio disegnato dalle dinamiche moderne è pari all'insulsa autoreferenzialità di falsi profeti che si dimenano tra un convegno ricco di tartine quanto vuoto di contenuti ed una patetica "iniziativa con le scuole". Perché l'operazione riesca a determinare un mutamento sostanziale nella percezione e nel giudizio nei confronti di questa categoria di sciacalli è assolutamente indispensabile, però, che la stessa Commissione parlamentare antimafia si svincoli da legami con soggetti che, senza né arte né parte, si sono insinuati nelle maglie larghe delle consulenze elargite in assenza di meriti di qualsivoglia natura. Il rischio, altrimenti, è che affidandosi a corrucciati "esperti" in cerca d'autore, in Calabria come in Campania e Sicilia si formi una casta altrettanto pericolosa, formata da quella medesima categoria di avvoltoi del web, della toga o del buonismo associativo, oggetto, nelle intenzioni dei componenti dell'organismo di Palazzo San Macuto, di una radicale azione di pulizia. Consegnarsi alla schiera di millantatori che si aggirano famelici, carichi di ignoranza e furbizia, nelle redazioni dei giornali o nei Palazzi di Giustizia, sarebbe, infatti, il definitivo inchino alla menzogna creata ad arte da quel corto circuito mediatico-giudiziario che da decenni assassina la possibilità di combattere, per davvero, le organizzazioni criminali.  

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