Dodici motivi per non fare impresa in Calabria

Quella che segue è la lettera aperta indirizzata alla “classe dirigente” calabrese da Francesco Tassone, fondatore ed amministratore delegato della Personal Factory, ovvero una delle eccellenze industriali italiane che, a Simbario, in provincia di Vibo Valentia, produce “Origami”, un robot capace di trasformare i rivenditori di malte per l’edilizia in piccoli produttori.

Lettera aperta alla classe dirigente di questa regione. Cari di cui sopra vi chiedo un favore spiegateci perché dovremmo fare impresa in Calabria. Vorrei fare un breve e riduttivo elenco ad uso di qualche anima pia che voglia un giorno forse interessarsi dello sviluppo economico del territorio calabrese. Piuttosto che esibirsi in qualche piagnisteo televisivo a posteriori dopo che le aziende chiudono. Noi oggi siamo il più grosso insediamento industriale delle Serre Calabre con quattro sedi nel comune di Simbario. Produciamo tecnologia medio alta con quote di export fuori area euro prossime al 60%. Allo stesso tempo abbiamo uno dei 5 laboratori privati più grandi e meglio attrezzati di Italia Lo sapete che i costi per un’impresa del nostro tipo insediata nel nostro territorio sono minimo il 35% superiori a quelli della Brianza?

1. Siamo costretti ad avere una doppia sede con doppio affitto, doppio personale oltre che dover pagare decine di migliaia di euro per viaggi ed alberghi dei dipendenti che fanno la spola tra le due sedi. Questo perché commercialmente siamo irraggiungibili dai clienti. A questo si aggiunge la beffa di una compagnia di bandiera che riduce i voli facendo esplodere i costi. Fossimo in un’isola almeno godremmo di qualche agevolazione ma purtroppo siamo solo isolati.

2. Vi rendete conto che siamo senza strade. Anche i vicini nord africani hanno infrastrutture migliori. L’unica infrastruttura stradale importante a livello regionale è un’autostrada interrotta per tempo indefinito con passaggio di autotreni per paesini di montagna con costi logistici esplosi. Per un’impresa ligure, emiliana, veneta etc., importare un container dalla Cina, Brasile, Germania costa 800 dollari, spedirlo dal sud Italia 1500. A questo si aggiunge una viabilità interna da cordigliera delle Ande, con strade ad una carreggiata invase dalla quella che ormai è diventata una giungla con buche profonde decine di centimetri. Solo nelle ultime quattro settimane abbiamo avuto ben 8 pneumatici danneggiati, mezzi fermi per recuperi etc. Con la beffa di una superstrada a 100m dall’azienda (la tristemente famosa trasversale delle serre) in costruzione penso dal 1965

3. Ma ci sono i treni. Visto che Trenitalia per tutte le regioni del sud dedicherà in investimenti ben il 2% del totale degli investimenti. Questo nonostante il notevole ritardo del Sud ed un’alta velocità ed un trasporto locale inesistenti.

4. Ma noi puntiamo sulla digital economy. Peccato che nel nostro comune il costo per banda sia tra le 15 e le 20 volte superiori alle grosse metropoli e dove un’intera area PIP è da 2 settimane senza connessione telefonica causa cavo interrotto con un costo per noi di circa 900€ giorno causa alcuni macchinari fermi. Tanto perché abbiamo deciso di puntare sul cloud Manufacturing. Vorrei sapere se Telecom fa aspettare lo stesso tempo il bellissimo km rosso di Bergamo o le altre aree produttive italiane.

5. Benvenuti nel far west fiscale. Come si ripianano i dissesti comunali provinciali, regionali etc.? Semplice portando tutte le addizionali ai massimi consentiti dalla legge. Il risultato un capannone costruito nella zona di cui sopra dove i terreni e le tasse dovrebbero essere gratis paga (con questi eccellenti livelli si servizio) di più rispetto a trovarsi su uno svincolo della tangenziale di Milano o fronte autostrada del sole. Idem la tassazione sul lavoro etc.

