Le Forze speciali italiane sono già in Libia, lo conferma un documento top secret

Le Forze speciali italiane stanno operando in Libia. A confermare l'indiscrezione fatta ciorcolare da Repubblica, un documento top secret pubblicato dall'Huffington Post.  Redatto dal Comitato di controllo sui servizi segreti (Copasir), il documento conferma la presenza dei nostri militari sullo scacchiere libico. Le operazioni attualmente in corso sono "effettuate in applicazione della normativa approvata lo scorso novembre dal parlamento, che consente al presidente del Consiglio di autorizzare missioni all'estero di militari dei nostri corpi d'elite ponendoli sotto la catena di comando dei servizi segreti con tutte le garanzie connesse. Immunità compresa". In altri termini, "i commando del IX Reggimento 'Col Moschin' del Gruppo Operativo Incursori del Comsubin, del XVII Stormo Incursori dell'Aeronautica Militare e del Gruppo di Intervento Speciale dei Carabinieri (e le forze di supporto aereo e navale) non rispondono alla catena di comando della coalizione dei trenta e più paesi che appoggia il governo del premier Fayez al Sarraj, ma direttamente" al governo Renzi. Secondo alcune indiscrezioni, le teste di cuoio italiane opererebbero a Tripoli, Misurata e Bengasi e svolgerebbero attività di formazione dei militari del Governo di Unità nazionale e delle milizie di Misurata.

Hiroshima, 6 agosto 1945: gli Usa aprono le porte all'incubo atomico

Sei agosto 1945, dopo le lunghe piogge tipiche della stagione monsonica, su Hiroshima splende finalmente il sole. Nonostante la guerra, gli abitanti portano avanti le loro occupazione con il consueto ritmo frenetico. Nulla sembra presagire la catastrofe che sta per annientare uomini e cose. Fin dalle prime ore della giornata il centro città brulica di biciclette e camion militari. A dispetto dei due allarmi aerei risuonati nel corso della notte, le donne vanno regolarmente al mercato. Nonostante l’apparente normalità, su Hiroshima, come sul resto delle città del Sol Levante incombe l’incubo dei “Bsan”, il nome con il quale i giapponesi chiamano i B29, i bombardieri americani che nel marzo del 1945 hanno devastato Tokyo. La paura è legata soprattutto alle bombe incendiarie che, complice la struttura in legno della gran parte delle abitazioni, innesca incendi che si propagano con grandissima rapidità. Nessuno conosce, invece, l’esistenza di quell’ordigno che proprio ad Hiroshima inaugurerà l’era atomica. L’arma, nata dal “Progetto Manhattan”, è stata costruita in gran segreto. Il presidente americano Harry Truman non vede l’ora di impiegarla in guerra, a tal punto che dalla fine della sperimentazione all’impiego bellico non passa neppure un mese. La fase conclusiva del progetto viene messa a punto nel deserto del Nuovo Messico il 16 luglio, quando, nel poligono di Alamogorno, viene fatta esplodere una bomba i cui effetti sono devastanti. La funzione della nuova arma, molto probabilmente, non è quella di accorciare la durata del conflitto, il cui esito, dopo la fine della guerra in Europa, è ormai segnato, bensì a far vedere i muscoli all’Unione Sovietica. Come sanno gli analisti statunitensi, chiusa la partita con le potenze del “Tripartito”, la sfida futura vedrà protagonisti due blocchi guidati da Usa ed Urss. Nel subdolo linguaggio cifrato della politica internazione, il nuovo ordigno rappresenta, quindi, un inequivocabile messaggio indirizzato alla controparte. La storia della bomba sganciata 72 anni fa ad Hiroshima, nome in codice “Little boy”, inizia l’1 agosto 1945 a Tinian, la base militare delle isole Marianne, dove l’ordigno, della lunghezza di 3 metri e del peso di oltre 4 tonnellate, viene montato. Al suo interno sono contenuti 68 chili e 280 grammi d’uranio. Nessuno conosce ancora il nome della città che legherà il suo nome alla prima esplosione nucleare della storia. Solo per uno sfortunato caso l’atomica sarà sganciata su Hiroshima. Le città candidate, infatti, sono quattro: Kokura, Nagasaki, Yokohama e Hiroshima. La scelta della località da bombardare è condizionata dalla meteorologia. Decollato alle 2,45, l’Enola Gay, questo il nome del B29 guidato dal colonnello Tibbets sul quale è stata caricata la bomba, non conosce ancora il suo bersaglio. Ad indirizzare il velivolo saranno i ricognitori inviati sulle città prescelte. Alle 7,45 gli aerei incaricati di verificare le condizioni meteo arrivano a destinazione. I messaggi inviati via radio a Tibbets lasciano pochi margini di scelta. A Kokura, Nagasaki e Yokohama il cielo è coperto e la visibilità è ridotta, situazione decisamente diversa a Hiroshima dove la visibilità supera le dieci miglia. L’Enola Gay si dirige quindi sulla città che, in quel momento, ospita 245 mila abitanti, altri 100 mila sono stati sfollati. Alle 8,15 e 17 secondi viene aperto il portellone della stiva e l’ordigno, sul quale sono stati scritti decine di oltraggiosi messaggi indirizzati all’imperatore, inizia la sua caduta nel vuoto. Quarantatre secondi dopo, a 660 metri da terra, i detonatori innescano l’esplosione che origina una palla di fuoco di oltre 100 metri di diametro. Nei sette secondi successivi, la temperatura raggiunge i 300 mila gradi, nel raggio di tre chilometri non rimane pressoché nulla. Da terra si alza una colonna di vapore, fumo, polvere e detriti che supera i 3 mila metri d’altezza e si allarga in cima per un diametro di 17 mila metri. Al suolo è l’apocalisse. Nel raggio di 12 chilometri quadrati i danni sono inimmaginabili, 30 mila persone sono state letteralmente polverizzate, di loro non rimarrà alcuna traccia. Complessivamente, secondo le stime di Tokyo, i morti sono 70 mila, i feriti, la gran parte dei quali ustionati, sono 130 mila. Per gli americani la missione è un successo. Truman è raggiante, a tal punto, da autorizzare un nuovo attacco atomico che verrà eseguito a soli tre giorni di distanza. Il nove agosto, infatti, una seconda bomba chiamata “Fat man”, sganciata su Nagasaki, la città in cui risiede la più grande comunità cattolica del Giappone, provoca 30 mila morti e 60 mila feriti. La guerra è finita, l’incubo atomico è appena iniziato.

