Aldo Biscardi. Altro che “antipatico”: un uomo geniale, umile, genuino

Non so se essergli più grato per aver contribuito notevolmente alle fortune de “la Schedina” (e alla mia personale notorietà) o per avermi fatto capire (alla tenera età di 39 anni) la straordinaria importanza della pasta al sugo.

Ma non è la gratitudine (e tanto meno la retorica o l’idealizzazione) a spingermi a parlare del Biscardi Uomo, del Biscardi Amico, del Biscardi che ho conosciuto e frequentato lontano dalle telecamere.

E non mi interessano i giudizi – frettolosi e spesso interessati – dei colleghi che altezzosamente sono saltati giù dal suo magico carro appena lo stesso ha dato segni di cedimento: infangare gli altri è spesso un espediente che gli invidiosi utilizzano per attribuire la causa dei propri insuccessi alla “superiore moralità” piuttosto che alla minore capacità intellettiva (come del resto è accaduto nel caso di Luciano Moggi, che forse non era peggiore degli altri, ma solo assai più intelligente).

E comunque, ciò che più mi affascinava in Aldo Biscardi non era l’intelligenza (e lo straordinario intuito giornalistico), ma la sua consapevole autoironia e la sua schietta autenticità, doti, queste, alquanto rare nel dorato mondo della grande televisione.

Biscardi se ne infischiava allegramente del suo duro accento molisano e della grammatica spesso zoppicante. Inoltre rideva volentieri delle sue stessa gaffe, utilizzandole anzi per rafforzare il suo personaggio.

E chi dimentica il “deng you” con cui Aldo conclude un ironico spot, nel quale impersona uno studente che ringrazia la commissione esaminante al termine di un corso di lingua inglese? E quella volta che al “Processo”, informato del fatto che un servizio non era ancora pronto, ci esortò ad “allungare il brodo”? E tutte quelle volte in cui le telecamere lo sorprendevano mentre ci aizzava ad alzare i toni della discussione (magari subito dopo aver ripetuto il suo consueto <Non accavallatevi!>)?

Biscardi era, prima di tutto, uno psicologo intuitivo: il suo “Processo” altro non era che la geniale trasposizione televisiva del “Bar dello Sport”, confezionata in modo tale che nulla potesse prescindere da quella carica di intensa emotività grazie alla quale ogni tifoso poteva riconoscere se stesso, parteggiare con foga per i personaggi con cui sentiva di potersi identificare ed inveire ferocemente contro coloro che sostenevano la tesi opposta.

Una formula apparentemente “semplice” (molte cose appaiono semplici “dopo” che qualcun altro le realizza), spesso aspramente criticata (in particolare da chi di Biscardi invidiava il successo) ed oggi più che mai in voga non soltanto nei programmi sportivi ma – ahimè! – anche nel dibattito politico, che somiglia ogni giorno di più a una bruttissima copia del famosissimo “Processo” (con la differenza ulteriore che Aldo non tollerava le parolacce e gli insulti).

La scomparsa di Biscardi mi addolora tantissimo anche perché la sua amicizia era per me particolarmente preziosa: diversamente da tanti boriosi personaggi dello spettacolo (che incontravo raramente e malvolentieri, perfino quando si trattava di bellissime donne), Aldo era un conversatore interessante, pronto, acuto e, soprattutto, privo di fronzoli.

E solo adesso che lui non c’è più mi sono fermato a riflettere, a capire che in fondo si è trattato dell’unica persona pignola con cui ho pranzato volentieri, nonostante la mia abituale riluttanza a frequentare coloro che aspirano ad una precisione esasperata (e solitamente risultano alquanto noiosi).

Quello di Aldo era un perfezionismo che non mi dava fastidio. Al contrario, mi faceva addirittura tenerezza, perché prima di ogni trasmissione vedevo un Biscardi apprensivo e preoccupato, quasi fosse la sua prima volta: anche un consumato professionista ha il diritto di poter essere un po’ bambino.

Personalmente, ciò che più mi lusingava era il fatto che lui – pur pretendendo che i suoi ospiti fossero personaggi famosi, direttori di grandi quotidiani o, al limite, istrioniche macchiette (non si trattava di una preferenza “sua”, ma della consapevolezza che il pubblico vuole questo) – sembrava avere molta stima nei miei confronti, al punto da interpellarmi più volte in privato, perfino in merito al mio pensiero sulle varie elezioni politiche.

E al punto da rivelarmi una verità che dichiarava inconfessabile: «Vince’, non lo ammetterò mai, neanche sotto tortura… ma io sono tifoso della Roma».

Adesso posso dirlo. Perché lui non c’è più.

Che amarezza!

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