6. Ma esiste la leggenda che il lavoro costa poco. Bene provate a convincere manager e figure tecniche di medio/alto livello con esperienza di almeno 15 anni a lavorare a Simbario e valutate quanto bisogna pagarli per convincerli al trasloco non meno di 30% in più rispetto ad un concorrente lombardo o veneto oltre a benefit da zona disagiata. Certo facessimo call center troveremmo migliaia di giovani neolaureati a lavorare quasi gratis. Ma purtroppo produciamo alta tecnologia dove per crescere in fretta servono competenze ed esperienza.

7. Agevolazioni per l’occupazione queste sconosciute. Se tu impresa calabrese vuoi assumere una figura di basso profilo con competenze basse, magari disoccupata cronica ecco che la regione e lo Stato si mobilitano per farti pagare pochissimo una persona che comunque pagheresti molto poco. Quindi ecco che il modello call center continua a pagare. Ma se devi assumere buoni ingegneri ecco che l’aiuto concesso equivale a zero euro. Peccato che lo sviluppo locale aumenta più con il secondo profilo che con il primo. Risultato dalla nostra apertura zero aiuti.

 8. Ma il bello viene con l’export. Se fossimo un’azienda marchigiana, piemontese, lombarda, veneta etc. ecco che camere di commercio, province, regioni, agenzie per lo sviluppo si mobilitano per facilitarti il più possibile la presenza a fiere internazionali. Pur avendo ottime fiere a pochi km dai cancelli dell’azienda. Se invece sei made in Calabria ti paghi tutto da solo in compenso puoi scegliere tra decine di corsi in cui persone che non hanno mai venduto neanche un bullone ti spiegano come si esporta. Risultato ad ogni fiera in giro per il mondo i nostri vicini di stand italiani spendono 30-40.000 euro in meno rispetto a quello che spendiamo noi. Moltiplicato per 5 fiere all’anno parliamo di un extra costo di 200.000 euro rispetto ad essere nella famosa Italia di serie A.

9. Ma ecco gli aiuti industriali. Finalmente riusciamo ad avere un aiuto di natura industriale. Che vuol dire riuscire ad avere un mutuo al 4% cioè il tasso di mercato. Quindi noi imprenditori calabresi dobbiamo ringraziare l’aiuto pubblico se riusciamo ad avere un mutuo il cui tasso è a valori di mercato perché dobbiamo ritenerci fortunati ed aiutati se una banca ci presta soldi.

10. Per non parlare della burocrazia. Dove i soldi delle nostre tasse vengono usati per pagare un esercito di imboscati negli uffici pubblici il cui lavoro consiste nel incasinare e trattare con sufficienza il lavoro delle imprese. Nel nostro caso vuol dire un anno e mezzo per un certificato antimafia durante il quale si hanno i mezzi di trasporto bloccati oppure vuol dire che dipendenti di lingua russa (il cui lavoro è quello di farci da commerciali) restino bloccati ogni anno per 6 mesi causa rinnovi permessi di soggiorno. Soluzione basta trasferirli a Milano ed in pochi giorni hanno il definitivo. Ma vuol dire anche pagare, probabilmente a livello mondiale le più alte patrimoniali sui rifiuti (visto che si paga al mq) con il divieto di poterne conferire e dover pagare a sua volta società private per lo smaltimento. Con in più l’onere di controllare se realmente possono operare altrimenti ti prendi una bella accusa penale.

11. Meno male che ci pensa il mercato locale ad aiutarti. Anche qui meglio importare che comprare locale ed ecco che i capitolati sono ad uso e consumo di aziende del nord, quando anche da una semplice analisi di impatto ambientale (a parità di costo se non inferiore) conviene comprare a km zero. Ed è anche legale visto che i punteggi per la certificazione verde leed sono usati in molte regioni. Eppure basta guardare i capitolati per il ripristino e costruzione di scuole, caserme, uffici vari per vedere cosa suggeriscono. Lo scorso anno il nostro fatturato in regione è stato del 3% sul totale.

