Finalmente c’è un giudice, in Sicilia

Finalmente c’è un giudice in Sicilia. Un procuratore siciliano ha finalmente messo mano a uno scandalo che è sotto gli occhi di tutti e tutti finora fingevano di non vedere: i privati che, di loro iniziativa e senza alcuna autorizzazione o legittimazione, scaricano “migranti” in Italia.

Questo magistrato, evidentemente, non si lascia commuovere dall’orgia di retorica che dilaga a proposito della cosiddetta immigrazione; e non fa il benefattore generico e il fiaccolatore serale monomaniaco, bensì fa il magistrato, e ha il dovere di perseguire le illegalità. Che dice, grosso modo? Il Mediterraneo pullula di navi di associazioni private; Queste navi battono improbabili bandiere di Stati che, ammesso esistano, nulla hanno a che vedere con il Mediterraneo; Queste navi e i relativi equipaggi costano pacchi di soldi, ed è importante capire da dove questi vengano e a quale scopo, eccetera: chi spende soldi, soldi intende guadagnare; Queste navi vanno a imbarcare “migranti” fin sulle spiagge libiche, e non nel Canale di Sicilia o nel mezzo di una tempesta; Nulla si sa delle condizioni legali, sanitarie, igieniche di queste navi… Eccetera.

Precisa il magistrato che in questa operazione la mafia e simili a non c’entrano niente, o, al massimo, si curano del caporalato stagionale. Un magistrato davvero encomiabile. Egli è, infatti, un amico della mafia? Ma no, è uno che mette le mani avanti, prima che qualcuno usi in abbondanza i fumogeni, e cerchi di depistare le indagini con qualche fiaccolata e piagnisteo e roba del genere. Qui i presunti reati sono commessi da quegli illustri signori che, senza minimamente essere mafiosi, comprano e gestiscono le navi dei benefattori. Questo pensierino finale lo aggiungo io: siamo proprio sicuri che l’Italia non possa vietare l’approdo di queste navi, di cui non sa nulla? Credo che il diritto della navigazione lo permetta. A proposito, vale anche per le navi norvegesi e britanniche: la Norvegia non fa parte nemmeno dell’Europa più o meno unita; e la Gran Bretagna ha deciso di uscirne del tutto. Perciò, se caricano “migranti”, se li portino a Oslo o a Liverpool. Quanto alle navi spagnole, la Spagna è molto, molto vicina.

Finalmente c’è un giudice, in Sicilia.

  • Published in Diorama

La mafia e la prima denuncia di Giacomo De Martino

Era il 1 dicembre 1899 quando il deputato Giacomo De Martino, futuro governatore della Somalia, Eritrea e Cirenaica, pronunciò per la prima volta alla Camera un discorso su: " Camorra e mafia alta e basso", pubblicato poi lo stesso anno a Napoli nella Regia stamperia Giannini.

"Il fine che mi sono prefisso - egli affermò - è quello di mettere a nudo una piaga che logora le sorgenti della vita libera della Nazione" , evidenziando che i popoli del Mezzogiorno "vogliono che la piaga sia sanata, la mala erba divelta, che impedisce la messe di crescere alta e rigogliosa".

Lo fece benissimo, ponendo in risalto gerarchie e consuetudini di mafia e camorra.

Erano trascorsi ben nove anni dall'edizione del primo saggio " La Mafia", compilato da A. Vizzini ed edito a Roma, a cui seguirono altri negli anni seguenti, riguardanti in particolare la Sicilia, come " La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni: studio sulle classi pericolose della Sicilia" di Giuseppe Alongi ( Roma, 1886); " L' isola del sole" di Luigi Capuana, uno dei teorici più grandi del verismo ( Catania, 1896) e "L' assassinio Notarbartolo o le gesta della mafia" di Paolo Valera illustrato dal pittore G. Grotta ( Firenze, 1899).

Il fenomeno destò subito l'attenzione di studiosi e criminologi da Antonino Cutrera: " La Mafia e i mafiosi : origini e manifestazioni ; studio di sociologia criminale" a " Nel Regno della mafia : dai Borboni ai Sabaudi" di Nicola Colajanni.

