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La denuncia di Gratteri, le colpe della politica e l’ignavia della Giustizia

 Hanno suscitato un incomprensibile scalpore le dichiarazioni del Procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri. Non che le parole pronunciate dal magistrato non meritassero attenzione, ma tutto sommato non hanno fatto luce su nessun arcano mistero che già non si conoscesse. “Prima ancora della politica e della ’ndrangheta, il problema della Calabria sono i quadri della pubblica amministrazione” ha affermato Gratteri, che ha puntato l’indice contro “ direttori generali  che da vent’anni sono nello stesso posto”. Nei gangli dell’amministrazione regionale, secondo Gratteri, si sarebbe sviluppato un “centro di potere che è lì da sempre”.  Verità incontrovertibili che in Calabria conoscono tutti e che in tanti fanno finta di non vedere. Alla denuncia del Procuratore hanno fatto seguito la dichiarazione del Presidente della Giunta regionale, Mario Oliverio, per il quale quello della burocrazia è un problema “di democrazia”. “Si avverte – ha proseguito Oliverio -  una pressione, una presenza che definirei un macigno, uno schema sempre uguale di burocrazia dominante”. Parole che sembrano essere state pronunciate più come alibi per giustificare l’immobilismo della politica regionale che per fustigare il malcostume. Tanto più, che se ci sono sacche di “burocrazia dominante” o “direttori generali che da vent’anni sono nello stesso posto”, la responsabilità è anche e soprattutto della politica. Se la casta dei colletti bianchi è nata nel passato, con tutta evidenza, nel presente ha continuato a proliferare indisturbata. I “direttori generali” di cui parla Gratteri, non sono, infatti, dei marziani arrivati da Marte, bensì una diretta emanazione della politica che li ha nominati. Quindi, chi governa la Regione eviti l’indignazione di facciata, tiri fuori gli attributi e compia le azioni necessarie a riportare la Calabria alla normalità. Lo stesso dicasi per i magistrati che, evidentemente in taluni casi, non hanno impedito “ai quadri della pubblica amministrazione” calabrese di gestire da “incensurati” la “cosa pubblica con metodo mafioso”.

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