12. Ma ecco un territorio a basso costo ideale per i giovani. Peccato che nelle centinaia di ruderi abbandonati per motivi elettorali risultano residenti centinaia di persone emigrate ormai da generazioni e che approfittano della residenza per percepire aiuti da braccianti agricoli e pensioni. Risultato che giovani coppie si vedono chiedere decine di migliaia di euro per delle baracche. Idem per i terreni i cui prezzo sono assolutamente senza senso. Lì la tassazione che sulla improduttività dovrebbe essere feroce è zero. Cari politici sinceramente vorrei che nelle programmazione dei fiumi di miliardi comunitari (che mediamente non siete in grado di spendere) prendeste in esame almeno qualche punto. Piuttosto che preoccupavi di accumulare posti di lavoro inutili che servono sono per uno squallido assistenzialismo ed un bacino di voto di scambio. Perché come dimostriamo in Calabria si può operare. Il problema è che cominciamo a sembrare degli emeriti coglioni che lavorano 7 giorni su 7 365 giorni all’anno non per crescere a tripla cifra quale è il nostro potenziale ma per sopravvivere. Ed ancora mi rivolgo ai nostri corregionali. Quanti dei vostri risparmi sono stati investiti sui territori, nel lanciare attività produttive, nel ristrutturare case, nel riprendere le coltivazioni sui terreni spesso di proprietà. E’ facile lamentarsi e fare interminabili e stucchevoli piagnistei pretendendo che l’economia cresca con i soldi degli altri. Dal territorio ad ogni occasione si spreme sono squallido assistenzialismo per poi magari con quei soldi comprarsi la rendita romana o milanese. Pensate veramente che il motivo per cui in Calabria non nascono grandi aziende sia per idiozia ed incapacità dei suoi imprenditori oppure frutto di un sistema che crea una selezione naturale al ribasso dove i vincitori sono i “prenditori” prosperano truffando Stato e dipendenti.

 Fondatore ed amministratore delegato della Personal Factory SpA

 

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La Calabria, ovvero la montagna sospesa sul mare PARTE PRIMA

