Vibo, riconoscimento agli studenti del convitto “Filangieri” per il progetto “Yellow Butterfly

Gli alunni della scuola secondaria di primo grado del Convitto nazionale “Gaetano Filangieri” di Vibo Valentia, in occasione della giornata della Memoria, hanno partecipato al concorso nazionale indetto da Twinkl "Yellow Butterfly", che anche quest’anno ha proposto una modalità diversa e digitale per ricordare le vittime della Shoah con lo scopo di educare le generazioni future ricordando il passato.

Obiettivo del progetto “Yellow Butterfly”  è ricordare i tragici eventi della Shoah e tutte le sue vittime, ma allo stesso tempo riflettere ed apprezzare la libertà che abbiamo oggi, spesso sottovalutata e data per scontata. Il simbolo della “Farfalla Gialla” è tratto da una poesia di Pavel Friedman, un giovane poeta che viveva nel ghetto di Terezin e che morì ad Auschwitz.

Gli alunni delle varie classi, partendo dall’obiettivo del concorso, hanno realizzato un progetto multidisciplinare. Dapprima si sono dedicati allo studio di alcuni autori che hanno vissuto in prima persona gli eventi di quel tragico periodo e poi hanno espresso quanto appreso attraverso varie attività proposte dagli insegnanti.

Il filo conduttore è stato “la farfalla gialla”. Partendo dall’analisi testuale di Friedman, i ragazzi hanno descritto e trasmesso attraverso varie forme di espressione  le loro emozioni e i sentimenti provati nell’affrontare e conoscere tale tematica.

Con il lavoro svolto si è cercato di riflettere e meditare su quanto successo in passato per evitare che in futuro accadano simili crudeltà.

L’ebook finale prodotto ha suscitato non solo grande entusiasmo nell’istituto, ma è stato apprezzato dalla giuria di Twinkl che ha conferito agli alunni il premio per la multidisciplinarietà con tale giudizio: “I ragazzi sono partiti dall’analisi della poesia di Friedman ma hanno spaziato in un progetto multidisciplinare che ha raccolto un’analisi profonda della storia ma anche originale espressione creativa”. 

La Giornata della memoria non può essere un atto di facciata

Sei mesi, sei mila giorni. La noia altera le proporzioni,  e i minuti non sono più frazioni d’ora, ma elementi d’eternità. Inginocchiato sulla sabbia, lavo le secchie della minestra e guardo le mie mani. Dove sono le mani d’un tempo? Livide e scarnite, scoprono un gioco iroso di tendini e vene gonfie e contorte. Sopra la pelle s’è appiccata una minuta ragnatela d’unto, e il pollice e l’indice della sinistra hanno le punte nere, abbrustolite dalle cicche disperate….Sei mesi, seimila giorni. Nel mio calendario si allineano i giorni morti:ogni giorno che passa lo cancello con una crocetta a lapis, e ripenso agli anni disperati del collegio, ai mesi cupi della scuola militare. Anche allora tracciavo una crocetta su ogni giorno che passava. Ma allora sapevo che dovevano essere cinque lunghi anni…Qui non so niente. Qui è come gettare secchie di cemento in una buca di terra. Quante secchie per colmarla? Soltanto una o ancora diecimila?...Nella luminosa fissità del mezzogiorno, sotto il cielo senza colore, in mezzo alla inflessibile geometria delle baracche e allo squallore della sabbia, la disperazione non è più della terra, ma incombe nell’aria e si espande nel vuoto di questa vita deserta. E gli uomini chiusi nel recinto la respirano tutti, e la disperazione di uno diventa incubo di tutti. Disperazione, non dolore, non angoscia”.

È la testimonianza di Giovanni Guareschi nel suo Diario clandestino. Una delle tante, tantissime testimonianze che ci sono pervenute da laggiù, dall’inferno dei campi della lunga sofferenza degli internati ebrei, italiani, polacchi e altri nei campi di prigionia tedeschi dal 1943 al 1945. La lunga sofferenza e poi…anche l’atroce morte. Non dimentichiamola, anche noi che non l’abbiamo vissuta, per fortuna, ma solo letta. Perché richiamarsi alla memoria storica riconduce al cammino del proprio Io, al fine di verificare, quotidianamente, quello che vale la pena di vivere e utilizzare e quello che è da rigettare.

Questo esige, giustamente, la “Giornata della memoria”, introdotta in Italia con la legge 211 del 20 luglio 2000, che, vista in questi termini, assume una connotazione più rispondente alle esigenze etiche della persona. Così, il ricordo dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti nei campi di Auschwitz, di Treblinka, Sobibor e di altre località, prende la forma di una solennità corale, che finalizza il nostro quotidiano a respingere definitivamente la violenza, per immergerci nel tempo del perdono e della pace.

È memoria storica, certo, ma non un tabù, un qualcosa di fermo per sempre su cui stendere il nostro pietoso velo. No, è dinamica, è il punto da cui discende la necessità di cambiare registro nei nostri comportamenti, modificare in meglio il nostro stile di vita, se si vuole essere protagonisti del tempo della pace. Tempo che pretende verità, giustizia, amore e libertà e non è facile. Infatti sono motivazioni che non hanno trovato  accoglienza dovuta nelle istituzioni e nelle sedi di consesso internazionale, quale l’ONU. Si fa fatica a farlo. Ci vuole di più.

