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Calabria turistica: triste viaggio tra illusioni e luoghi comuni

L'acceso botta e risposta fra Roberto Saviano e Matteo Renzi che ha contribuito a rendere ancora più torrida la stagione estiva altro non è che la metafora perfetta dell'opposto approccio con cui da sempre due differenti correnti di pensiero guardano alle vicende meridionali. Da una parte la deresponsabilizzazione che indica nello Stato, nella Storia, nella colonizzazione del Sud, nell'assenza delle istituzioni ed in mille altre giustificazioni le ragioni profonde del sottosviluppo che attanaglia un terzo della Penisola. Dall'altra, il pragmatismo di chi, corroborato dal culto del fare, in modi corretti o meno poco importa, trova impossibile che nel terzo millennio si ritenga ancora valida la teoria immaginifica secondo cui la straordinarietà di un territorio sia stata compromessa dall'indifferenza e dall'egoismo di coloro che spadroneggiano a Roma. Se, invece, cominciassimo ad assumere un atteggiamento violentemente autocritico, forse coglieremmo l'opportunità di tirarci fuori dall'imbuto dell'autoreferenzialità che, nei decenni, si è allargato fino a diventare un pozzo senza fondo nel quale annegare tutte le nostre, residue, speranze di crescita. Poco importa il merito della questione che ha diviso lo scrittore di "Gomorra" ed il presidente del Consiglio, quel che interessa è approfittare della querelle per prendere una posizione che aiuti a smontare i fatali luoghi comuni sotto i quali il popolo meridionale si è sempre nascosto, ignorando che così comportandosi avrebbe determinato uno scollamento culturale, prima ancora che economico, con il resto dell'Italia. Uno stato d'animo collettivo che in Calabria ha assunto i contorni di un ribellismo vuoto, di un'anarchia coltivata nel chiuso del proprio io o, con una deviazione pessimamente interpretata, del perimetro asfissiante degli interessi esclusivi della propria "bottega familiare". Per equilibrare questo risentimento quotidianamente vissuto nei confronti dell'Altro, abbiamo cominciato,  con soave indifferenza e quasi credendoci davvero, a raccontarci la storiella di quanto siamo accoglienti, buoni e generosi nei confronti del prossimo. Un luogo comune, senza il minimo appiglio, che ancora resiste imperterrito sebbene non si scorga nemmeno la parvenza di testimonianze concrete di queste presunte caratteristiche della popolazione calabrese.  Che si tratti di qualità che nessuno, all'esterno del nostro piccolo mondo, ci riconosce è un dettaglio insignificante: l'importante è dare ossigeno quotidiano al moribondo mentendo sul suo reale stato di salute. Ed allora fuoco alle polveri con i triti e ritriti autocompiacimenti sulle straordinarie arti di ospitalità, bontà e solidarietà della gente del Sud. Quel che non torna, però, è presto detto: se davvero fossimo depositari di queste immense qualità, come mai il turismo, da sempre unanimemente considerato il nostro petrolio, non è mai decollato, ad esclusione di alcune pochissime isole felici? Anche in questo caso siamo lesti a scovare mille e più ragioni che, nelle illusioni alimentate ad ogni piè sospinto, impedirebbero ai milioni e milioni di viaggiatori, italiani e stranieri ansiosi di trascorrere le vacanze in Calabria, di poter dare seguito ai loro "sogni". Un rosario infinito di scuse, tutte invariabilmente estranee alle responsabilità autoctone: dall'Alitalia che pratica prezzi proibitivi alla tragicommedia dell'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, passando per le agevolazioni fiscali che da anni avvantaggiano altri Paesi del Mediterraneo, nostri diretti concorrenti. Ovviamente non siamo così intrisi d'ingenuità da disconoscere che si tratta di considerazioni blindate da verità inconfutabili. Ma si tratta di bagagli insufficienti  a raggiungere la sponda su cui albergano autonomia, libertà di agire sul mercato e consapevolezza del proprio destino. Se non esistono carovane di turisti in direzione delle fantasmagoriche (ai nostri occhi) strutture balneari adagiate sulle nostre coste o che pullulano (dove?) nelle località montane, i motivi sono individuabili nella cronica incapacità di fare rete fra gli imprenditori del settore. Una peculiarità nostrana che, se abbandonata, permetterebbe, essa sola, di eguagliare il boom di presenze che da tempo sta toccando la Puglia. Un panorama politico locale affastellato di mezze figure in deficit di cultura e visione strategica, fa il resto.  Finché si proseguirà nel battere le stesse strade di sempre, lastricate di indici puntati ovunque tranne che verso noi stessi, dormiremo sonni tranquilli: la rappresentazione figurata della pigrizia mentale che invade menti ed approcci alla vita quotidiana nell'estrema punta dello Stivale. Se, al contrario, iniziassimo, allargando lo sguardo ed il cuore, a pensare che proprio il fastidio e l'insofferenza con cui spesso interagiamo con il turista costituiscono la cartina di tornasole del nostro modo di concepire l'accoglienza, tanti miglioramenti sarebbero immediatamente visibili. Scrollandoci di dosso, prima di ogni altra cosa, quella diffusa indifferenza al senso di comunità, ormai presente solo nei nostalgici racconti dei testimoni delle generazioni passate, ci accorgeremmo che, ad esempio, rendere luride spiagge e acque dei nostri mari o i sentieri dei boschi un tempo incontaminati, non è solo una palese conferma della nostra inciviltà, ma lo specchio fedele del rifiuto che opponiamo in maniera ostinata a condividere con il prossimo spazi, prospettive di vita ed interessi concreti.

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