 Fino agli anni passati ed ancora oggi fare turismo in Calabria significava e significa solo mare. Sulle coste ioniche e tirreniche sono venuti a formarsi diversi poli urbani a forte concentrazione prevalentemente balneare fino a costituire conurbazione lineare: insomma la Calabria è diventata sinonimo di mare. Si è trascurato il fatto che la nostra regione al suo interno è caratterizzata dalla montagna. Ecco alcuni dati: la superficie totale è di km 15080 e ben il 42 % è occupata da territorio montano, il 49 % è collinare e solo il 9 % è costituito da pianura. Inoltre ben 387 comuni dei complessivi 409 hanno fatto la loro storia sugli altipiani collinari e montuosi. È evidente che la Calabria è una regione montuosa, da sempre “gran bosco d’Italia”. I Greci conoscevano la Sila e i Romani la chiamarono “silva” per non confonderla col “nemus” il sacro bosco delle divinità. Per Virgilio fu “magna” nelle Georgiche ed addirittura “ingens” nell’Eneide. Fu menzionata dai più illustri geografi come Strabone, Plinio e Cicerone nel “Brutus” parla di “silva sila”. Oggi le carte la distinguono in: greca, grande e piccola. La Sila greca prende nome dagli insediamenti albanesi dei secoli XV e XVI, basta pensare, per ciò, ai centri abitati di Rota Greca, Vaccarizzo Albanese, Spezzano Albanese, Lungro ed altri. La Sila grande, che poi è il cuore di tutta la regione calabrese, è detta anche “badiale” dalle donazioni operate da Enrico VI a Gioacchino da Celico e soprattutto al suo Ordine Florense; è nomata anche “demaniale” grazie all’editto di Roberto d’Angiò che ne fissò i limiti con quella badiale. E poi la Sila Piccola, ma piccola solo per altitudine, che comprende i territori ricadenti nella provincia madre di Catanzaro con i comuni di  Taverna, Zagarise, Belcastro, Serrastretta e le località turistiche di Villaggio Mancuso e Villaggio Recise, e altri territori che appartengono oggi alla nuova provincia di Crotone come Savelli, Cotronei, e Villaggio Palumbo con Trepidò entrambi terre cotronellare. Percorriamo insieme questo itinerario storico – naturalistico- culturale e turistico dal mare verso l’alta montagna. Oggi vi è la superstrada a scorrimento veloce che, da Crotone, ci porta già a Camigliatello in poco meno di un’ora. È una strada – scrive A. Delfino – che “scorre superba sulle cime degli alberi, in arditi viadotti cancellando la tormentata orografia. Le strade costruite dai Borboni e poi imbellettate dal nuovo stato unitario, disegnate fra le groppe delle colline dirute, sembrano nastri sottili buttati alla rinfusa da un dispettoso folletto.” Certo i disagi non erano pochi, fino a qualche anno fa, se si pensa che per raggiungere Cosenza dalla città di Pitagora si attraversava una miriade di paesi come San Mauro Marchesato, Scandale, Santa Severina, Cotronei ed altri ancora più all’interno. Insomma ci volevano ben due giorni di cammino e su vecchie corriere e traini. Arriviamo a San Giovanni in Fiore che deve la sua esistenza all’Abate Gioacchino nativo della vicina Celico, detto poi “da Fiore” fondatore dell’Ordine monastico florense. Più avanti continuando a salire tra fitte abetaie e pinete raggiungiamo Camigliatello Silano, tra le più importanti e attrezzate stazioni turistiche soprattutto per gli sports invernali e sede del Parco Letterario “Old Calabria” nella vecchia torre di Camigliati. Tra questa località, Silvana Manzio, Lorica, Moccone, il Gariglione, i grandi laghi Cecita, Arvo e Ampollino ed oltre ancora ci troviamo nel bel mezzo del grande Parco Nazionale della Calabria. Ci inoltriamo fino al bosco del Filastro, regno indiscusso del “re pino”. Qui, infatti, c’è ancora un bel gruppo di pini, “i giganti della Sila” che si fanno risalire addirittura al 1430. Qui regna il famoso “pino laricio” o “loricato” che è un po’ quello che rimane della foresta primigenia. Il pino silano è una delle quattro razze che appartengono alla grande famiglia del pino nero, “pinus nigra” ed ha una vecchia storia che risale al terziario, insomma prima dell’uomo. Il suo legno è servito agli indigeni bruzi per difendersi dalle intemperie e dal nemico; i colonizzatori magnogreci lo portavano fino a Crotone utilizzando la corrente del Neto e sul Tirreno attraverso la breve strada dell’istmo di Marcellinara; i Romani lo utilizzarono in abbondanza per costruirvi le galee; ed ancora è servito per le volte delle austere basiliche romane e per la Cappella Sistina e non ultimo fu utile per ricavare la resina. E la Sila non è solo alberi e pini. È una sorta di pianeta  ancora incontaminato: gigli rossi, bucaneve, giunchiglie, viole mammole, orchidee nane, narcisi, semi di anice e la belladonna e la genziana ed altre piante medicinali e le innumerevoli specie di funghi e poi quel verdeggiante ed odoroso muschio tanto caro a bambini ed adulti che lo apprezzano per abbellire i presepi. E la Sila è anche il regno dell’acqua, data l’alta piovosità e l’innevamento. Qui nel 1927 si sono creati  i tre citati bacini di Cecita, Arvo e Ampollino che fanno produrre tanta energia idroelettrica nelle grandi centrali in territorio di Cotronei e sono di grande richiamo per la pesca sportiva e per gli sports nautici.

CONTINUA/1

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Orsomarso (Fi): "Sugli sbarchi, la Calabria non è nella condizione di gestire l'emergenza"

Sugli sbarchi dei migranti la  Regione ascolti il grido d'allarme del sindaco di Corigliano Geraci e intervenga sul Governo. La Calabria - afferma Fausto Orsomarso, presidente del Gruppo misto -  terra di storica tradizione di solidarietà e accoglienza, non è nelle condizioni di gestire senza un supporto concreto  un evento così straordinario oltre che drammatico. Il grido d'allarme dell'on. Giuseppe Geraci, sindaco di Corgiliano Calabro che in via ordinaria dovrebbe essere impegnato nel governo della sua città salvata con un gran lavoro della sua squadra da un annunciato dissesto, non può più restare inascoltato o sottovalutato. Geraci - aggiunge Orsomarso - in questi giorni, anche nelle riunioni in prefettura, ha sottolineato come Corigliano non possa reggere economicamente oltre che logisticamente gli sbarchi.  Ha anche evidenziato come sia difficile poter pensare alla programmazione che riguarda Corigliano e il suo futuro mentre si è invece impegnati quotidianamente a gestire il problema sbarchi. Credo che Oliverio e tutto il Consiglio regionale debbano occuparsi di quello che accade in Calabria chiedendo al Governo Renzi un supporto più adeguato e una strategia che tenga conto prioritariamente di Calabria e Sicilia rispetto alle quali si prevede una intensificazione costante di sbarchi”.