E allora celebrare la “Giornata della memoria” non può ridursi ad un atto di facciata, senza alcuna attenzione verso i problemi che ci accerchiano tragicamente ogni giorno e da ogni latitudine.

È giusto riflettere sulla persecuzione degli ebrei dell’ultimo conflitto mondiale. Ma non basta, tant’è che proprio sui luoghi di Mosè, Gesù e Maometto l’olocausto è pratica continua e per gli ebrei, e per i palestinesi e per i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà.

E se si guarda, poi, all’Irak, alle Torri gemelle di New York, all’esodo dei Curdi, alle minacce della Corea del Nord, alla Somalia povera che più povera non si può, all’India, agli extracomunitari delle nostre coste e così via, allora si comprende che se la “Giornata della memoria” non dovesse andare oltre Auschitz, resterebbe solo un giorno di fiumi di parole. Scriveva il poeta Rosario Bevilacqua:” È ora di voltare pagina. Il miglior  modo per le vittorie di quei morti è di certo il bene futuro dei vivi”.

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Serra. “Giorno della Memoria”, il Comune promuove un evento con la Scuola “Larussa”

Domani 27 Gennaio 2017 ricorre il “Giorno della Memoria” in segno di omaggio alle vittime dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico (Shoah).

Il Comune di Serra San Bruno, a tal proposito, ha deciso di organizzare un evento coinvolgendo gli studenti delle prime e seconde classi della Scuola secondaria “I. Larussa”. La delegata all’Istruzione e alle Politiche Educative, Brunella Albano, incontrerà i ragazzi presso l’aula magna dell’Istituto Comprensivo Statale “A. Tedeschi” dove verrà proiettato un video testimonianza dal titolo “L’uomo che sfidò Auschwitz” e a cui seguirà un dibattito con gli studenti.

“È dovere delle Istituzioni e delle Scuole – viene rilevato in una nota del Comune - trasmettere ai ragazzi testimonianze di persone che hanno vissuto in un passato dal forte impatto storico, far vedere loro immagini, luoghi, proporgli letture e metterli a conoscenza del periodo che intercorre tra il 1933 (Hitler diventa Cancelliere) e il 1945 (fine della seconda guerra mondiale) con lo scopo di non dimenticare”.

Il presidente Oliverio a Ferramonti di Tarsia per il Giorno della Memoria

"Il Giorno della Memoria non è la consumazione di un rito. Non deve esserlo. Ricordare significa avere conoscenza della storia, via fondamentale per costruire il futuro. Senza la conoscenza delle proprie radici, di quello che c'è dietro di noi, della nostra vita, delle nostre comunità, dei nostri popoli, dell'umanità l'uomo è senza bussola. Una bussola della quale abbiamo bisogno soprattutto in questa fase della storia”. È quanto ha affermato il presidente della Regione Mario Oliverio intervenendo stamane in occasione del Giorno della Memoria a Ferramonti di Tarsia. “Le vicende della storia - ha ripreso Oliverio - si ripropongono a volte con vesti diverse, con una diversa scala tragica. Questa giornata, qui a Ferramonti, ricorda una fase, una pagina drammatica del '900 e per l'Europa. Ricorda il fascismo, il nazismo, un continente lacerato da contrapposizioni; ricorda la privazione delle libertà. Dopo quella stagione, anche grazie al sangue versato, è stato messo un seme: il seme della libertà, della democrazia, della costruzione di una dimensione nuova dell'Europa. Oggi, quella dimensione è collocata in una fase tumultuosa del mondo. Milioni di persone si spostano verso altre realtà, verso l'Europa, verso l'Occidente e spostandosi alimentano paure, le quali, a loro volta, alimentano sentimenti xenofobi. Proprio in questi giorni si sta discutendo se mettere in forse il trattato di Schengen, fatto di gravità inaudita, poiché Schengen è un tassello importante nel processo di consolidamento dell'Europa, della dimensione di libertà di pace e di democrazia”. “È importante che la giornata della memoria sia vissuta 365 giorni all'anno. In questo senso le scuole - ha detto Oliverio rivolgendosi ai tanti giovani presenti - devono ritornare ad essere palestre di trasmissione della conoscenza della storia, per mettere basi solide perché i processi di dimensione di libertà, di democrazia, di allargamento della coesistenza e della coesione possano consolidarsi”. “Siamo in un luogo, Tarsia - ha detto ancora Oliverio - che ha rappresentato una pagina dolorosa ma anche, attraverso le comunità locali, l'affermazione dei valori dell'accoglienza della solidarietà che hanno contribuito molto a dare un senso alla vita, anche nella grande drammaticità di quella fase, per tanti uomini, tante donne, tanti ragazzi. Oggi Tarsia si ripropone come punto di riferimento e di riproposizione dei valori dell'accoglienza, rispetto alla quale la nostra regione ha una storia della quale andare orgogliosi. Vogliamo assicurare questi valori, perché l’Europa non avrà futuro se non si affermerà l'Europa dell’inclusione sociale, del rispetto della dignità umana, di realtà che attraverso una iniziativa attiva vuole contribuire a dare soluzione alle nuove contraddizioni, perché le paure possano trovare risposta in un cammino di speranza di fiducia, di costruzione di un futuro diverso”. “Ecco perché è importante questa giornata - ha concluso il governatore - ed è importante che questo luogo diventi ancora di più un punto di riferimento. In questo senso noi investiremo, anche risorse dei fondi comunitari, perché questo centro sia strutturato sì da poter far vivere ai giovani e alle nuove generazioni la storia, perché valori come quelli della libertà vengano accresciuti, per un futuro di dignità e di vita civile”.

