Mongiana: il professore dell’Università di Nottingham David Laven in visita alle ferriere borboniche

David Laven, professore associato in Storia dell’Università di Nottingham, in occasione del suo tour in Calabria, organizzato dall’Associazione culturale “Osservatorio delle due Sicilie, farà tappa anche a Mongiana (Vv), per un incontro voluto dal sindaco, Bruno Ioffrida.

Accompagnato dal sindaco e dal professore Danilo Franco visiterà il MuFar - Museo fabbrica d’armi – Reali ferriere borboniche e la Real fonderia oggetto di una recentissima campagna di scavi da parte della soprintendenza. La visita si concluderà nella sala multimediale dello stesso Museo ove il sindaco intratterrà l’illustre ospite nell’auspicio di instaurare un proficuo rapporto di scambi culturali fra il piccolo, ma importantissimo per il valore storico, comune delle Serre e la prestigiosa Università inglese.

Il professor David Laven, ha iniziato ieri il suo giro di incontri calabresi, presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, e proseguirà nella giornata di oggi, alle ore 8.30, presso l’Auditorium del Liceo Campanella, dove incontrerà gli studenti per una lezione sulla ricerca d’archivio, in sintonia con il lavoro svolto da alcuni studenti della stessa scuola i quali hanno fatto una ricerca nell’archivio di Stato di Catanzaro, sezione Lamezia Terme, e i cui risultati saranno resi noti a breve. Nel pomeriggio il tour proseguirà, e si concluderà, appunto, a Mongiana.

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Con l'assedio di Gaeta, il 13 febbraio 1861 finisce il Regno delle Due Sicilie

Dopo il Volturno, quando in qualche modo la guerra poteva prendere una piega diversa ma Francesco e Ritucci si ritirarono, il nuovo comandante, Salzano, propose la guerriglia; quella che poi si scatenerà, ma senza coordinamento, nel cd brigantaggio. Francesco, illuso di qualche mediazione o intervento, decise di chiudersi in Gaeta.

 L’antichissima fortezza, nei secoli, aveva resistito a molti assedi. Era tuttavia poco e nulla ammodernata per un resistenza passiva; e poco armata per una attiva. Le truppe borboniche, circa 15.000 uomini, erano troppe per un assedio e troppo poche per eventuali sortite.

 L’esercito sardo, comandato dal Cialdini, aveva un compito molto preciso, il “Fate presto”, dettato da Napoleone III. Presto, prima che scoppiasse qualche complicazione internazionale dall’esito imprevedibile; e prima che si dovesse temere l’insurrezione popolare mentre Francesco era ancora nel territorio del Regno.

 Contraddittorio come spesso, l’imperatore tenne però una squadra navale al largo di Gaeta, e impedì l’attacco dal mare.

 Per accelerare i tempi, i Sardi disponevano di una potente artiglieria terrestre, i cannoni rigati Cavalli, che, senza poter essere contrastati, colpivano con effetti devastanti.

 Il 19 gennaio si ritirò la squadra francese, e Persano poté attaccare dal “fronte di mare”. Si erano unite a lui da tempo le navi napoletane, potente e inutile forza navale del Regno.

 Due sortite, volute dal generale Bosco, mostrarono il valore dei soldati borbonici, ma senza effetto. Era quel valore che non si era potuto mostrare in Sicilia e al Volturno, a causa dell’imbecillità dei generali e del carattere mite del re. Sarebbe stato necessario battersi sul campo, e non disperatamente e quando era troppo tardi.

 Al bombardamento si aggiunse il tifo, causando malattie e morti. Si avvicinava la fine, secondo le vecchie regola del Vauban, che obbligavano una fortezza a resistere per l’onore, ma non oltre un ragionevole limite.

 Il 13 febbraio la fortezza si arrese ai soli fini militari, senza implicazioni politiche. Una nave francese condusse Francesco II a Roma, ospite di Pio IX, ma anche in questo caso senza alcuna valenza politica, e in quanto Farnese, non in quanto re che rivendicava legittimità.