Amministrative in Calabria, alle 12 ha votato il 16,76% degli aventi diritto

Sfiora quasi il 17 % l’affluenza al voto, rilevata alle 12, nei sessanta comuni calabresi chiamati a rinnovare gli organi amministrativi. La provincia che ha fatto registrare la percentuale più alta è quella di Crotone (22,09), seguita da Vibo Valentia (18,85), Reggio Calabria (16,46), Cosenza (16,24) e Catanzaro (16,05). Per quanto riguarda, invece, i centri con popolazione superiore ai 15 mila abitanti è stata Vibo Valentia la città che ha fatto registrare la maggiore partecipazione dei cittadini. Alle 12, infatti, si era recato alle urne il 20,72% degli aventi diritto. Poco più bassa la percentuale registrata a Gioia Tauro dove ha votato il 19,39% del corpo elettorale. Più contenuta l’affluenza a Siderno (16,27%), Castrovillari (16,15%) e Lamezia Terme (15,25%). Sembrano piuttosto disinteressati, invece, gli elettori di San Giovanni in Fiore che nella prima fase delle operazioni di voto hanno sostanzialmente disertato i seggi. Nel popoloso centro della Sila, infatti, alle 12 aveva votato soltanto l’11,66% degli aventi diritto.

E' la Calabria la regione in cui si uccide di più

E' la Calabria la regione d’Italia con il maggior numero di omicidi. A rivelarlo è l’Istat che nel rapporto annuale 2015 avrebbe rilevato, in Calabria, 2,44 omicidi ogni 100 mila abitanti, ovvero il triplo della media nazionale. Dalla parte opposta della graduatoria, la Valle d’Aosta (0) ed il Veneto (0,24). Per quanto riguarda, invece, la classifica delle città più violente il primato spetta a Napoli e Bari,  dove sono stati registrati rispettivamente 3 e 2,5 omicidi volontari ogni 100 mila abitanti. Alta anche la percentuale di Palermo (1,5) e Catania (1,3).  A Milano ed a Roma, invece, e' stato commesso un delitto ogni 100mila abitanti, mentre Genova, Verona e Firenze, hanno fatto registrare tassi nell'ordine di 0,3-0,5 omicidi per 100 mila abitanti. Nel quinquennio 2009-2013, il numero degli omicidi è diminuito a Genova e Catania Milano, Torino, Bologna, Roma e Napoli. Omicidi in aumento, invece, a Venezia, Palermo, Bari e Verona.