Nel proemio della sua opera scriveva il Cutrera: 

"Quando un organismo sociale è ammalato, non sempre è a coscienza del male che lo affligge, o ritiene il male inferiore alla realtà, o lo ignora affatto, e  questo stato di inconsapevolezza dura finché non si verifica un aggravavamento tale da rendere il male troppo evidente . Ma esso allora è forse insanabile, e il percolo non si può più scongiurare" e subito aggiungeva : " Questo vizio ha ritardato lo sviluppo sociale , ha compromesso il  suo incivilimento.  Il male non è di formazione recente ....lo si sapeva da molto tempo, si sapeva anche che era molto serio e  che occorrevano urgenti rimedi...".

Di fronte a tanti efferati delitti l'Italia si è commossa, i giornali hanno gridato, le Camere ne hanno discusso. Ne son prova gli articoli roventi apparsi sulle gazzette e sulle riviste, le discussioni appassionate e vivaci, ma a parere del Cutrera i provvedimenti insufficienti e frettolosi non riuscivano a sradicare un male così radicale e pericoloso.

È trascorso da allora più di un secolo. Si è fatta molta strada e tanta ancora c'è da farne. 

Il raduno di tanti giovani ( e non solo ) a Locri  lo hanno fortemente attestato, dando volto e voce a quella Calabria "diversa", spesso dimenticata, e che sempre auspica un futuro migliore, anche della sua classe dirigente nel governo regionale.

  • Published in Cultura

'Ndrangheta: Commissione d'accesso per due Comuni calabresi

Nell’ambito dei poteri di accesso e di accertamento, il prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao  ha nominato le commissioni incaricate di accertare la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa nelle Amministrazioni comunali di Cassano allo Jonio e Corigliano Calabro.

La commissione d’accesso per il Comune di Cassano allo Jonio è composta dal Viceprefetto aggiunto, Vito Turco, dal Capitano dell’Arma dei carabinieri, Francesco Barone e dal Funzionario del Provveditorato interregionale opere pubbliche Sicilia e Calabria, Francesco Trecroci.

La commissione d’accesso per il Comune di Corigliano Calabro è, invece, composta dal Viceprefetto,Filippo Romano, dal Dirigente in quiescenza del ministero dell’Interno, Antonio Scozzese e dal Sottotenente della guardia di finanza, Giulio Tavanzo.

L’attività di accertamento per entrambi i comuni avrà la durata di tre mesi prorogabili in caso di necessità di ulteriori tre mesi.

'Ndrangheta: sequestrati beni per un valore di 142 milioni di euro

La Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria, sotto le direttive della Dda, ha eseguito un sequestro di beni per un valore complessivo di 142 milioni di euro nei confronti di un imprenditore, Pietro Siclari, di 69 anni.

L'omo è accusato di avere intrattenuto rapporti con alcune cosche della 'ndrangheta.

Arrestato dalla Dia nel novembre del 2010, Siclari era stato condannato ad otto anni. Nel maggio del 2015, i beni dell'imprenditore erano stati confiscati, ma alla fine del 2016 la Corte d'appello di Reggio ne aveva disposto il dissequestro.

I successivi accertamenti condotti dalla Dia hanno permesso alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di emettere un nuovo provvedimento di sequestro.

Oggetto del sequestro sono 87 immobili, tra appartamenti, ville, locali commerciali e terreni, e numerosi rapporti finanziari tra cui conti correnti, fondi comuni d'investimento e depositi titoli

 

'Ndrangheta: confiscati beni per un valore di 15 milioni di euro

La Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha dato esecuzione a due decreti di confisca di beni nei confronti di altrettante persone.

Il primo provvedimento ha interessato Nicola Romano, 68 anni, originario di Antonimina, in provincia di Reggio Calabria, operaio forestale ma di fatto imprenditore nei comparti del taglio e della lavorazione del legno, nonché della produzione di calcestruzzo.

Il secondo invece ha colpito i beni di proprietà di Domenico Barbieri, imprenditore reggino di 59 anni.

