Vibo e l'antico vezzo di cambiar nome

Ho molti motivi per amare Vibo Valentia, tra cui non pochi dolci ricordi; e vi ho tenuto molte conferenze e relazioni; ed enumero dei cugini e molti amici. Insomma, Vibo è una città cui, tutto sommato, voglio bene. Ciò premesso, sorridiamo un po’ assieme. Ragazzi, quella di cambiare nome a qualcosa dev’essere proprio una mania epicorica! Non sappiamo se ai tempi del re Italo qualcuno abitasse, e con che nome, sull’alta collina ad affaccio del mare: affaccio, e torneremo. Sappiamo che i Locresi fondarono Ipponio (Ἱππώνιον), che par voler dire mercato di cavalli. Era una subcolonia autonoma, quando venne dedicato ad Olimpia lo scudo con l’iscrizione “gli Ipponiati vincitori sui Crotoniati insieme a Medmei e Locresi”; ed è forse una guerra che il mito affida alla leggenda di Eutimo. Non mi fate dilungare troppo. Verso la fine dello stesso V secolo però Ipponio e Medma si schierano, da indipendenti, contro la stessa Locri. Dopo il 356 la Confederazione dei Bruzi si scaglia contro i Greci, e Ipponio diviene Veipunium, a quanto appare da una moneta. Secondo, o forse terzo nome. Subito dopo la Seconda guerra punica, Roma vi dedusse una colonia, ed ecco il nome di Vibo colonia Valentia, che in qualche modo sa di forza, in greco Rhome/a: scusate se è poco! Strabone però continua a chiamare Ipponiate il golfo oggi di S. Eufemia. Solo Valentiam leggiamo nel Lapis Pollae. Vibonem leggiamo in Cicerone, in una lettera del 58, mentre andava in esilio. Seguirono varianti di Vibona, Bivona e altre, di cui rimane qualche traccia nella toponomastica del territorio. Vibona Balentia si legge nella Tabula Peutingeriana. Resta la memoria, e il titolo nominale, di un vescovato di Bivona, distrutto dai saraceni nel IX secolo. Fu molto tempo dopo, nel 1243, che Federico II rifondò la città e un castello, e volle il nome di Mons Leonis, Monteleone, forse dalla collina che sovrasta ad oriente. Si disse, dopo l’unità, Monteleone Calabro. Desiderosi di romanità, i fascisti locali, guidati da Luigi Razza, vollero, nel 1928, riprendere il nome di Vibo Valentia con tanto di “t”! La superstite opposizione propose Ipponio, ma, come in tutto il resto, senza successo. Un distinto signore di buona famiglia, che frequentai negli anni 1970, però amava dirmi “Ieu sugni di Muntiliuni”, per distinguersi forse dai Vibonesi di recente immigrazione. Come a Soverato diciamo “Soveratani” e “Soveratesi” con lo stesso criterio. Quanti nomi, Vibo, in tremila anni; ma sempre lì, sempre sopra l’acrocoro e l’affaccio. Ma la via Affaccio è diventata Dante Alighieri. E intanto la città, capoluogo di provincia, ha conquistato la sigla VV. Via Cassiodoro è diventata FCL: ne abbiamo detto e stradetto, e ormai la frittata è fatta. Sì, cambiare nomi è una vera mania ipponiato-monteleon-vibonese. A proposito, anch’io, dovendo scrivere dei versi in onore di fanciulla vibonese, la chiamai Iole e non con il nome vero: ci mancava pure!