Stranieri in Calabria, ieri ed oggi

Per farla breve, Altomonte si chiamava Brahalla, e una fontana di Brahallà si trova a Filadelfia, dove il “ballo dei ciuccio” si chiama del cammello, come nel Reggino; diffusissimi sono i cognomi Marrapodi, Mauro, Morabito, Negri, Neri, Sgro. Ci sono poi tantissimi Baldari, Biondo, Gualtieri, Guiscardi (Viscardi), Ranieri, Ruggero, Russo, Tedesco… significanti in qualche modo un’origine germanica.  E che dire dei molti immigrati che vennero per lavorare? Minatori del Bresciano, donde i cognomi Brescia, Bressi, Brizzi… ma anche Lungo, che denunzia persino una provenienza ungherese; e Fransè e simili. Do per conosciutissimi gli Albanesi, sia quelli che conservano lingua e identità, sia i molti in paesi non più conservativi.  E quanti Greci bizantini, denunziati da palesi cognomi: per vanagloria, cito solo Nisticò; ma sono migliaia! Come arrivarono, o per meglio dire arrivammo, qua da noi? Come contadini soldati inviati dagli imperatori d’Oriente; come invasori arabi, e più spesso come “baziarioti”, mercanti; schiavi; prigionieri di guerra come quelli di Schiavonea e di Plaga Sclavonum, Praia… in qualsiasi modo tutti costoro venuti, compresi i miei avi, ora siamo tutti calabresi. Dove voglio portarvi, pazienti lettori? Mi sono forse improvvisamente convertito all’immigrazione? Certo che no, e con fondati motivi: il primo è proprio che tutti quegli stranieri, compresi i miei avi, arrivarono da ogni dove, ma vennero assimilati. Anche il più musulmano dei pirati barbareschi, anche il più burbanzoso spadaccino longobardo, dopo un poco diventarono cattolici, sposarono donne di altra stirpe ma sempre cattoliche, impararono la lingua e i dialetti, e dopo due generazioni non volevano più sapere della lontana Scania o di qualche deserto d’Egitto. Qualche anno dopo, ecco un calabrese di pelle scura o lattea o entrambe, ma sempre e solo un calabrese.  Oggi la Calabria, come del resto l’Europa, si rivela del tutto incapace di assimilare e acculturare, soprattutto perché non ha più forte l’arma della religione, che è una specie di ridotta di Giarabub in eterna difesa. E così rischiamo il peggio che possa capitare: la società multietnica. Lo so che c’è chi pensa sia una cosa bella, ma proprio gli Stati Uniti multirazziali dimostrano il contrario: c’è una sola etnia, gli Stati Uniti; ce ne sono anche delle altre, ma considerate inevitabili emarginazioni cui sperare di porre rimedio e farle sparire prima possibile. Qui rischiamo un arlecchino di lingue e usi e mentalità e fedi che non può giovare a nessuno.

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In Calabria manca tutto, anche la politica

La politica sarebbe niente di meno che curarsi del bene comune; ora, io non pretendo che in Calabria si veda traccia di un così alto e complicato concetto; e qui mi contento di chiedermi se esista almeno la politica terra terra, cioè le ideologie, i partiti. Come ormai in tutta Italia, almeno provvisoriamente, in Calabria è vincente il PD. Vince, ma questo non sta a significare che esista; vince nel senso che raccoglie più voti del nulla, che, come diremo più avanti, è il centrodestra. Il PD calabrese è ancora più inconsistente e disorganizzato della situazione nazionale; è una specie di Democrazia Cristiana senza quei volponi di politicanti che la tenevano insieme. Il tutto aggravato dall’evidenza che nel PD la maggioranza non è renziana, donde l’impossibilità di Oliverio di nominare assessori e dirigenti. Figuratevi se un tale partito sommatoria, partito di saltati sul vincitore, è capace di progettare qualsiasi cosa, di affrontare un qualsiasi problema; e di spendere la valanga di soldi di fondi europei. Con l’aggravante intellettuali della presunzione, e mai l’umiltà di rivolgersi a chi sa. Dite voi, ma se il PD è così nullo, confidiamo nel centrodestra! Buono, quello: come se non avessimo visto i disastri di Pino Nisticò, Giovan Battista Caligiuri, Peppino Chiaravalloti, Peppe Scopelliti e i loro assessori e dirigenti di centrodestra. Questo per quanto concerne l’amministrazione; e che dire della politica intesa come pensiero? Ragazzi, pensiero? Con l’aggravante borghese della presunzione, e mai l’umiltà di rivolgersi a chi sa. Aggiungiamo che lo sparuto gruppo consiliare di Forza Italia ha due tizi che dicono di essere di Forza Italia ma Forza Italia non vuole: oggi le comiche. E siccome ognuno deve piangere prima i guai suoi, sappiamo qualcosa dei postfascisti postmissini postaennini? Nulla, notizie non pervenute. Allora, se non esistono più i fascisti (i comunisti ancora capaci di dichiararsi tali sono rimasti tre, forse); se il centrodestra è in stato comatoso; se il PD vince, ma non esiste, ciò premesso, chi pensa, in Calabria? A parte gli antimafia segue cena: quelli non hanno bisogno di pensare, ripetono le stesse identiche cose della cena.. volevo dire del convegno del mese prima. Non pensa nessuno, nei partiti. E fuori? Fuori dai partiti, cioè Università, Scuola, Chiesa, Società Civile, tutti muti per non dar fastidio al provvisorio vincitore.

