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Massimo Lampasi e quella storia maledetta

Ci sono storie, così assurde, da non sembrare vere. Nel cuore della notte, quando, l’insonnia ti prende per mano e scaccia via il desiderio di dormire, riaffiorano alla memoria episodi più tetri della più buia notte. Storie assurde, storie che ti toccano, perché conosci i protagonisti, perché li hai visti crescere, diventare grandi tra mille vicissitudini e difficoltà. Storie maledette, storie finite male. Quella che stiamo per raccontare è una storia serrese, ma per l’indifferenza con la quale è stata vissuta sembra essere successa sulla luna. E’ la storia di un ragazzo, di appena 25 anni, che non è più ritornano nella casa dalla quale era uscito per andare a comprare le sigarette. No, non è un episodio pirandelliano. Non è un racconto o un romanzo. Il protagonista non è un “Mattia Pascal”, che si allontana per strappare “il cielo di carta del teatrino”, per sovvertire il palcoscenico della quotidianità. Lui, forse “Mattia Pascal” non lo conosceva neppure, forse non ne aveva neppure sentito parlare. Molto probabilmente, con il personaggio pirandelliano non ha niente da spartire, il suo, infatti, non può essere stato un allontanamento volontario. Quella che vogliano raccontare è la storia di Massimo Lampasi, svanito nel nulla la sera del 24 febbraio del 2013. Sono trascorsi quattro anni, da quella domenica in cui gl’italiani, chiamati alle urne, stavano decidendo di non decidere. quattro anni di silenzio e d’angoscia senza quella follia che, parafrasando Sciascia, prende i familiari degli scomparsi ogniqualvolta si appalesa qualcuno che dichiara di aver incontrato lo scomparso, di averlo riconosciuto da qualche parte. Senza quella follia, quindi, perché in questi due anni, non si è fatto avanti nessuno. Nessuno lo ha visto, nessuno ne ha mai parlato. Risuona ancora l’eco di quelle parole semplici, pronunciate col cuore da Antonella, la sorella di Massimo che, all’indomani della scomparsa, lanciò un accorato appello: “Chi ha cuore si faccia vivo anche con una chiamata anonima, perché non è possibile che tutti prima conoscevano mio fratello mentre adesso che è scomparso nessuno sa, nessuno lo conosce ma soprattutto nessuno ha visto”. Un appello, evidentemente, caduto nel vuoto, coperto dal velo delle reticenze e dell’indifferenza. Di fronte al dramma di una famiglia, Serra si è rivelata distante, le sue istituzioni impassibili. Eppure, ormai, dovrebbe essere chiaro a tutti, Massimo non si è allontanato volontariamente, come qualcuno voleva far intendere nell’immediatezza della scomparsa. Come avrebbe potuto lasciare la sua giovane compagna e la figlia appena nata? Come e perché avrebbe potuto sparire? Per andare dove? A fare cosa? No, il destino di Massimo non è stato quello di Mattia Pascal, ma neppure di Odisseo. Massimo non si è allontanato alla ricerca di una nuova identità, né è sparito nel nulla cercando perigliose avventure. No, Massimo è scomparso perché qualcuno l’ha fatto sparire. Il colpevole, quindi, è chi ne ha fatto sparire il corpo, non meno colpevole, però è chi, con il suo silenzio e la sua indifferenza, vorrebbe cancellarne anche il ricordo. Ripensando a questa brutta ed assurda vicenda, viene da dar ragione a Mark Twain quando diceva: “non domando a che razza appartiene un uomo; basta che sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio”.

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