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Guerra in Europa, il nemico più pericoloso è l'ansia

Voglio tranquillizzare il signor presidente della Repubblica che si preoccupa dell’ansia da terrorismo; e faccio uso di alcuni esempi storici. Quando Giulio Cesare assediava Alesia e a sua volta venne assediato dai Galli, non solo non si fece prendere dall’ansia, ma, con la massima calma, attese che i Galli esterni finissero i viveri e se ne andassero; e poi prese Alesia e catturò Vercingetorige. Lo stesso gli accadde un paio d’anni dopo ad Alessandria, dove però un po’ d’ansia forse la sentì… per Cleopatra. O pensate che san Pio V e don Giovanni d’Austria nel 1571, o Giovanni Sobieski e l’imperatore Leopoldo nel 1683 abbiano sconfitto il nemico turco perché quella mattina non avevo preso l’ansiolitico? Ma no, combatterono tranquillissimi. L’ansia è dannosa, nella vita in genere, e tanto più in guerra; l’ansia non è uno stato d’animo, è una malattia e si cura – così così – con delle pillole. Io non sono minimamente in ansia per la minaccia dell’ISIS o di chi per esso. Buon conoscitore della storia universale, mi stupiscono moltissimo che l’Europa, terra delle guerre, sia in relativa pace dal 1945; e so che a lunghi periodi di pace seguono, di solito, guerre terribili: dal 1748 al 1792, e poi un massacro continuo fino al 1815; dal 1815, pace fino al 1914: e si sa cosa avvenne dopo. Non dobbiamo perciò farci prendere dall’ansia, ma con molta freddezza decidere il da farsi, e farlo presto e bene. Se c’è un luogo dove sta il califfato, attaccarlo e distruggerlo (nota tecnica: le bombe dall’alto non gli fanno nulla; serve un assalto per terra: ferro ignique vastare); se il califfo ha, come ha, dei seguaci in Europa, considerarli soldati nemici e porli di fronte all’alternativa normale in guerra: o arrendersi o essere feriti e uccisi. In guerra, è banale. Non c’è bisogno di ansia, se mai di una sana e lucida ira, come insegna Platone: thymòs, coraggio furibondo dei guerrieri; però, calma olimpica dei governanti e generali. Ve lo immaginate, a Lipsia nel 1813, lo Schwarzenberg e il Radetzky affrontare Napoleone soffrendo di ansia da prestazione? Invece, mici mici e quatti quatti gli rifilarono uno squasso di legnate; due anni dopo, il generale inglese Thomas Picton non provò nessuna ansia quando, lasciato il ballo a Bruxelles, corse a prendere il comando della sua divisione e ne morì alla testa; provò sicuramente mal di piedi, con gli scarpini eleganti, visto che era in ferie e senza divisa e scarponi. Facciamo dunque questa guerra con la massima tranquillità, possibilmente sbrigandoci e facendo il massimo nel minor tempo possibile. Ne abbiamo le armi e i soldi; e, se saputi selezionare e addestrare, anche i soldati: non ci servono nè ansia né diluvi di parole né arrampicate sugli specchi dell’ideologia. Un corollario. Bastano otto settimane di BAR (Battaglione Addestramento Reclute) come le ho passate io al V Aosta, per trasformare in un valente e spietato soldato anche il più effeminato e molliccio divertaiolo della “generazione Bataclan” e dei gessetti colorati: fidatevi. Se no, riguardatevi il bel film “Ufficiale e gentiluomo”. Vale anche per le signorine.

