Gli omicidi al Nord ed i luoghi comuni sulla Calabria

Negli ultimi tempi sono accaduti alcuni fatti orrendi, quali l’uccisione della ragazzina Yara e quella della professoressa ingannata e strangolata… eccetera; e tutti accaduti nell’Italia Settentrionale e Centrale. Di tali omicidi viene dato ogni giorno amplissimo resoconto su tutti i giornali e tv eccetera, con dovizia di particolari pruriginosi.  Di Bossetti, presunto assassino e presunto figlio illegittimo, sappiamo ogni benché minimo particolare di cronaca rosa e nera. Della professoressa, anche di più. Se poi ci diamo alla fredda legge dei numeri, siamo indotti a concludere che il numero di delitti di sangue è nettamente superiore a Nord e Centro che a Sud; ma questo potrebbe spiegarsi con il divario di popolazione. Comunque, ne succedono tanti; e, ripeto, ce li raccontano in tutte le salse. Tutt’altro che silenzio stampa, dunque: però, prestate attenzione, ogni singolo caso viene affrontato come singolo caso. A nessuno viene a mente di sproloquiare che a Brembate o nella Bermagasca tutte le ragazzine vengano uccise da tutti i muratori abbronzati, e che la colpa sia del dominio veneziano o, prima, di quello visconteo. In Calabria è successo un caso torbido nell’ambiente degli spacciatori indigeni e zingari, a quanto pare: un pregiudicato e la sua convivente sono stati uccisi per immaginabili sporchi motivi; e con loro un bambino, che, con inopportuno nome de “il piccolo Cocò” è divenuto così noto da occupare larghissimi spazi sui mezzi di comunicazione, e divenire simbolo della mafia. E così larghi che si recò sul luogo il Santo Padre in persona. La mafia non c’entrava, a quanto pare, ma è un dettaglio. L’importante è che il mondo sa che forse uno di Brembate ha ucciso una ragazzina; ma sa che in Calabria vengono uccisi dalla mafia tutti i bambini, e perciò occorre la presenza del papa. Quello di Yara è un delitto isolato, quello di Cocò è un fatto universale. Perché accade questa distorsione? Le cause sono due:

  • -          la potenza dei luoghi comuni e delle frasi fatte nella penna e nella voce di giornalisti improvvisati e poveri di lingua italiana;
  • -          l’antimafia segue cena, cioè il fenomeno per cui ormai migliaia di calabresi campano, fanno soldi, acquisiscono fama e compiono carriere politiche, ostentando la lotta antimafia; a costoro serve la mafia, guai se non ci fosse la mafia! Infatti, appena si è saputo che sono stati gli zingari, Cocò è sparito anche dalle cronache locali.

 Non sarebbe ora di finirla, in Calabria, con tutti questi sciacalli, alcuni pochi in buona, i più in mala fede?

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I danni dell'antimafia e l'ingiustizia della giustizia

L’antimafia di moda fa, assieme a comodi a qualcuno, molti danni alla Calabria; e di tanto in tanto sfiora l’isteria. Se piove, ci sarà subito un gruppetto di esagitati che griderà alla mafia; e così in caso di siccità. La mafia c’è, ovvio, e bisogna batterla senza pietà: ma non è questo il modo.  Il sindaco di Badolato è stato prosciolto “perché il fatto non sussiste”: non per prescrizione, non per cavilli legali, non con qualche dubbio, ma “perché il fatto non sussiste”; e se non sussiste, non sussisteva manco tanto quando il Consiglio comunale è stato sciolto e il paese additato al mondo come covo di mafia. Per carità, la magistratura deve fare il suo dovere, e con essa anche i prefetti lo devono; e sì, però con buon senso, con prudenza. Ma Tizio si è incontrato con Caio… alzi la mano chi, trovandosi in una festa, una cena, un convegno, una processione, una festa, non ha trovato al suo fianco don Questo e don Quello in odore di mafia; odore, però a spasso, però non arrestato, però non condannato, e perciò libero di partecipare alla processione o alla cena. A me è capitato più volte.  Non è compito, non è nemmeno potere del cittadino di chiedere al commensale della tavolata a fianco il certificato antimafia, che del resto, fino a condanna definitiva… E se li avessi accusati di mafia, magari quelli… mi sparavano, pensate? No, molto peggio, sporgevano querela, e, con i tempi della magistratura, da quel 1980 sarei ancora sub iudice!  Qui dunque rischiamo tutti un processo eccetera, non appena sbagliamo ristorante o festa di santo; e se al primo esagitato viene a mente che con un convegno segue cena o un articoletto di giornale deve combattere a spese mie la mafia e risolvere d’un lampo il problema del Mezzogiorno. Spese anche in senso letterale, se dovrò profumatamente pagarmi l’avvocato. Insomma, la magistratura e le prefetture farebbero bene a contare fino a dieci, prima di assumere provvedimenti preventivi. Già, sono preventivi, sulla base di indizi e supposizioni, che poi qualche volta finiscono in una bolla di sapone “perché il fatto non sussiste”. Oppure, si sbrighino: niente rinvii perché la nonna del cancelliere ha il menarca e necessita di conforto morale. Se un sindaco è mafioso o meno, lo si appuri subito, e ci sono i mezzi; se lo è, finisca di corsa ai lavori forzati sotto il sole d’agosto nelle miniere di Sardegna; se no, gli si chieda scusa a lui e al paese, e si obblighino i giornali a dare risalto al “fatto non sussiste” come l’hanno data alla non notizia mafiosa.

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