Arrestato nel 2012 nell’ambito dell’operazione ''Saggezza”, Nicola Romano è considerato esponente di spicco del sodalizio criminale 'ndranghetista che opera ad Antonimina. Con l'accusa di associazione mafiosa e altri reati è stato condannato, in primo grado, alla pena di venti anni e dieci mesi di reclusione.

Con il provvedimento, emanato a seguito delle attività investigative condotte dal Centro Operativo Dia di Reggio Calabria, è stata disposta la confisca di quattro società di Antonimina, operanti nei settori del commercio e lavorazione del legname e della produzione di calcestruzzo. Sono stati, inoltre, sottoposti a confisca 47 immobili, tra cui 31 appezzamenti di terreno, sette appartamenti, un capannone adibito a stabilimento industriale ed alcuni magazzini e fabbricati rurali, nonché disponibilità finanziarie aziendali e personali, per un valore stimato in oltre 13 milioni di euro. Romano è stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di cinque anni.

L’altra misura di prevenzione ha interessato Domenico Barbieri, arrestato nel 2010 nell’ambito dell’operazione “Meta” e condannato nel 2013 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria a cinque anni e dieci mesi di reclusione.

Nei suoi confronti il Tribunale di Reggio Calabria - sezione misure di prevenzione, ha disposto la confisca di quattro immobili ubicati nel comune di Villa San Giovanni e otto appezzamenti di terreno situati nel comune di Catona di Reggio Calabria. Il valore  stimato dei beni ammonta ad oltre due milioni di euro. Nei confronti di Barbieri è stata applicata la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni e sei mesi.

Si tratta di confische che costituiscono l’ultimo atto di una lunga serie di attività eseguite dal Centro Operativo Dia di Reggio Calabria e dalla dipendente Sezione Operativa di Catanzaro nei confronti di organizzazioni 'ndranghetistiche che, nell’ultimo biennio 2015-2016, hanno condotto complessivamente al sequestro/confisca di beni il cui valore è stimato in oltre un miliardo di euro ed alla presentazione di 19 proposte di applicazione di misure patrimoniali reali.

  • Published in Cronaca

'Ndrangheta: condanne pesanti per i componenti del clan Franco

Sono Dodici le condanne inflitte, con il rito abbreviato, ad altrettanti imputati nel processo scaturito dall'operazione Antibes con la quale, lo scorso gennaio, è stato disarticolato il clan dei Franco.

L’organizzazione,  attiva nel quartiere Pellaro di Reggio Calabria, è ritenuta dagli inquirenti un’articolazione della potente famiglia di 'ndrangheta dei Tegano.

Al termine del processo, la pena più pesante, 18 anni, è stata comminata, dal gup Caterina Catalano, a Giovanni Franco (di 69 anni). Per l’uomo, considerato  il dominus della cosca, la sentenza va, addirittura, oltre i 16 anni richiesti dai pm Antimafia Annamaria Frustaci e Giovanni Gullo.

 Quattordici anni di reclusione, ovvero quanti ne aveva chiesto la Dda, per il figlio di Giovanni Franco, Paolo di 37 anni. Stessa pena per Natale Cozzupoli e Francesco Cuzzucoli. Dodici anni ciascuno, invece, per Alfredo Dattola , Antonio Giuseppe Franco, Cosmo Montalto, Giuseppe Oliva, Filippo Oliva, Alessandro Pavone e Nicola Domenico Dascola, per i quali erano state proposte pene variabili tra i 9 e i 18 anni. Infine, a fronte di una richiesta di tre anni e sei mesi, Carlo Cavallaro è stato condannato a quattro anni e quattro mesi.

Stralciata, per un errore materiale, la posizione di Vincenzo Cicciù, per il quale, nel corso di una precedente udienza, la Dda aveva chiesto una condanna a 9 anni di reclusione. Nei suoi confronti il gup Catalano si pronuncerà oggi, poiché è stato necessario fissare una nuova udienza.

