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La storia di Pasquale Andreacchi: il dramma di una comunità

SERRA SAN BRUNO – Sono passati circa 5 anni e mezzo da quando Pasquale Andreacchi ha lasciato questa terra. Un arco di tempo relativamente lungo, ma il ricordo quel ragazzone che amava cavalcare è più che vivo. Si attende – forse invano – che la giustizia batta un colpo e indichi la strada della verità. Di certo, non si sono arresi i suoi genitori, Salvatore Andreacchi e Maria Rosa Miraglia, che vogliono sradicare il rischio che le coscienze siano appannate dall’oblio e, anche per questo, puntano a far intitolare una via della cittadina della Certosa a Pasquale. Vogliono che quella triste vicenda non sia mai dimenticata, perché tutti sappiano e nessuno taccia.  Anche se quella di loro figlio è una di quelle storie che si vorrebbero cancellare perché rappresenta la personificazione del male che non si ferma neanche di fronte all’innocenza e all’incoscienza dell’adolescenza e, anzi, si manifesta nelle sue forme più efferate e riprovevoli. Di seguito, riproponiamo i passaggi salienti di quel dramma.

LA SCOMPARSA E’ la sera di domenica 11 ottobre 2009 quando si perde ogni traccia e ogni contatto con il diciottenne Pasquale Andreacchi. Pare che sia uscito per comprare il solito pacchetto di sigarette, ma sulla sua via trova il sicario che lo conduce nei luoghi tenebrosi dove la bruta violenza può sfogare la sua atrocità. Si mette in moto la macchina delle ricerche, gli inquirenti battono inizialmente diverse piste per poi concentrarsi sulle liti dovute alla compravendita di un cavallo. I boschi delle Serre vengono ripercorsi più volte con l’ausilio delle unità cinofile, anche a dispetto delle avverse condizioni meteorologiche, ma i risultati non arrivano.

“CHI L’HA VISTO?” Salvatore e Maria Rosa non trattengono il grido di dolore e provano a spezzare “l’indifferenza ed il silenzio”. Sono afflitti, ma non soli. Perché basta poco e Serra si scuote. La popolazione risponde presente: le fiaccolate, le manifestazioni di solidarietà e le preghiere in chiesa sono segni concreti di vicinanza e fanno breccia fra le pieghe della paura. Purtroppo, non servono a fare luce sul mistero, che s’infittisce con il passare delle settimane. Il 21 ottobre 2009, durante la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, viene trasmesso l’audio di una sinistra telefonata e una voce anonima spiega che “il giovane Pasquale è stato ucciso da un boss della zona”. Ma non ci sono conferme e non ci sono certezze sull’attendibilità del mittente.

I MACABRI RITROVAMENTI Il dicembre di quell’anno è il mese di crudeli messaggi, elaborati da una sorta di enigmista della tragedia, volti ad azzerare le speranze.  Il 9 in un cassonetto della spazzatura vengono ritrovati resti umani: si tratta di un teschio con un foro in testa ed un femore, la cui lunghezza fa pensare all’identità della vittima. Pasquale è alto 2 metri, tutto fa presumere il peggio. La Procura della Repubblica dispone gli accertamenti medico-legali e sulle indagini vige il più stretto riserbo. Il 27 un cacciatore ritrova in località “Timpone”, a poche centinaia di metri dal primo rinvenimento, altri resti umani. Stavolta ci sono anche indumenti e documenti del ragazzo scomparso e la famiglia cade nello sconforto. A gennaio 2010 l’esame del Dna emette la definitiva sentenza della scienza: quelle ossa sono di Pasquale, non c’è più spazio per le illusioni. I funerali, che registrano una vastissima partecipazione popolare, chiudono la cronaca della vicenda.

LA SETE DI GIUSTIZIA Ma la famiglia Andreacchi non si arrende. È consapevole che Pasquale non tornerà più a casa, né al maneggio dove aveva cura dei suoi amici a quattro zoccoli. Ma va avanti, non mollando minimamente la presa. Così, prende contatto con Penelope, l’associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse e interpella il prefetto Michele Penta, commissario straordinario del Governo per le persone scomparse. Si mobilita l’associazione “Libera – Nomi e numeri contro le mafie” e si attiva la nota criminologa Roberta Bruzzone. Tutto il mondo dell’Antimafia è operativo.

Ma ancora oggi i risultati paiono lontani. Ciò non significa che la sete di verità sia cessata. Lo sarà solo quando tutti sapranno il nome ed il cognome dell’autore dell’origine dell’angoscia e delle lacrime.

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