 Di fronte al fatto compiuto, e avvalendosi formalmente dei plebisciti, il 17 marzo Vittorio Emanuele venne proclamato re d’Italia, con implicita abrogazione di tutti i precedenti titoli suoi e altrui. 

 Iniziava intanto la guerra vera, quella dei briganti borbonici, che durerà molti anni.

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Epitome di storia politica del Regno delle due Sicilie, il nuovo libro di Ulderico Nisticò

Detto in generale, la storia meridionale è nota quasi solo come favola: o favola triste, o favola magnifica; ma sempre in modo da suscitare emozioni e non riflessioni.

 I fatti, nudi e crudi, sono poco e male conosciuti, e si leggono e si sentono affermazioni immaginarire e da opposte tifoserie al bar. Se qualche notizia si va diffondendo, generalmente a sproposito, è solo al fine di celebrare presunte ricchezze e fantasiosi primati, e tutto in un'ottica meramente economicistica borghese; e applicando al passato i criteri del presente. È ormai di moda spacciare scoperte di dovizie e lussi e tecnologie, per poi attribuire la scomparsa ai cattivi, purchè non sia mai colpa dei Meridionali: Garibaldi, e, nei rari casi in cui se ne sappia l'esistenza di Cavour, mentre appare del tutto ignoto Napoleone III.

 Alcuni volenterosi si sono dati allo studio dei particolari, ma, sconoscendo la storia generale del XIX secolo in Europa e in Italia, vogliono interpretare la storia alla luce dei piccoli particolari; una navicella diventa flotta; qualche morto, genocidio. Non bisogna, infatti, dimenticare la natura barocca dei dialetti meridionali, e che, sempre detto in generale, il meridionale anche colto scrive e parla in italiano ma pensa in dialetto. Da ciò l'evidente che tutti, ma proprio tutti, hanno un nonno barone.

 Queste sintetiche premesse giustificano la necessità di scrivere un libro di storia delle Due Sicilie (1816 - 1861), senza nulla aggiungere a quanto dovrebbe sapere una persona di buona cultura, e che però non si sa. Si narrano le vicende per le quali, tra il 1812 e il '15, si dovette giungere all'annessione della Sicilia a Napoli, con tutte le funeste conseguenze dei decenni seguenti ; il tentativo del Regno di darsi un'identità;  infine il suo ripiegarsi nell'isolamento e autoisolamento, e la fine.

 La fine che in un nulla è dovuta a cause economiche, ma a cause politiche: assenza di un partito borbonico o almeno regio; incapacità di rapporti politici internazionali pur in presenza di rapporti commerciali; inutile accumulo di denaro pubblico non speso, e arretratezza di strutture; corruzione di esercito, marina e polizia; indifferenza di fronte agli eventi italiani dal 1856 al '60, anzi loro palese scarsa informazione. Questa è la grigia verità, che, come si vede, è senza favole.

L'autore suggerisce, e ribadisce nelle "Spigolature", seconda parte del loro, che questi vizi il Meridione li mantiene anche nel 2017, con una desolante carenza di classe diriginte politica e culturale

 

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A Lamezia la "Giornata identitaria" dedicata al Regno delle Due Sicilie

Organizzata dall’associazione culturale “Osservatorio delle Due Sicilie”, è in programma per il prossimo giovedì 1 dicembre, a Lamezia Terme, la “Giornata Identitaria”. Scopo della manifestazione è quello di illustrare la storia attraverso diversi strumenti che vanno dalla carta stampata, alla narrazione teatrale, alla lezione  e differenti luoghi, dalla scuola al teatro.

 La “giornata” inizierà il pomeriggio alle ore 17.00  presso l' “Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e Ristorativi" Luigi Einaudi ", con una lezione di "Storia Patria” tenuta dallo storico Alessandro Romano, coordinatore nazionale dell’associazione culturale “Movimento Neoborbonico” e autore di diversi libri tra cui “Perché non festeggiamo l’Unità d’Italia”.

Alle ore 19.30 presso il Teatro “Franco Costabile”, ex Politeama, di Sambiase, in collaborazione con l’associazione teatrale “I Vacantusi” e col patrocinio del Comune di Lamezia Terme, si terrà la presentazione del libro “Carnefici” di Pino Aprile alla presenza dello stesso autore.