Prosegue, invece,  con il rito ordinario il filone processuale relativo alle estorsioni subite tra agosto 2012 e gennaio 2013 da un imprenditore di Melito Porto Salvo.

Nel corso dell’inchiesta, denomina Antibes, gli investigatori della Squadra Mobile sono riusciti a risalire ai presunti fiancheggiatori della latitanza di Giovanni Franco conclusasi in Costa Azzurra nel novembre 2013. Dalle indagini è, inoltre, emersa la figura del figlio del boss, che partecipava ai summit confrontandosi alla pari con affiliati con alle spalle una lunga carriera criminale.

  • Published in Cronaca

'Ndrangheta, operazione Conquista: ritorna in libertà il presunto boss del clan Bonavota di Sant'Onofrio

Dopo l'operazione Conquista nel corso della quale, nei giorni scorsi, i carabinieri hanno fermato cinque persone ritenute appartenenti al sodalizio mafioso dei Bonavota di Sant'Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma he deciso di rimandare in libertà Pasquale Bonavota.

Ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro capo dell’omonimo clan, l'uomo lascia, quindi, il carcere di Regina Coeli, dove era detenuto con l’accusa di omicidio, detenzione di armi, tentata estorsione, danneggiamento. Oltre a non convalidare il fermo, il magistrato romano non ha emesso nessun altro provvedimento ritenendo, pertanto, non necessaria l'applicazione di alcuna misura cautelare.

Esito diverso, invece, per gli altri fermati. Il gip del Tribunale di Vibo Valentia, Gabriella Lupoli, ha, infatti, convalidato il provvedimento disposto dalla Direzione distrettuale antimafia ed ha emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del fratello del presunto boss, Domenico considerato il capo dell’ala militare del clan; di Giuseppe Lopreiato e di Onofrio Barbieri.

Fermo non convalidato, infine, nei confronti di Domenico Febbraro, l’altro indagato nell’inchiesta Conquista. L'uomo rimane, comunque, in galera perché raggiunto da ordinanza del gip di Vibo

Resta ancora attivamente ricercato Nicola Bonavota, l'unico componente del gruppo ad essere è riuscito a sfuggire al blitz dei carabinieri.

Serra: il Comune manda all'asta la vecchia "166", al suo posto un'auto "antimafia"

Il comune di Serra San Bruno “rinnova” il proprio autoparco mettendo in vendita una vettura ed acquisendone una “antimafia”.

Lo scorso 30 novembre, è stato pubblicato, infatti, sull’albo pretorio dell’Ente l' “Avviso d’asta” con il quale si procederà alla vendita di un’ Alfa Romeo 166. L’auto, la cui alienazione è stata deliberata dalla Giunta municipale il 23 novembre, è stata usata prevalentemente per gli spostamenti istituzionali dei sindaci che si sono succeduti nel corso degli ultimi 15 anni.

 Al posto della vecchia “166” arriverà una Lancia Musa, assegnata, nel 2015, al comune di Serra San Bruno dall’ Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni  sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Come si legge nella deliberazione 116  della Giunta comunale: “il veicolo è pressoché nuovo, nella carrozzeria e negli allestimenti come pure per i pochi chilometri percorsi”.

L’arrivo dell’auto “antimafia” ha, quindi, mandato in pensione l’Alfa Romeo che era stata immatricolata nel 2000.

Con oltre 160 mila chilometri all’attivo, la “166” potrà ora essere comprata da chiunque sia disponibile a prendere parte all’asta la cui base di partenza è stata fissata in 2 mila euro.

Prima di procedere all’eventuale offerta, è possibile prendere visione del mezzo chiedendo un appuntamento all’ufficio dell’Area tecnico manutentiva.  Tutte le indicazioni necessarie per partecipare all’incanto sono disponibili sull’albo pretorio del comune accessibile tramite il seguente link: http://www.comune.serrasanbruno.vv.it/albopretorio

Gli interessati hanno a disposizione, ancora, qualche giorno. Le offerte possono essere, infatti, presentate al protocollo dell’Ente entro le ore 11 del prossimo 15 dicembre.

  • Published in Politica
Subscribe to this RSS feed