Serra, il chiasso della politica e la solitudine della cultura

Diceva Mark Twain che la cultura è quello che rimane quando tutto quello che hai appreso te lo sei dimenticato. Il nostro popolo (serrese, s’intende) e soprattutto le nostre istituzioni locali rappresentate da inetti, hanno quella particolare capacità di dimenticare le cose e le persone quando ancora non è il momento per scordarsene. Lo fanno, evidentemente, per un anticipo di  smemorataggine. Lo abbiamo visto ieri ai funerali del compianto scultore di fama Giuseppe Maria Pisani. Poca gente ma in compenso, non si offenda nessuno, forse la parte migliore di quella società serrese che negli artisti, nei comici, negli uomini di cultura e in chi viaggia nella solitudine della controcorrente vede gli anticorpi necessari che difendono la popolazione da un potere fine a se stesso e da una cultura autoreferenziale fatta di convegni inutili perché tutti bravi ad auto incensarsi l’un l’altro. E’ successo con il grande scrittore Sharo Gambino, è accaduto con il noto giornalista Enzo Vellone a cui pure è stata dedicata una biblioteca rimasta vergognosamente chiusa ed è accaduto ieri con Giuseppe Maria Pisani. Tutti bravi a ricordarli dopo, ad anni di distanza quando è necessario utilizzare il loro nome vantandosi del fatto che «Serra è stata patria di grandi uomini di cultura». Ma le istituzioni dov’erano? E soprattutto dov’erano quei giovani di tutti gli schieramenti politici che, puntualmente, nelle campagne elettorali vanno boccheggiando parole come “cambiamento”, “c’è fame di cultura”, “investiamo sul turismo religioso” e molte altre frasi fatte ma prive di significato. Se questo è il loro biglietto da visita qualcuno ci salvi da chi vuole salvarci.

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