 

  • Published in Cultura

Ulderico Nisticò presenta "Muse Ioniche"

“Sulle coste che oggi si chiamano di Calabria, Basilicata, Puglia giunsero, narrano i miti, gli antichissimi Peucezio ed Enotro, e vi trovarono popoli; e i coloni greci incontrarono alti monti e feconde pianure. Vi fiorì poesia, scienza, filosofia. Vennero i Romani ad apprendere quelle arti che le dure vicende del governo dello Stato e della guerra avevano loro vietate, e vi affinarono lingua ed animi. La voce delle Muse ioniche non si affievolì nei lunghi secoli del Medioevo e dell’Età moderna, e ancora dei santi monaci scrissero di Dio e dei poeti cantarono l’amore in greco e in latino. Non è dunque inutile che il lettore di oggi, e i giovani delle scuole, conoscano un po’ meglio quella Magna Grecia di cui si parla molto senza troppo saperne, e quella cultura ionica più moderna che è affatto ignota. Questo libro si studia di offrirne l’occasione. È e vuole essere un’antologia di testi, dunque non se ne abbia a male il lettore se troverà saggi introduttivi e biografie così scarne: gli sia se mai di stimolo a volerle sapere di più”. Sono queste le ragioni dell’ultimo lavoro editoriale dello storico calabrese Ulderico Nisticò “ Muse Ioniche- Poeti e Prosatori in greco e latino” edito da Città del Sole di Reggio Calabria. Si tratta di due tomi che raccolgono, con traduzione e note dello stesso Autore, opere magnogreche e latine e testi romei, longobardi, normanni, svevi e angioini e contemporanei. In particolare, il primo tomo giungerà fino Gioacchino da Fiore e Cassiodoro, il secondo presenta opere dei giorni nostri. L’opera di Nisticò verrà presentata a Crotone durante un incontro culturale organizzato dalla Società “Dante Alighieri” – sezione pitagorica, guidata da Anna Cantafora. Appuntamento venerdì 27 febbraio, alle ore 18.30, presso la sede dell’associazione in vico Caloiro  del centro storico di Crotone.

Molti comuni, pochi abitanti

Pian pianino si fa strada la mia idea della conurbazione dei Comuni: magari si fanno belli con le penne altrui, ma almeno se ne parla. Perché conurbare? Detto in breve: - quasi tutti i Comuni sotto elencati non sono “storici” come si millanta, ma risalgono, come Enti, al 1807 o 1811; - quasi tutti contano una popolazione di poche o pochissime centinaia di anime, e non sto qui a distinguere le età, o pare brutto; - molti posseggono un vasto territorio male o per niente utilizzato; - i detti territori sono intrecciati tra loro, il che rende arduo ogni piano regolatore o altro intervento urbanistico e turistico e industriale… - tutta l’area dal Corace all’Alli conta meno abitanti della sola Lamezia, e perciò stesso non conta niente, come prova che quasi mai riesce ad eleggere un qualsiasi politico. Io, nel Golfo di Squillace Sud in senso lato, metterei assieme i seguenti Comuni: 1.Guardavalle, Santa Caterina, Badolato, Isca; 2. S. Andrea, S. Sostene, Davoli, Satriano, Soverato, Gagliato, Petrizzi; 3. Argusto, Chiaravalle, Cardinale, Torre R.; 4. S. Vito, Cenadi, Centrache, Olivadi, Palermiti; 5. Montepaone, Montauro, Gasperina, Stalettì; 5. Squillace, Borgia, S. Floro; 6. Girifalco, Amaroni, Vallefiorita; 7. Serra San Bruno, Spadola, Brognaturo, Simbario, Mongiana, Fabrizia (Nardodipace lo mandiamo con Caulonia etc).  Restano due problemi che a dirli paiono grossi e in realtà sono irrisori nel senso letterale: i nomi da assegnare ai nuovi Comuni, e qui sbizzarrite la fantasia; e l’eventuale opposizione di improvvisati (e interessanti) patrioti, con vibranti manifestazioni di piazza. Tranquilli, la Chiesa ha chiuso Diocesi con un millennio e mezzo di storia, Squillace in testa, e non se le ricorda più nessuno: e non per questo gli indigeni sono diventati meno cattolici o più cattolici. 

  • Published in Diorama

La "Trasversale" ed i misteri della bretella

Lungo l’asse della sedicente Trasversale, le cui buffe vicende abbiamo già narrato, non sono solo quelli i misteri che nessuno spiega, e tra questi senza dubbio il più strambo è quello della Bretella.

