Paesi di Calabria: Isola Capo Rizzuto

Il Comune di Isola Capo Rizzuto ha un’estensione di 125 Kmq; tutto il suo territorio è costituito da una vasta pianura e alcuni altopiani degradanti verso il mare. Per quanto riguarda la flora, in questo territorio, come nel passato, vi sono delle presenze tipiche della macchia mediterranea: il lentisco, i capperi, l’oleastro, il mirtillo e la ginestra sulla fascia costiera; nella zona collinare invece troviamo il susino selvatico, il corbezzolo, il pruno e il fico d’India; mentre sui prati abbiamo la camomilla, il cardo e il cosiddetto dente di leone; infine lungo i margini dei campi e dei fossati si trovano cicoria, malva, ortica, salvia, menta e asparago. Per la fauna, abbiamo poche specie e comunque fino a qualche anno fa, nei boschi del Suverito ( detto così per la presenza di sughero) vivevano: la volpe, il daino, il cervo, il cinghiale, la lepre, la quaglia, l’anatra, l’anatra, la tortora, il tordo, il passero, il merlo ed altri. Invece per la fauna marina: lungo le scogliere vi troviamo patelle, attinie, lumache e ricci ed in acqua vi è abbondanza di alici, sarde, triglie, saraghi, orate, dentici, cefali ecc. Per le origini storiche leggiamo in “Della Calabria illustrata" di P. Giovanni Fiore: "Troppo scarso ne discorre Barrio, poiché oltre alla dignità di Città e Sedia Vescovale, raccordata fin dai tempi dell’Abbate Gioacchino...io la credo edificio di quei primi popoli, quali abitarono queste riviere, e poi abitata con accrescimento da’ Cotronesi per lor commodità". La denominazione Isola, comunque, non è da confondere col sito naturale isola, piuttosto si tratta della volgarizzazione del temine Asylos (protezione, riparo) come era chiamato questo sito. Dunque la prima citazione della città di Isola la troviamo al secolo nono nell’elenco delle sedi vescovili di rito greco e subalterni a Costantinopoli. Già sotto il papato di Leone VI (886- 912) la troviamo detta Aisylorum come una della quattro sedi vescovili (soppresse poi nel 1818) suffraganee della Metropolia di Santa Severina Nel 1172 si chiamò Asila e successivamente, durante il passaggio dalla lingua greca a quella latina, si passò a Isula. Più tardi i Normanni l’assegnarono a Crotone e così si chiamò Insula Cutroni. Soltanto nel 1863 prenderà l’attuale denominazione. La storia di questa terra è abbastanza complessa ed anche impressionante se si pensa alla sua soggezione ai turchi, alla malaria e alla miseria. È stata terra di tutti e di nessuno, passata da un feudatario all’altro, da una famiglia all’altra. Fu feudo e come tale oggetto di scambio: nel 1264 passò ai Ruffo per i servizi resi contro gli Svevi. Poi fu ereditato da Enrichetta Ruffo che lo portò in dote nel matrimonio con Centelles ma questi fu sconfitto da Alfonso d’Aragona che poi destinò al Regio Demanio. Quindi nel 1483 il re Ferdinando I d’Aragona concesse il feudo di Isola a Giovanni de Pou e dal 1495 passò ai Ricca fino ai Caracciolo. Dal 1806 divenne possedimento di Alfonso Barracco, ultimo feudatario. E poi è storia dei nostri giorni: tanti anni di angheria e miseria, la Riforma Agraria, l’assegnazione delle terre, la ripresa dell’agricoltura, l’abbandono verso l’industria del nord ed oggi lo sviluppo turistico con la preziosità del suo mare, delle sue coste, della Riserva Marina e quindi tanti complessi turistici anche di livello internazionale. Nel suo territorio troviamo Capo Rizzuto, uno dei tre antichissimi promontori japigi. Questo, come scrive G. Valente, doveva essere "una stazione dell’approdo dei Greci, richiamatevi...dalla presenza dei nuclei civilizzati, con una loro cultura e forma organizzate per garantire la convivenza e le produzioni. La vita che vi aveva esistenza...vi dovette far sorgere edifici per il culto" che con i secoli successivi furono adattati dal Cristianesimo. Su questo luogo arroccato,  che dal mare è pervenuta, secondo la tradizione, in seguito alla lotta iconoclasta, la sacra immagine della Madonna detta "Greca". Si tratta di una tela bizantina di grande interesse raffigurante la Madonna col Bambino che ricorda la "Salus Populi Romani" di Santa Maria Maggiore di Roma, la tela di Capocolonna, la Madonna di Romania di Tropea, la Madonna Bruna di Matera, la Madonna Nera di Tindari, la Madonna Achiropita di Rossano e tante altre e tutte bizantine. La tela isolana è una bella opera d’arte ed elaborata dall’arte siriaca richiamandosi agli schemi tardoellenistici e presenti in Italia in altre pitture del VIII secolo. Sicuramente l’opera di Isola, come tante altre, non può dirsi posteriore in quanto i Normanni, che coltivavano la latinizzazione dell’Italia meridionale portando le chiese da Costantinopoli al Papa di Roma, non avevano certamente voglia o interesse religioso e tanto meno culturale di propagare