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Giunta regionale, la Calabria può attendere

A poco più di un mese dalla elezioni del 23 novembre scorso, la giunta regionale era già al lavoro. Una giunta, forse, un po’ pletorica ma, quel che più conta, operativa. Il presidente, ha infatti, proceduto, ad assegnare le deleghe ai suoi undici assessori, il 29 dicembre 2014. Non ha voluto aspettare neppure le fine dell’anno, consapevole che per ottenere risultati non bisogna perdere tempo. A questo punto ci preme rassicurare i lettori, non stiamo scrivendo di fantapolitica. Al contrario, stiamo parlando di una regione i cui elettori sono stati chiamati alle urne lo stesso giorno in cui hanno votato i calabresi, l’Emilia Romagna. In una regione ricca, con una sanità che funziona, con una percentuale di disoccupazione poco più che fisiologica, con i servizi efficienti, il nuovo presidente della giunta, Stefano Bonaccini si sarebbe potuto prendere il lusso di cincischiare qualche settimana. Chi non potrebbe permettersi, invece, pause, esitazioni o tentennamenti è il governatore della Calabria, additata, ormai quotidianamente, come esempio negativo da non imitare. In una terra come la nostra, afflitta da vecchi mali e nuovi vizi, non solo bisogna iniziare prima che altrove, ma è necessario lavorare il doppio per cercare di venire a capo dei problemi. Ed invece, a distanza di sei mesi, i calabresi si ritrovano ancora una giunta a mezzo servizio, composta da un presidente, un vice ed appena due assessori. Una situazione che ha dell’incredibile, per tante ragioni. Alla luce della condizione generale in cui versa la regione e del disastro prodotto da Scopelliti & co, gli elettori e non solo, si sarebbero aspettati una partenza al fulmicotone. Il Partito democratico ed il presidente della giunta, Mario Oliverio, avevano avuto a disposizione cinque anni per meditare, guardarsi attorno, individuare le professionalità più adeguate a creare le condizioni, se non per far rinascere la Calabria, quanto meno per provarci. Chi si aspettava una giunta operativa all’indomani dell'esito dello scrutinio, è stato costretto a ricredersi, perché il presidente ha deciso di attingere a personalità esterne. Una scelta che offre la dimostrazione plastica della sua assoluta mancanza di fiducia nei confronti dei consiglieri regionali, alcuni dei quali eletti, addirittura, con la lista che portava il suo nome. A questo punto bisognerebbe aprire una serie di riflessioni relative alle modalità con cui il Pd opera la selezione della sua classe dirigente, ma l’argomento ci spingerebbe lontani dal tema che stiamo trattando. Consapevoli che le elezioni regionali sarebbero state poco meno di una formalità, Oliverio ed il suo partito avrebbero potuto candidare e far elegge tranquillamente personalità autorevoli pronte a ricoprire con profitto la funzione d’assessore. Una situazione del genere avrebbe permesso di non cadere nell’attuale situazione di stallo e di non dover procedere alla modifica dello statuto per consentire la nomina di uomini e donne esterni al consiglio. Intanto, nelle more dell’entrata in vigore delle nuove norme statutarie, prevista per la fine di giugno, i calabresi dovranno rassegnarsi, con la consapevolezza che, forse, riusciranno ad avere una giunta regionale al completo non prima di otto mesi dalla data delle elezioni. Ma in fondo che fretta c’è, la Calabria non è mica l’Emilia Romagna!

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