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"Giornata della memoria”: oltre Auschwitz, per non trasformare il ricordo in retorica

Sei mesi, sei mila giorni. La noia altera le proporzioni,  e i minuti non sono più frazioni d’ora, ma elementi d’eternità. Inginocchiato sulla sabbia, lavo le secchie della minestra e guardo le mie mani. Dove sono le mani d’un tempo? Livide e scarnite, scoprono un gioco iroso di tendini e vene gonfie e contorte. Sopra la pelle s’è appiccata una minuta ragnatela d’unto, e il pollice e l’indice della sinistra hanno le punte nere, abbrustolite dalle cicche disperate….Sei mesi, seimila giorni. Nel mio calendario si allineano i giorni morti:ogni giorno che passa lo cancello con una crocetta a lapis, e ripenso agli anni disperati del collegio, ai mesi cupi della scuola militare. Anche allora tracciavo una crocetta su ogni giorno che passava. Ma allora sapevo che dovevano essere cinque lunghi anni…Qui non so niente. Qui è come gettare secchie di cemento in una buca di terra. Quante secchie per colmarla? Soltanto una o ancora diecimila?...Nella luminosa fissità del mezzogiorno, sotto il cielo senza colore, in mezzo alla inflessibile geometria delle baracche e allo squallore della sabbia, la disperazione non è più della terra, ma incombe nell’aria e si espande nel vuoto di questa vita deserta. E gli uomini chiusi nel recinto la respirano tutti, e la disperazione di uno diventa incubo di tutti. Disperazione, non dolore, non angoscia.” È la testimonianza di Giovanni Guareschi nel suo Diario clandestino. Una delle tante, tantissime testimonianze che ci sono pervenute da laggiù, dall’inferno dei campi della lunga sofferenza degli internati ebrei, italiani, polacchi e altri nei campi di prigionia tedeschi dal 1943 al 1945. La lunga sofferenza e poi…anche l’atroce morte. Non dimentichiamola, anche noi che non l’abbiamo vissuta, per fortuna, ma solo letta. Perché richiamarsi alla memoria storica riconduce al cammino del proprio Io, al fine di verificare, quotidianamente, quello che vale la pena di vivere e utilizzare e quello che è da rigettare. Questo esige, giustamente, la cosiddetta “Giornata della memoria”, introdotta in Italia con la legge 211 del 20 luglio 2000, che, vista in questi termini, assume una connotazione più rispondente alle esigenze etiche della persona. Così, il ricordo degli ebrei sterminati dai nazisti nei campi di Auschwitz, di Treblinka, Sobibor e di altre località, prende la forma di una solennità corale, che finalizza il nostro quotidiano a respingere definitivamente la violenza, per immergerci nel tempo del perdono e della pace. È memoria storica, certo, ma non un tabù, un qualcosa di fermo per sempre su cui stendere il nostro pietoso velo di pietà. No, è dinamica, è il punto da cui discende la necessità di cambiare registro nei nostri comportamenti, modificare in meglio il nostro stile di vita, se si vuole essere protagonisti del tempo della pace. Tempo che pretende verità, giustizia, amore e libertà e non è facile. Infatti sono motivazioni che non hanno trovato  accoglienza dovuta nelle istituzioni e nelle sedi di consesso internazionale, quale l’ONU. Si fa fatica a farlo. Ci vuole di più. E allora celebrare la “Giornata della memoria” non può ridursi ad un atto di facciata, senza alcuna attenzione verso i problemi che ci accerchiano tragicamente ogni giorno e da ogni latitudine. È giusto riflettere sulla persecuzione degli ebrei dell’ultimo conflitto mondiale. Ma non basta, tant’è che proprio sui luoghi di Mosè, Gesù e Maometto l’olocausto è pratica continua e per gli ebrei, e per i palestinesi e per i cristiani, per i musulmani e per tutti gli uomini di buona volontà. E se si guarda, poi, all’Irak, alle Torri gemelle di New York, all’esodo dei Curdi, alle minacce della Corea del Nord, alla Somalia povera che più povera non si può, all’India, agli extracomunitari delle nostre coste e così via, allora si comprende che se la “Giornata della memoria” non dovesse andare oltre Auschwitz, resterebbe solo un giorno di fiumi di parole. Scriveva il poeta napitino Rosario Bevilacqua: “ È ora di voltare pagina. Il miglior  modo per le vittorie di quei morti è di certo il bene futuro dei vivi.

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