In seguito, alle ore 21.00 avrà luogo lo spettacolo teatrale “Terroni” con  la partecipazione dell’autore, attore e commediografo, Roberto D’Alessandro. Autore dell’ormai famoso monologo “Io non sapevo” tratto proprio da “Terroni. Lo spettacolo sarà arricchito dalla musica di Eugenio Bennato e di Domenico Modugno. 

Il costo dello spettacolo teatrale, preceduto dal colloquio con Pino Aprile, è di 10 euro.

 La riflessione sul Risorgimento dello storico Alessandro Romano continuerà, infine, il giorno successivo, venerdì 2 dicembre, alle ore 9.00 presso il Liceo “Tommaso Campanella”, via Vittorio Bachelet.

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A Crotone convegno su "Carlo di Borbone e le riforme nel Regno delle Due Sicilie"

Anche la città di Crotone ospiterà i Borbone. Si tratta dell’incontro di studi sul tema “Carlo di Borbone e le riforme nel Regno delle Due Sicilie” voluto e organizzato dal Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e patrocinato dal Comune di Crotone. 

Il convegno, moderato dal giornalista Antonio Oliverio, vedrà gli interventi di rito del vicesindaco e assessore comunale alla Cultura Antonella Cosentino e di Aurelio Badolati, Delegato vicario per la Calabria del Sacro Ordine Costantiniano di San Giorno.

Il tema, come annunciato, sarà ampiamente trattato dalle relazione di Antonio Savaglio, Deputato di Storia Patria per la Calabria e da Mario Caligiuri, docente di Pedagogia della comunicazione presso l’Università della Calabria.

Appuntamento, presso la sala consiliare del Municipio di Crotone in piazza della Resistenza il prossimo 5 novembre alle ore 18

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Storia vera delle "Reali ferriere ed officine di Mongiana"