 Dicesi, o piuttosto si dovrebbe dire Bretella un tratto di strada che dovrebbe, diciamo avrebbe dovuto collegare Gagliato con Petrizzi. Le motivazioni per cui i due borghi avvertano l’urgenza di essere collegati, mi sono ignote, stante la rarefazione della popolazione gagliatese, e poco meno quella di Petrizzi, che comunque non va a Gagliato. Primo mistero: a che serviva una strada.

 D’ora in poi vado a memoria: non ho documenti, e temo che anche il commissario Montalbano in persona stenterebbe a trovarli. Una decina di anni fa si sparse la voce che la Bretella avrebbe seguito il percorso Gagliato – Turriti – Campo; e avvennero degli espropri di terreni, con relativi ricorsi eccetera. Poi si seppe che niente valle, tutto a monte. Secondo mistero: perché cambiare strada.

 Lasciata dunque la valle del Turriti, che fine hanno fatto gli espropri? Terzo mistero: gli espropri.

 Iniziano i lavori a monte, con piloni, sbancamenti, tubi, ferro, muri di contenimento, e soldi, soldi, soldi, tantissimi soldi. Quarto mistero: quanti soldi?

 A questo punto, circa sei o sette anni fa, mi pare, muri ferro sbancamenti piloni tubi eccetera, tutto finisce nel nulla eterno, e l’erba, potente segno della Natura, si sta mangiando tutto. Quinto mistero: perché sono finiti nel nulla i sedicenti lavori?

 Sesto mistero, che non c’entra con la Bretella, ma è sempre da quelle parti: c’è una rampa all’ingresso di Gagliato che non porta da nessuna parte, però sono stati spesi denari.

ANAS, governo, regione, provincia, sindaci, giornali, intellettuali, imprenditori, agricoltori, e la magistratura, con particolare riguardo alla Corte dei conti, tutti muti eccetto Ulderico Nisticò con cui sono tutti d’accordo e poi se ne fregano. Settimo mistero.

  • Published in Diorama

La poesia: I corvi

         I CORVI

 I corvi intorno

gracchiano: "Ma le regole, le norme,

le convenzioni dove finiranno,

se voi fate così? c'è grave rischio

che si diffonda un seme di anarchia!"

Le cornacchie dei rami

accennano di sì col becco chino;

e le upupe amiche dei cadaveri

rispondono di sì. C'è un gran vociare

nella foresta, sul conto dei lupi:

"Animali da preda, irti, selvatici,

dolorosi a sé e agli altri, inquieti, cupi,

di che ridete, di che i vostri occhi

gialli di notte infuocano le vie?

Non c'è anche per voi

una ciotola piena come i cani,

un giaciglio, una casa? veramente

fanno bene nel tendervi le trappole

in difesa del gregge mite quieto!"

I lupi intorno sorridono

nella selva intricata senza sole.

 

 Lupi tu ed io senza speranza, senza

casa di pietra, senza stirpe nobile,

senza pace nei giorni,

maledicendo alla mia sorte ancipite

ed alle leggi indomite del cuore,

lupi tu e io d'angoscia e di fortuna,

segno d'odio tra gli uomini, tu e io

non invidiamo forse il corvo e l'upupa,

la cornacchia screziata,

cui basta un frusto, un mattino, una sera,

e son detti felici, e non si curano

d'alti pensieri? Ah, beati

sette volte, se trovano una piccola

esca, un passero stanco, un verme, un fiore

putrido, e chi li ami dentro un cavo

di rupe senza sole. E tu e io, lupi

insaziati, tu e io lucida pena,

senza dio sotto il cielo, con la nostra

disperazione per le selve andiamo,

per i monti gelati, per le arene,

dove ci sferza il desiderio amaro,

d'un solo cuore, e per diverse strade.

 

  • Published in Cultura
Subscribe to this RSS feed