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Incubo spoliazione sulle Serre: evitiamo di far morire un territorio

Se non ci si concentra su una singola vicenda e si ricollegano fatti e circostanze, si arriva ad una conclusione triste ma verosimile. Gli avvenimenti non sono frutto di questioni  frammentate, ma appendici di una scelta sovrastante le nostre teste. C’è un progetto che si cerca di portare a termine in un periodo di tempo medio-lungo, mosso da esigenze finanziarie e non solo: si punta sui grandi centri, sulle aree pianeggianti dove le economie di scala consentono i risparmi e rendono maggiormente produttivi gli investimenti, sulle città ben inserite nel contesto globalizzato e capaci di reggere il ritmo della spietata competizione. La “periferia”, le zone montane più isolate e dunque più “arretrate”, quei territori che sono “rimasti indietro” non sono più “attenzionati”, anzi lo sono ma per motivi che li screditano. Ecco allora che vengono chiusi i rubinetti: tagli alle spese, stop ad ogni piano di rilancio e tanti saluti alle intenzioni di “far crescere il Sud per far crescere l’Italia”. I fatti, nudi e crudi, ci dicono che la speranza (fermiamoci ai sentimenti senza chiamare in causa il credo divino che per una quota crescente di popolazione, nonostante i processi di secolarizzazione, pare l’unico appiglio di salvezza) non si è fermata a Eboli, ma un po’ più su. Per potersi confrontare con i coetanei delle realtà più avanzate ai nostri giovani non resta che una strategia: formarsi nei loro centri culturali, inserirsi nei loro contesti produttivi, studiare la loro organizzazione sociale e poi, a parità di armi, mettere sul piatto della bilancia la genuinità delle idee e la testardaggine calabrese. Diciamolo chiaramente: chi vive in un’area con troppi punti interrogativi sui servizi essenziali (ospedale, consultorio, parco delle Serre, giudice di pace, Inps, Agenzia delle Entrate, Centro per l’Impiego) perde entusiasmo e carica innovativa, si chiude e si ripiega su se stesso, regredisce culturalmente e socialmente. Quindi diventa non appetibile su un mercato che richiede innanzitutto una immensa apertura mentale. La conseguenza è inevitabile: i migliori scappano e sul territorio restano quelle forze meno positive che perpetuano un sistema basato sull’autoconservazione e sul clientelismo. Un sistema che diviene quasi impossibile scardinare, perché parafrasando una regola economica “cittadino cattivo scaccia cittadino buono”. Ci rimane unicamente  l’abitudine all’indifferenza e dunque la resa? No, una via d’uscita potrebbe esserci se smettiamo di autodenigrarci, di farci del male, di proseguire in un’autolesionista guerra fra poveri. Combattiamo, diamo una chance ai nostri laureati che – diciamo anche questo – altrove fanno la differenza. Eccome. Basta col familismo amorale, col voto al compare e il favore a chi dopo ce lo rende. Ci possono privare di tutto ma non di una cosa: la libertà di pensare e di agire, che è l’anima ed il cuore di ogni società.

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