La Calabria vanta un vecchio legame con l’estrazione e la lavorazione dei metalli. Una storia  ricostruita, nei primi anni settanta, da Gennaro Matacena e Brunello De Stefano Manno nel volume “Le reali ferriere ed officine di Mongiana”. L’insediamento mongianese ha rappresentato “l’ultima testimonianza di un’attività fusiva che in Calabria risale al tempo degli insediamenti commerciali fenici”. Un’attività, nata in ragione di un vantaggio competitivo determinato dalla disponibilità di tutte le materie prime necessarie. La presenza del ferro nelle miniere dei monti Stella e Cosolino che circondano il triangolo Stilo – Bivongi - Pazzano; i ricchi boschi di faggio di Monte Pecoraro e le inesauribili risorse idriche che solcano l’intero territorio. Mongiana, nasce, infatti, in tempi relativamente recenti ed è “una gemmazione” di precedenti piccole ferriere. Una gemmazione dettata da ragioni prettamente economiche. L’enorme consumo di carbone vegetale, “rendeva le ferriere industrie nomadi”, costrette ad inseguire i nuovi boschi dai quali ricavare il carbone necessario ad alimentare gli altiforni. Come ricordano gli autori delle “Reali ferriere ed officine di Mongiana”, “nel 1771, distrutto il bosco di Stilo, i forni giungono in località Cima, detta poi Mongiana dal nome di un ruscello che scorreva sulla Piana Stagliata-Micone”. Intorno al primo nucleo di forni si svilupperà il paese e con l’introduzione delle prime leggi di tutela forestale, la ferriere perderà il carattere itinerante e assumerà quello d’industria stabile. Un primo impulso alla siderurgia calabrese arriva a partire dal 1734, in seguito alla rinascita del Regno di Napoli guidato da Carlo di Borbone e dal suo dinamico primo ministro Bernardo Tanucci. In quel periodo, la “produzione nazionale di ferro si attesta intorno alle 10.000 cantaia, quella dell’acciaio intorno a 1.300. In Calabria se ne producono 2.400, di cui la metà a Stilo”. Si tratta di una produzione di qualità piuttosto scadente, tanto che il sovrano decide di far chiamare a Napoli “due drappelli di sassoni e Ungheri […] Uffiziali istrutti nella metallurgia sotterranea, minatori, fabbri per costruire macchine, uomini esperti nel preparar metalli avanti la fusione, e quanti altri mai potessero abbisognare alla impresa di investigare e scavare miniere”. La pattuglia sassone è guidata dal consigliere Hermann, professore presso l’Accademia mineraria di Freyberg, mentre a capo degli ungheresi c’è un non meglio identificato Fuchs. Ai tecnici viene affidato il compito, da una parte, di effettuare prospezioni del sottosuolo, dall’altra d’istruire le maestranze. “A Stilo prende dimora il sassone Bruno M. Schott” che dirige lo scavo di nuovi filoni. A capo delle ferriere, in qualità di amministratore, viene posto Giovanni Conty il quale, a causa delle difficoltà riscontrate, chiede di essere messo nella condizione di ristrutturare l’intero complesso o in alternativa di essere avvicendato. Con l’ultimatum, Conty trasmette a Napoli la proposta di varare una norma a tutela del bosco ed un dettagliato piano di sviluppo che contiene la proposta di trasferire l’attività in località Cima, alla confluenza dei fiumi Ninfo e Allaro, al centro di fitti boschi equidistanti dalle due coste. La proposta viene accolta ed il Ministero dà il via libera alla realizzazione della nuova manifattura che, secondo quanto riportato dal quarto e quinto direttore della ferriera, Vincenzo Ritucci e Michele Carascona, sorge a partire dall’8 marzo 1771. Il nucleo intorno al quale nasce l’insediamento che assume il toponimo di Mongiana, è composto da due altiforni, coperti da una rudimentale tettoia e quattro baraccamenti. Nel 1789, Ferdiando IV, che nel 1759 aveva preso il posto di Carlo divenuto re di Spagna, fa bandire un concorso per un viaggio di studio in Sassonia, Baviera, Austria, Francia ed Inghilterra. “Scopo del viaggio è studiare la composizione chimico fisica dei minerali, conoscere le nuove tecniche estrattive, avvicinarsi al mondo produttivo e, non ultimo, impadronirsi delle nuove tecniche adottate dall’industria europea”. Il viaggio dei sei vincitori, Carmine Lippi, Giovanni Faicchio, Giuseppe Melograni, Vincenzo Raimondi, Andrea Savaresi e Matteo Tondi si conclude, nel 1797. Ritornati in patria il Governo, determinato a far fruttare le conoscenza acquisite, spedisce in Calabria, Tondi, Melograni, Faicchio e Savaresi che stravolgono tutti i metodi di lavorazione. Le vicende del neonato “stabilimento” s’intrecciano con quelle della Rivoluzione Francese. I lavori per la realizzazione della ferriere non sono rapidissimi. Fino al 1790, Giovanni Conty annota solamente le produzione delle ferriere di Piano della Chiesa. Alla sua morte, l’amministrazione passa al