icone pseudo bizantine. La sacra tela fu subito oggetto di venerazione e da allora ogni lunedì successivo alla prima domenica di maggio viene portata in processione dal capoluogo al promontorio e viceversa: tale pellegrinaggio vuole ricordare quello guidato da San Luca di Melicuccà (primo vescovo di Isola nato nel 1092 e morto nel 1114) allorchè tutta la popolazione si mosse per invocare la fine di una lunga siccità. Oggi la sacra icona è custodita all’interno di una splendida cappella del Duomo già  sede vescovile. Oltre alla festa annuale, alla Madonna Greca vengono tributati solenni festeggiamenti ogni sette anni, anno sabbatico o giubilare, come accade anche per il Crocifisso di Cutro, per l’Ecce Homo di Mesoraca e la Madonna di Capocolonna. Altri festeggiamenti vengono celebrati nei primi giorni del mese di agosto, allorquando la sacra effigie viene portata via mare nelle varie frazioni del territorio isolano. Oggi nella frazione marinara possiamo vedere e ammirare un nuovo santuario dedicato alla Madonna Greca. Si tratta di un imponente edificio polivalente, la cui prima pietra fu posta nel 1990 e definitivamente consacrato nella primavera del 1997. È un tempio bello e maestoso, voluto dal parroco Don Eduardo Scordio e progettato dall’architetto G.Asteriti e dagli ingg. F.Nicotera e A. Cavarretta. Il santuario è nato, come è stato scritto sul periodico L’Isula, "dall’idea di realizzare un centro sociale polivalente...", il Centro di spiritualità “Rosmini”. Inoltre nel centro capoluogo si possono visitare: la chiesa di San Marco che custodisce, oltre la facciata tufacea, la tomba - sarcofago dei feudatari Ricca; sempre nel centro storico i ruderi del castello che fu dei Ricca e la Porta di Terra con l’antico orologio e la Porta della Marina. Un po’ più a sud, quella che sicuramente oggi ha assunto grande risonanza e richiamo turistico - culturale, è Punta Le Castella, detta così per la sua particolare posizione geofisica. Circa le sue origini, leggiamo ancora il Fiore: “La prima origine di questa Abitazione ci venne da Annibale Cartaginese: egli venuto in Italia contro de’ Romani, ed indi passato in Calabria, per commodità delle sue Navi piantò quivi al mare un gran Torre... E per tanto detto da prima Castrum Annibalis poi Castra...". Ciò dopo che i Romani, come scrive Tito Livio, fecero sbarcare sul sito migliaia di coloni e comunque sempre per motivi di difesa. Nei secoli successivi l’isolotto e il borgo furono occupati dagli Arabi che intanto avevano creato un emirato nella vicina Squillace. Dopo qualche tempo, nel piccolo sito marinaro sorsero due chiese: quella dell’Annunziata (ne sono ben visibili i ruderi sulla strada appena all’ingresso dell’Hotel Club) e l’altra di San Nicola, entrambe subalterne all’abazia della Matina. La pace non regnò mai qui. E così la contesa tra Angioini e Aragonesi portò al saccheggio del borgo fino a quando non diventò terra della Contea di Santa Severina del feudatario Andrea Carafa. Per tanti anni ancora restò infeudata ai Carafa e poi ai Ruffo, fino a quando, assieme a Cutro e Roccabernarda, fu venduta al principe Filomarino nel 1664, ultimi feudatari. Il bene culturale di forte richiamo, di questa terra, è il Castello che si sporge verso il largo del mare come avamposto contro le scorrerie saracene. Questa fortezza fu fatta costruire nel 1521 da Andrea Carafa come anello forte del grande sistema difensivo voluto dal Re di Spagna che fece edificare centinaia di torri rotonde e quadrate lungo la costa meridionale.  Nel territorio isolano vi sono altre torri. Nel 1536, durante una delle tante scorrerie turchesche, il giovanissimo Giovanni Dionigi Galeni venne rapito, assieme a tanti altri, dai pirati del Barbarossa. Condotto in schiavitù a Costantinopoli, fu comprato da un tal Gianfier che gli affidò una sua imbarcazione dimostrandosi esperto ed ottimo combattente. Così il Gianfier si convinse delle enormi capacità del castellese e lo fece studiare, trattandolo come un figlio, facendolo anche sposare con la figlia Bracadura. Diventò così musulmano e assunse il nome di Kilie Alì Pascià e meglio conosciuto come Occhialì o Uccialì che significa Il rinnegato. Ne derivò che il castellese saraceno servì, da ammiraglio e comandante della flotta turca, ben quattro imperatori e combatté anche a Lepanto dove, unico capitano turco, si salvò. Ebbene nel borgo turistico, come qualcuno ha scritto, non vi sono monumenti ad eroi o patrioti dell’Italia "ché qui lo Stato non si è mai visto", ma il vero eroe castellese sebbene "rinnegato" fu e resta Uccialì. Così nella piazzetta che guarda il castello e l’oriente, i turisti possono ammirare un busto bronzeo, con turbante e baffoni, erettovi nel 1989 su progetto dello scultore G. Rito.

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