Ascesa e declino della ferrovia jonica

È arrivato un bel trenino nuovo nuovo sulla linea ionica. È caruccio, colorato, pulito… e speriamo che pulito duri. Ne arriveranno, ci annunziano, ben altri due. Sarebbe una normale situazione di dotazione di mezzi, ma i Calabresi siamo dei grands bébés, e ci piacciono i giocattoli. Niente di male, ma non sarebbe stato il caso di far tanto chiasso. Noi invece, che giochiamo al piccolo storico, ci divertiamo a raccontare la vicenda della ferrovia. Come tutti sanno, e i meridionalisti della domenica ci ammorbano a ogni passo con la rivelazione, nel 1839 Ferdinando II, DG, inaugurò la Napoli – Portici, prima tratta ferroviaria d’Italia. Alleluia! Ma siccome siamo nel Sud, e anche quell’ottimo re era di queste parti, nei vent’anni che ancora visse (si spense, ancora giovane, il 22 maggio 1859) progettò sì un’impressionante rete ferroviaria, però in tutto fece una Salerno – Capua con 99 chilometri di binari. E gli altri? La solita storia, qui da noi, allora come oggi: rinvii, richieste di spostare i tracciati per il comodo di qualcuno e i capricci di qualcun altro, e alla fine un appalto fatto male e la causa della ditta francese che si ritenne frodata… Francesco II e il suo primo ministro Carlo Filangieri, principe di Satriano e duca di Cardinale, misero mano di nuovo ai progetti, ma interruppero il tutto gli avvenimenti del 1860, senza intanto alcun nuovo binario. Comunque, per curiosità, si sappia che Garibaldi non entrò in Napoli a cavallo come un eroe, ma in più comodo treno, preso, mi pare, a Cava dei Tirreni. Avrà pagato il biglietto? Se sì, sarebbe la prova provata che l’Italia è stata fatta alla buona, ad arrangiare, tra amici, più commedia che tragedia: e si vede. Lo Stato unitario (di fatto, nei primi anni, regime di occupazione del Sud) iniziò sul serio a realizzare i progetti di una Napoli – Bari e di una Bari – Reggio. Per inciso, la ferrovia borbonica era statale, quella italiana era privata. Nel 1875 i binari che erano stati iniziati a Bari e quelli di Reggio s’incontrarono, udite udite, a Soverato! Qualche anno dopo verrà tracciata la linea tirrenica. Ovvi furono i vantaggi economici del trasporto su ferro, integrato con la fiorente navigazione di cabotaggio. Passavano, ancora vent’anni fa, lunghissimi convogli di treni merci, fino a 44 grandi vagoni. Oggi sono spariti perché non c’è più niente da trasportare, e quel poco arriva e parte su gomma. Merita uno studio l’effetto sociale e sociologico della rete ferroviaria, con l’arrivo nelle stazioni di molti addetti forestieri, tutta una gerarchia, dal capostazione ai manovali, che però si usò promuovere tutti nell’espressione deferente “capo”. Una categoria di rilievo fu quella dei casellanti, interi nuclei familiari che venivano assunti a manovrare a mano i moltissimi passaggi a livello con sbarre: un lavoro di grande responsabilità e fatica, ma che consentiva degli stipendi a marito e moglie, e il bene prezioso di piccole e solide case. Un bel romanzo di Antonietta Vincenzo, “Felicita”, racconta le storie di una famiglia di ferrovieri e la sua ascesa sociale nel rispetto tra le complicate gerarchie del popolo. Giolitti nazionalizzò le ferrovie, con vari atti riassumibili nella nascita delle Ferrovie dello Stato (FS), nel 1905. I treni ottocenteschi erano a vapore, donde la necessità di acqua, e di vistosi depositi. A Soverato ne resta uno, ma in verità è della Calabro Lucana. Restavano infatti linee private, di cui un’altra volta. Negli anni 1930 iniziarono a correre i locomotori diesel, detti Littorine dallo stemma del Fascio Littorio sul frontale; se ne vedevano ancora fino agli anni 1970. L’espressione “littorina”, senza più implicazioni politiche, restò a indicare ogni locomotore. L’avvenire della strada ferrata ionica è oscuro, e sarebbe il caso di aprire una seria discussione sul da farsi. 

 

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