figlio, Massimiliano. Le prime produzioni di un certo rilievo risalgono agli ultimi anni del Settecento, quando la ferriera produce 3.750 cantaia di ghisa, 1.870  cantaia di ferro fucinato, ovvero 337 tonnellate di ghisa e 168 di ferro. Alla lunga gestazione ed alla esigua produzione si aggiunge, nel 1796, il dato che l’artiglieria lamenta la pessima qualità del ferro, i difettosi calibri dei cannoni e l’approssimativa fattura dei proiettili. Al termine della riconquista ad opera del Cardinal Ruffo, nel 1799 Massimiliano Conty, che si era schierato con la Repubblica, viene estromesso dall’amministrazione. Al suo posto arriva Vincenzo Squillace, capomassa delle bande di Cardinale. Ristabilita la situazione, a Mongiana rimarranno solamente Faccio e Savarese, mentre Tondi e Melograni vengono allontanati dal Regno per aver sostenuto la Repubblica. Nel 1800 il Re sancisce il passaggio delle ferriere dal ministero delle Finanze a quello della Guerra e Marina. La direzione d’artiglieria invia i suoi ufficiali a sorvegliare. Sotto l’amministrazione Squillace, vengono perfezionati gli altiforni e diversificate le produzioni delle quattro ferriere (san Carlo, san Bruno, san Ferdinando, e Real Principe). Il prodotto annuale lordo sale a 4.100 cantaia di ghisa e 2.293 di ferro. L’amministrazione Squillace dura fino al 1807 quando, sul trono di Napoli, arriva Giuseppe Bonaparte. Dal 1 gennaio 1808 l’intero stabilimento passa al ministero della Guerra e Marina che lo gestirà per i successivi cinquant’anni. Viene nominato direttore Vincenzo Ritucci, mentre Squillace diventa cassiere. In pochi anni Ritucci ingrandisce e riorganizza lo stabilimento e pianifica la produzione. Intorno agli edifici di produzione sorgono le prime abitazioni destinate ai tecnici ed ai soldati. Nel 1811, Ritucci, la cui gestione aveva sfornato prodotti buoni ma non sempre economici, viene avvicendato dal capitano Michele Carascosa il cui compito è cercare di abbassare i costi di produzione. All’inizio del 1814 arriva alla direzione il capo squadrone d’artiglieria a cavallo Nicola Landi. Nel biennio successivo vengono prodotte 25.197 cantaia di ghisa e 5240 di ferro. Il risultato è notevole, tanto più che è stato raggiunto con 200 uomini in una fonderia di 31 metri per 15 da due malandati altiforni. Dopo la Restaurazione la produzione scende sotto le 4000 cantaia di ghisa, ma si specializza. Nel 1814 entrata in funzione la Fabbrica delle Canne ribattezzata dai Borbone Real Manifettura e Armeria. A partire dal 1815 le canne di fucile vengono spedite alla manifattura di Torre Annunziata. Dopo la Restaurazione, oltre alle armi, Mongiana entra nel mercato delle produzioni civili. Il successo dell’impresa induce il ministero ad inviare in Calabria un tecnico salernitano, Domenico Fortunato Savino che, in seguito all’alluvione del 1849 che danneggia pesantemente il complesso, rivoluziona la produzione e progetta, tra le altre cose, la nuova fabbrica d’armi e le fonderie. Savino aumenta e specializza ulteriormente la produzione, introducendo un nuovo metodo di fusione ed installando la “Tiraferri”, un laminatoio acquistato in Inghilterra. Intanto, dalla fabbrica d’armi, inaugurata nel 1852, partono i semilavorati destinati a Torre Annunziata e Poggioreale. Nel contempo, viene avviata la produzione di un fucile interamente costruito in loco, il modello “Mongiana”. In seguito ad un’inaspettata visita di Re Ferdinando II, nel 1852, il complesso diventa una colonia militare ed il direttore assume i poteri di sindaco. Nasce, così, il comune di Mongiana. A novembre del 1855, una nuova alluvione danneggia la fonderia. Dalla ricostruzione sorgeranno due altiforni gemelli, il san Ferdinando ed il san Francesco, i più grandi attivi in Italia. Grazie alle nuove infrastrutture ed ai 1550 addetti, nel 1857, la produzione, supera le 25 mila cantaia di ghisa. Il 28 agosto 1860, una colonna garibaldina, guidata dal capitano Antonio Garcea raggiunge Mongiana e ne assume il controllo. Ad appena un anno dall’Unità, la produzione si riduce drasticamente. Nonostante l’ottima qualità dei manufatti che, nel 1861, conquistano una medaglia ed un diploma all’esposizione universale di Firenze e nel 1862 una medaglia d’oro all’esposizione universale di Londra, con la legge n. 793, del 21 agosto 1862, Mongiana viene inserita tra i beni demaniali da alienare. Ad acquistarla, sarà un ex sarto catanzarese, un garibaldino giunto per la prima volta a Mongiana, con la colonna di Garcea, Achille Fazzari. La nuova proprietà riavvierà la produzione nel 1881, ma si tratterà di un fuoco di paglia. Dopo soli tre mesi, infatti, l’altoforno verrà spento. Con esso si spegnerà, anche, la speranza di una terra, ancora oggi, alla ricerca di se stessa.