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L'Isis usa armi chimiche contro i soldati siriani

Attacco chimico dell'Isis nella cittadina siriana di Deir ez Zor dove, da circa tre anni, i paracadutisti dell'esercito di Damasco resistono all'assedio dei miliziani del Califfato. Secondo fonti russe e iraniane, l'attacco con granate contenenti agenti chimici, sarebbe stato sferrato nella zona dell'aeroporto. Da quasi due giorni la base aerea è oggetto di un massaccio attacco da parte jihadista. Per l'agenzia Reuters, che ha riportato la notizia diffusa dalla Ikhbariyah television station, la sostanza impiegata contro i militari siriani sarebbe il 'Mustard Gas' o Iprite. Il gas venefico, impiegato per la prima volta utilizzato durante il primo conflitto mondiale, avrebbe provocato la morte per soffocamento di numerosi soldati lealisti. La notizia, qualora ce ne fosse stato bisogno, conferma l'uso di armi chimiche da parte dei terroristi dell'Isis.

 

 

 

La guerra, la propaganda e la morte della verità

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, in Occidente, si era diffusa la fallace illusione che l’era futura sarebbe stata contraddistinta dalla pacifica risoluzione dei conflitti, con la logica conseguenza della fine della guerra. Non da ultimo, il nippo-americano Francis Fukujama si era affrettato a sentenziare la prematura fine della storia, con l’avvento di un sistema unipolare dove la potenza vincitrice avrebbe plasmato l’umanità senza ricorrere all’uso della forza. Sono bastati pochi anni a dissolvere questa pia illusione. Negli ultimi due lustri il numero dei conflitti è aumentato considerevolmente, arrivando a lambire i confini di un’Europa che pensava, dopo le devastanti conseguenze delle due guerre mondiali, di aver scoperto l’antidoto che l’avrebbe resa immune dai guasti di nuovi conflitti. E’ sufficiente guardarsi attorno per capire che quelle ottimistiche proposizioni sono svanite nello spazio di un mattino e soprattutto ben prime del fatidico 11 settembre. La conflittualità sembra rappresentare un fattore cronico che si insinua nella nostra quotidianità condizionandone il modo di pensare di agire e di rapportarsi con la realtà. Ciò che spesso risulta più arduo, è riuscire a comprendere le ragioni che inducono allo scontro e discernere tra la realtà e la propaganda. Che la guerra abbia come conseguente corollario l’occultamento sistematico della verità è cosa  nota e risaputa. Non a caso, nel 1917 nel bel mezzo della Prima guerra mondiale, il senatore californiano Hiram W. Johnson pronunciò la celebre frase "The first casualty when the war comes is truth (La prima vittima della guerra è la verità)”. La realtà, è ormai così soggetta a manipolazione che i finti scoop e le "bufale di guerra", come vengono chiamate in gergo giornalistico, non si contano più. La necessità di costruire ad arte verità di comodo funzionali alla propaganda dei belligeranti ha un’origine non facilmente rintracciabile. Per l’età moderna o contemporanea è molto più semplice individuare delle fonti che documentano, in maniera incontrovertibile, l’asserzione di “realtà” fallaci allo scopo d' influenzare l’opinione pubblica. Basti pensare all’esperienza di Napoleone che, giunto in Egitto ed in Palestina, nei suoi proclami si presentò come il liberatore degli arabi, dai turchi, cercando di occultare i reali motivi della spedizione in Medio Oriente, che erano di tutt’altra natura. Uno dei casi più clamorosi fu quello imbastito, nel 1854,  durante la guerra di Crimea, allorquando, nella valle di Baclava, venne realizzato un vero e proprio set per mascherare una pesante sconfitta subita dalle truppe britanniche  ad opera dell’esercito russo. La ricostruzione della battaglia era stata descritta realisticamente dal corrispondente del Times, William Russell. Il governo inglese decise di correre ai ripari incaricando il fotoreporter Roger Fenton  di scattare immagini più rassicuranti che ritraevano tavole imbandite, soldati sorridenti e ben nutriti, scene di esultanza e vittoria. Nessun morto. Niente sangue. Con delle immagini clamorosamente finte il governo di George Hamilton raggiunge lo scopo di risollevare il morale degli inglesi. Quasi un secolo più tardi, nel corso della Seconda guerra mondiale, durante lo sbarco in Normandia vennero riprese scene destinate a fare il giro del mondo. Quelle immagini che immortalavano i soldati americani che armati di fucile raggiungevano le coste francesi sono completamente false,   furono girate, infatti, ricorrendo a comparse e set ricostruiti sulle spiagge di Slapton, tranquilla località del Devonshire, in Inghilterra. Nel dicembre del 1989, un altro filmato fece il giro del mondo. A Timisoara, nel nord della Romania, venne scoperta una fossa comune da cui emergevano i cadaveri di uomini, donne e bambini. Secondo gli organi d’informazione vi si trovavano 4632 persone, ammazzate dal regime comunista di Nicolae Ceausescu. La prima a darne notizia fu l’agenzia di stampa Tanjug di Belgrado. Salvo, però, scoprire, alcune settimane dopo, che i cadaveri erano "solo" tredici. Riesumati per l’occasione da un vecchio cimitero dove erano stati sepolti alcuni senzatetto. Il caso era stato costruito ad hoc dal fronte anti-Ceausescu, che aveva avuto premura di inviare sul posto i reporter e i cameraman di tutto il mondo per filmare le atrocità commesse dal dittatore romeno. Altra guerra, altri scoop. Altre immagini finte. Durante la prima Guerra del Golfo le manipolazioni dell’informazione si sprecarono. L’immagine di un cormorano agonizzante, imbrattato di petrolio, scosse l’opinione pubblica. L’unico dettaglio, tutt’altro che irrilevante, era rappresentato dal fatto che in quella stagione nel Golfo Persico non ci fossero cormorani. Le foto, infatti, erano state scattate dalla Reuters nella primavera del 1983, durante la guerra Iran-Iraq. I filmati, invece, erano stati girati da un reporter televisivo con l’aiuto di un inconsapevole cormorano, preso in "prestito" in uno zoo. Anche le dune dietro le quali infuriava la battaglia, erano rigorosamente “finte”, si trovavano, infatti, a 650 chilometri dal fronte, esattamente a Dharhan, vicino agli alberghi dove alloggiavano gli inviati. Più recente, invece, la bufala del bambino siriano che per giorni, i media occidentali, hanno sostenuto avesse attraversato da solo ed a piedi il deserto tra Siria e Giordania salvo poi, "scoprire" che in realtà il piccolo era solo rimasto un pò indietro rispetto alla famiglia ed al gruppo di profughi con il quale viaggiava. In altre parole è sempre valido l’assioma di Winston Churchill secondo il quale, “In tempo di guerra la verità è così preziosa che bisogna sempre proteggerla con una cortina di bugie.”

