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Reggio senza presente: giudica il passato e perde l'appuntamento col futuro

Immaginiamo solo per un attimo di trovarci davanti ad un medico specialista a cui abbiamo deciso di rivolgerci dopo anni in cui ci siamo affidati ad un suo collega. Dietro questa scelta, delicata per la nostra salute, risiedono motivazioni che ci inducono in quel momento ad avere maggiore fiducia in lui rispetto a quanta ne riponiamo in altri professionisti, anche fra coloro che ci hanno seguito in passato. Ancora più significativa e pregna di speranze sarebbe la nostra mossa, se le condizioni in cui versiamo fossero critiche. In questo caso, prevarrebbe la fiducia di essere sottoposti ad una terapia shock, a qualcosa che somigli molto da vicino ad un miracolo. Ed allora aggrapparsi a chi ha promesso improbabili guarigioni diventa l'unico appiglio prima di precipitare nella disperazione. Di fronte ad uno scenario così drammatico, però, accade qualcosa che nessun paziente vorrebbe che capitasse: quel medico, che nei mesi e negli anni precedenti si è presentato come il santone in grado di restituirci a nuova vita, improvvisamente, dopo le prime visite, assume un atteggiamento glaciale e, declinando ogni responsabilità, si scaglia contro i colleghi che si sono occupati di noi per lungo tempo. Li accusa, in nostra presenza, di non essere stati all'altezza della situazione, di non aver saputo gestire la malattia in modo competente. L'unica azione possibile, ci dice senza tanti giri di parole, è quella di salvare il salvabile perché chi c'era prima di lui ha svuotato il nostro portafogli sottraendoci le risorse economiche che sarebbero necessarie per intraprendere un nuovo percorso di benessere. Ascoltando queste frasi, rintracciamo un atteggiamento remissivo da parte dell'uomo che ci aveva fatto sognare nuovi orizzonti esistenziali, dai colori completamente opposti a quelli che aveva sdegnosamente criticato per anni. Ecco, fatti i debiti scongiuri in merito alle nostre condizioni fisiche, è questa la condizione che si ritrovano a vivere attualmente i cittadini di Reggio Calabria. Tornati alle urne nello scorso mese di ottobre al culmine di diciotto mesi di gestione commissariale e dopo un decennio a guida centrodestra, hanno preferito inseguire le promesse di radicale cambiamento sbandierate da Giuseppe Falcomatà, bocciando l'ipotesi di proseguire nel solco tracciato da Giuseppe Scopelliti. Non per niente lo slogan lanciato per dare il segno tangibile dell'obiettivo che il sindaco intendeva raggiungere era racchiuso in due semplici parole, "La Svolta", dal significato inequivocabile: un'inversione di rotta rispetto alla navigazione seguita fino ad allora dai Capitani responsabili dell'imbarcazione durante la traversata iniziata nel 2002 ed interrotta in modo traumatico nel 2012. Tornando alla metafora di carattere "sanitario" di cui ci siamo serviti all'inizio, è ragionevole pensare che, se i rilievi sollevati dal medico al quale abbiamo chiesto di far migliorare il nostro critico quadro clinico fossero stati aderenti alla realtà dei fatti, la sua mossa iniziale avrebbe dovuto essere una ed una soltanto: farsi circondare da specialisti esperti in ogni singola branca della medicina connessa alla patologia dalla quale saremmo affetti. Invece no, nel caso specifico dell'Amministrazione Comunale della città dello Stretto si è ritenuto più utile farsi circondare da fanciulli che mai avevano avuto a che fare con la conduzione della "Cosa Pubblica". Idea legittima e coerente con l'auspicio originario: quello di dare corpo ad una "rivoluzione dolce" che si presentasse, anche nella sua esibizione fisica, in totale discontinuità con il passato. Accettando, dunque, questa visione, diventa, però, ancora più impellente un quesito: perché, con cadenza quotidiana, i detentori del potere di incidere in profondità, oggi ora e subito, sulla vita dei reggini, marchiata a fuoco da immense difficoltà, continuano imperterriti, a distanza di nove mesi, a volgere lo sguardo indietro recriminando su un passato da essi aborrito? Considerazioni, riflessioni e pensieri pubblicamente esternati che potevano avere, forse, una giustificazione nel primo mese, ma già dopo cento giorni dall'insediamento sarebbe stato il caso di dare un taglio netto a questo approccio e fornire, con un dettagliato Rapporto alla Città, il quadro esaustivo di ciò che di buono era stato già compiuto a testimonianza fedele dell'efficacia della cura. Nella realtà, allora fu convocata una conferenza stampa infarcita di tanti "faremo" ed assai  povera di "abbiamo fatto". Di tempo ne è trascorso il triplo ed ancora, addirittura nelle prese di posizione ufficiali, rimane irresistibile la tentazione di scrollarsi di dosso il pesante fardello delle responsabilità e continuare osservare con occhi colmi di rancore le presunte colpe degli amministratori scacciati in malo modo da Palazzo San Giorgio ormai quasi tre anni fa. No, in un Paese che dice di ispirarsi ai principi di libertà e democrazia non funziona così: vincere una competizione elettorale non è uno sterile esercizio di "celodurismo", ma costituisce il preciso momento iniziale della presa in carico dei problemi sofferti da una comunità. Da quell'istante in poi gli alibi e le strategie propagandistiche devono cedere il passo alla serietà dell'impegno e ad una sobria pratica di sicuro comando del timone. Perdersi in lamenti vittimistici per quel che è stato rischia di far morire il malato. Volendo essere consequenziali con un ragionamento del genere, infatti,  sarebbe stato più utile continuare ad assumere i farmaci prescritti dai medici che stavano osservando da tempo l'evoluzione del nostro stato di salute. Probabilmente, però, sussiste, immobile e pietrificato, un peccato originale cui sarà impossibile sfuggire in quanto quell'ansia di marciare verso il tempo che fu deriva dall'idea, romantica e suggestiva, ma impraticabile, di rivivere una nuova "Primavera". Le esperienze, siano esse positive o negative, purtroppo per i soggetti che ne coltivano il mito, non riescono più a farsi spazio in un mondo sottoposto ad un irrefrenabile mutamento. Insistere nel farsi scudo con frasi ad effetto si rivelerebbe, pertanto, un errore strategico di dimensioni incalcolabili: concretezza e pragmatismo, accompagnate da una visione lungimirante della Reggio Calabria che sarà, si qualificano come i soli ingredienti capaci di dare spessore alle ambizioni, personali e collettive. Dare una sterzata secca e decisa per dare soluzione a questioni che attanagliano i cittadini è ormai improrogabile: l'indecorosa carenza idrica, strade insozzate, l'insostenibile tragedia della disoccupazione, l'assenza di ordine e disciplina nella giungla del traffico automobilistico, l'inqualificabile stato in cui versano gli impianti sportivi, veri e propri motori della socializzazione giovanile; una burocrazia pigra, l'incapacità di attrarre turisti, commercianti allo stremo delle forze. E', questo, solo un elenco assai parziale delle emergenze più comuni. Tutte montagne da scalare, certo, ma che devono essere affrontate guardando dove si mettono i piedi. Se le si prova ad attraversare guardandosi le spalle, il rischio di precipitare nel burrone è dietro l'angolo perché il sospetto che si alzi il tiro nel registro linguistico della comunicazione istituzionale solo per provare una disperata azione di nascondimento della propria inadeguatezza non faticherà a farsi strada nel cuore e nella mente di un popolo storicamente disilluso.

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