 

 

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Mongiana e la fabbrica d'armi senza bufale e bugie

Martedì 20 sarà a Mongiana in visita Oliverio, in previsione dell’apertura del Museo. Tutto bene, sia il Museo sia la visita; ma siccome sento già odore di bufale e strombazzature, forse sarà meglio raccontare noi la storia di Mongiana.  Lavorazione del ferro è attestata a Stilo nel XII secolo; nell’età moderna, a Pazzano; per poi salire sempre più in montagna, alla ricerca di acqua e di legname da cui ricavare il carbone. Nel XVIII secolo, da piccoli villaggi del territorio di Castelvetere (poi, Caulonia), nacque Mongiana, dove ebbero sede le fonderie e la fabbrica. I re Borbone di Napoli, Carlo e Ferdinando IV; Murat; Ferdinando in veste di re delel Due Sicilie dal 1816 riservarono ogni attenzione a questa attività, che, è bene precisare, era di proprietà dello Stato. Vi attirarono tecnici anche stranieri, donde i cognomi Broussard, Broussardi, Franzè, Franzè… La materia prima veniva dalle miniere di Pazzano e Bivongi; nel 1846, Ferdinando II sbarcò a Siderno e si recò a inaugurare una nuova miniera, quella di Agnana. Per le scomode leggi del Regno, solo le fabbriche di Stato potevano utilizzare il ferro calabrese; e Razzona di Cardinale, che era privata – ne parleremo un’altra volta – importava il ferro dall’Elba. Il carbone di legna non era un’energia molto potente come quello fossile, ma almeno era prodotto in loco.  Il complesso di Mongiana dava lavoro a centinaia di operai; e restano, a genuina gloria dei Borbone, le belle case costruite per le maestranze. E qui mi si lasci dire che, verso il 1840, un operaio inglese, francese, americano (altro discorso, la Germania) avrebbe considerato un sogno impossibile avere sopra la testa una solida casa di pietra a due piani e soffitta, e il pane assicurato, e una paga garantita dal re.  Come tutte le attività garantite dallo Stato, anche Mongiana andava avanti con una mentalità burocratica, con lente innovazioni sia delle tecniche sia delle cose stesse da produrre: fucili presto superati; e una sezione artistica fondeva busti del re di ghisa: ne sono rimasti, in Calabria, tre; e una statua intera è a Messina. Di particolare pregio sono le colonne greche di ghisa, una bella sintesi tra l’antichità e il progresso.  Dopo il 1861, privatizzata, Mongiana venne acquistata da Achille Fazzari. Era stato garibaldino, e, come altri, fece colpo su una ricca fanciulla catanzarese, ovviamente attirata dal bel tenebroso invece che da un noiosissimo vicino di casa militesente. Ammodernò il vecchio fucile per farne un moschetto, e, con il nome di “Mongiana” trovò chi, nell’esercito, lo adottasse. Non durò a lungo, e la fabbrica finì abbandonata. Una leggenda metropolitana parla di macchine trasferite a Terni, ma un amico che vive proprio lì e che intendeva darsi alla ricerca, non ha trovato alcuna prova. Mentre gli edifici andavano in degrado, anche il contesto sociale s’impoverì. Un po’ di respiro lo diede il Parco della Vittoria, gestito dal Corpo Forestale, che ha dato e dà impulso al turismo estivo.  Malamente non dico restaurata ma rifatta, la Fabbrica riceve visitatori, e si spera che giovi il Museo. Basta che se ne parli sul serio, senza fantasie da “terza potenza industriale del mondo”, seguita da improvviso “genocidio”.

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Museo della fabbrica d'armi di Mongiana, tutto pronto per l'inaugurazione

Uno sogno che sta per diventare realtà. E' tutto pronto, infatti, per l'inaugurazione del "Museo della fabbrica d'armi reali ferriere di Mongiana". La cerimonia inaugurale, cui prenderanno parte numerose autorità, si svolgerà a partire dalle 16,30 di sabato 24 settembre. L'evento, che rappresenta un momento storico per tutto il comprensorio delle Serre, sarà allietato dalla banda della Reale Accademia filarmonica di Gerace.

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