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Siria: l'esercito di Assad conquista la citta` di Yrian

Dopo quello conseguito ad Homs, l'esercito siriano mette a segno un altro successo e conquista la strategica citta` di Yrian, a nord di Latakia. Fulcro dell'avanzata lealista in direzione nord, verso il confine turco, e`la 103a Brigata della Guardia Repubblicana. L'Esercito siriano, supportato dai bombardieri russi, dalle milizie di Hezbollah, dalle Forze di Difesa Nazionale del Qardaha, dalle Milizie del Partito Nazionalista Sociale Siriano (SSNP) e dalla Resistenza Siriana (Moqawama Suriya), in pochi giorni ha strappato agli insori oltre 100 kmq di territorio. 

Siria, la Russia invia altri 50 bombardieri ed una brigata di forze speciali

La Russia sarebbe in procinto d'inviare in Siria altri 50 aerei da combattimento ed una brigata composta da un migliaio di uomini appartenenti alle forze speciali ed ai servizi segreti. A darne notizia, il giornale kuwaitiano "AlraiMedia" che cita fonti militari secondo le quali sarebbe già stata individuata la base aerea dove, a breve, dovrebbe avvenire il dispiegamento delle forze. Gli uomini del genio militare russo e siriano sarebbero all'opera per rendere operativa l'installazione militare di Al-Sha' yarat, situata nella provincia di Homs. La nuova base, dotata di due piste da 3 km e da 45 hangar fortificati, sarebbe stata scelta per sostenere l'offensiva che l'esercito siriano, affiancato dai miliziani di Hezbollah e dai soldati siriani, ha sferrato nella Siria centrale e ad Homs orientale in direzione della città di Palmira. La base dovrebbe diventare operativa non appena sarà stato assicurato il controllo  sulla strategica città di Al Qaryateyn. Una volta entrata in linea, la nuova unità aerea, che andrà ad affinacare quella attualmente operativa a Latakia, aumenterà notevolmente il raggio d'azione dei bombardieri russi. Intanto, in attesa dell'arrivo dei nuovi rinforzi, i russi hanno già schierato in Siria altri 24 lanciarazzi termobarici TOS 1 "Buratino" e nuovi carri armati T-90, già operativi sul fronte di Aleppo.

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