Fabrizia, tutto pronto per la presentazione del volume "La Palora" di Franco Carè

Dopo mesi di intensi preparativi, tutto è ormai  pronto per la tanto attesa cerimonia di presentazione ufficiale del libro “LA PALORA – Cenni di grammatica e fonetica con dizionario della parlata di Fabrizia” di Franco Carè, apprezzatissimo autore di numerosi lavori, la cui dedizione al paese natio è stata già particolarmente profusa nella pionieristica opera “LA CAVALERA – 400 anni di storia di Fabrizia” del 1991. A dare la notizia ufficiale è il comitato “AURORA DI FABRIZIA”, la cui mission principale è quella di mettere in campo un impegno proattivo finalizzato alla riscoperta, alla valorizzazione ed alla diffusione del patrimonio storico-artistico e culturale custodito da questo piccolo borgo contadino arroccato ai piedi del monte pecoraro. La cerimonia si svolgerà Venerdì 03 Giugno 2016 alle ore 10.30 nei locali della sala consiliare del comune di Fabrizia, gentilmente concessa in uso per l’occasione, che si prevede molto condivisa e che vedrà la partecipazione di numerosissimi rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni socio-culturali, del mondo accademico, nonché di professionisti, giornalisti e cittadini, i quali sentono ormai profondo il bisogno di riscoprire una cultura popolare caparbiamente radicatasi nella memoria e nella coscienza collettiva. Con la pubblicazione di questo libro-dizionario, l’autore ci ha voluto omaggiare di un genuino e valido strumento atto a liberarci dalle platoniche “catene dell’ignoranza” e a farci intraprendere quel cammino verso una conoscenza profonda e cosciente della nostra storia, delle nostre radici e, di conseguenza, di ciò che noi stessi siamo. Per tale motivo, persino colui il quale non vorrà preoccuparsi di approfondire l’influenza greca o latina di una determinata parola, trarrà comunque sicuro giovamento da un più o meno occasionale e disteso consulto di questa che può essere considerata, a buon diritto, l’opera magna sul dialetto di li prunari. Quello che l’autore coscientemente suggerisce è una“metatesi” reciproca e prolifica tra presente e passato, un scambio costruttivo che ci consenta di comprendere chi siamo e da dove veniamo, sicché in tal modo saremo pronti a maturare un’idea sostanziosa e sostanziale sul “dove siamo diretti”. Questo bisogno nasce da un’esigenza che può essere definita storica. Come è noto, l’imperativo principale per la piccola e media borghesia meridionale del secondo dopoguerra, che aspirava a sentirsi parte integrante nella nuova Italia repubblicana e democratica, anche poi durante il successivo boom economico dei primi anni ottanta, era quello di “non farsi riconoscere”, tra l’altro dimostrando di saper parlare in Italiano. Nella società post-capitalistica, globalizzata e dell'info-tecnologia diffusa on-demand, l'autore di questo imprescindibile “Dizionario con cenni di grammatica”, in modo lungimirante e proficuo, certifica l’ormai inevitabile ribaltamento di prospettiva: il dialetto è un tesoro che – nonostante la sua ancora capillare e a tratti involontaria diffusione nella prassi – purtroppo rischia l'estinzione; esso rappresenta, tuttavia, quell'arca dell'alleanza che potrebbe ridarci il senso e il mistero delle nostre radici; quel quid pluris che accompagnò l’origine del nostro essere e che costituirà la base del nostro divenire. Ma se queste sono le premesse, allora, non c'è alternativa più sensata che quella di imparare di nuovo a parlare il dialetto, con umiltà e dedizione, mantenendosi sempre ben lungi sia dal biasimare o disprezzare le proprie radici, sia dall’arroganza e dalla presunzione di chi pensa di averle ricevute a prescindere e per diritto divino. Per cui, solo approcciando la “Palora” con tale stato d’animo umile e ricettivo, scevro da qualsivoglia pregiudizio immaturo, ciascuno di noi potrà vivere la gioia e lo stupore che deriva dallo scoprire qualcosa di assolutamente nuovo, un universo che abbiamo sempre dato per scontato ma del quale invece conoscevamo solo una velata esteriorità riflessa. E per averci omaggiato di questa sensazionale scoperta, dobbiamo ringraziare infinitamente l’autore del libro, Franco Carè, inestimabile pietra miliare di quella cultura meridionale, nostalgica e profonda, alla quale in fondo apparteniamo un po’ tutti. Un fraterno e profondo grazie, dunque, per averci regalato questo casciùni pieno di parole, di detti, di tradizioni, di ricordi significanti, di essenze significative un passato e una cultura per mezzo della quale –  ci suggerisce l'autore – potremo fieramente riscoprire noi stessi e ridisegnarci in un mondo che da qualche anno si è finalmente reso conto del fatto che l'unica via per una sana e sostenibile modernità passa da una opportuna glo-calizzazione, dalla riscoperta – in ottica globale – delle peculiarità locali e delle eccellenze naturalmente insite in quel substrato sostanziale in cui risiede la vera essenza dell'uomo di tutti i tempi: la civiltà come frutto di cultura, la cultura come frutto della più ampia comprensione, la comprensione come benevola generatrice della tolleranza interumana. Nel solco della migliore tradizione umanistica, l’autore ci vuole con ciò proiettare sull’onda di un nuovo rinascimento, di un progresso mediato e cosciente, di una riscoperta semantica e profonda frutto della consapevolezza secondo cui nessun’altra proiezione evolutiva sarà mai stabile e duratura se non quella che prende le mosse da un sano rispetto e da una profonda comprensione delle proprie basi, delle proprie radici, dell’io non astratto ma in relazione al proprio ambiente generativo, il quale rappresenta l’unico e vero trampolino di lancio per chi anela ad un pacifico e sereno incontro col proprio futuro, per chi riesce saggiamente a sentirsi quell’anello di vita nato per garantire il susseguirsi delle generazioni nel mistero dell’essere al contempo frutto generato e seme generatore, nel cui connubio si intreccia la magia di nuova vita, di nuove tradizioni e, quindi, di nuove paluari. Per citare solo uno dei tanti tra i proverbi, motti, locuzioni e modi di dire – che l'autore ha rispolverato e rigenerato per consegnarli con fiera fiducia allo splendore di una modernità forse a tratti colpevole di una eccessiva semplificazione e riduzione sacrificale – se “la vùcca è na ricchezza”, allora la “Palora” rappresenta sicuramente il suo principe ed imprescindibile strumento, grazie al quale detta ricchezza potrà non solo essere posseduta ma anche compresa, coltivata, avvalorata e riconsegnata con la necessaria e generosa devozione a chi, dopo di noi, avrà l'onore e l'onere di sentirsi, grazie ad essa, parte di un tutto metafisico, immortale, nota suadente di una eterna ed infinita storia in cui noi giochiamo al contempo il ruolo di autori e fruitori della più bella melodia del creato. In sintesi, il lavoro di Franco Carè rappresenta dunque un sentito omaggio a quella palora così misteriosa e feconda da essere stata in grado di generare l'interezza del mondo sensibile: dai sentimenti agli imperativi, dall'amore ai ricordi. Quella stessa parola da cui tutto prese origine: poiché non la pura potenza, non la mera volontà e neppure il naturale dispiegamento di un divino ed astratto intelletto fu alla base della creazione. Bensì la Parola, quel Verbo che v’era al principio e che fu strumento talmente amorevole e potente da creare la vita e, per mezzo di essa, in una visione dialettica a posteriori, la stessa idea del divino.

                                                                                                                                            

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