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Ferdinandea, ascesa e declino di un sogno industriale

La Calabria, con le sue vestigia di un passato che spesso sembra non voler passare, racchiude nella parte più nascosta e misteriosa del suo seno luoghi, eventi, fatti, misfatti e circostanze che, pur avendone tratteggiato il destino, sembrano essersi definitivamente smarriti nel lento, ma sornione ed inesorabile divenire del tempo. Una regione fatta di storie senza storia, di racconti senza narratori, di romanzi senza romanzieri. Ciascuno conserva qualche episodio tramandato più della memoria orale che dal rigore scientifico degli amanti di Clio. E così a sopravvivere sono storie antiche, a volte remote, di cui si è perso però il pur minimo riferimento storico. I greci, gli arabi, i bizantini, i normanni, se non fosse per qualche toponimo e come se non ci fossero mai stati. I luoghi della memoria giacciono negletti, abbandonati, come se avessero la colpa di far ricordare un passato più incerto ma meno aleatorio del vuoto e grigio presente. In un contesto in cui alla memoria collettiva si è spesso sostituita l’immagine folcloristica da sagra paesana è sempre più difficile elaborare un processo storico condiviso in grado da fungere da volano turistico. Mentre altrove si scrivono storie, si rielabora il passato e si valorizzano territori, in Calabria, al contrario, si lascia agonizzare lentamente quel che di buono è scampato alla furia dei terremoti, all’impeto delle alluvioni, alle scorrerie di vecchi e nuovi predoni. Nella cuore di monte Pecoraro, da dove è possibile scorgere le increspature dello Jonio e le arsure della vallata dello Stilaro, sorge ancora quel che rimane di Ferdinandea. Un nome evocativo dal quale traspare inequivocabile l’origine Borbonica. Correva l’anno 1833 quando veniva inaugurato quello che molti, per troppo tempo, hanno erroneamente ritenuto il casino di caccia di re Ferdinando II. Al contrario, l’imponente realizzazione edificata nel bel mezzo della montagna, tra superpi abeti e faggi secolari, costituiva il nucleo secondario di una ferriera, succursale degli stabilimenti siderurgici di Mongiana. Nel corso della sue breve esistenza produttiva, Ferdinandea seguì inevitabilmente la stessa sorte toccata al ramo aziendale principale, costretto a chiudere subito dopo l’unità d’Italia. Il 27 agosto 1860 un contingente garibaldino circondava e requisiva gli stabilimenti siderurgici. Un evento che segnerà il “de profundis” per uno dei primati produttivi del sud Italia. I nuovi padroni, ben presto, si dimostrarono assai meno caritatevoli di quelli appena scalzati. Estinte le attività proto – industriali, Ferdinandea conoscerà il suo definitivo canto de cigno. Nel 1874 l’immensa tenuta diventava proprietà del garibaldino Achille Fazzari, che l’acquistava all’asta insieme agli stabilimenti di Mongiana ed a diversi beni accessori. Nel corso degli anni “don Achille” farà di Ferdinandea la sua ricca e lussuosa dimora, nella quale, tra gli altri, soggiorneranno il fondatore del “Il mattino” di Napoli, Edoardo Scarfoglio e la di lui moglie, Matilde Serao. E proprio la scrittrice partenopea nel settembre del 1886, su “Il Corriere di Roma”, accostava Ferdinandea al leggendario “castello incantato di Parsifal”. Nel corso dei loro soggiorni, i visitatori potevano apprezzare la munificenza ed il mecenatismo del loro anfitrione. Fazzari aveva fatto della sua dimora una sorta di eterogeneo e caotico museo. Oltre alla “cura” del patrimonio artistico, Fazzari, che nel frattempo era diventato deputato, a Ferdinandea aveva riavviato, dopo averla ammodernata, la vecchia segheria borbonica dotandola, nel 1892, di una dinamo elettrica con la quale venivano movimentate le attrezzature. E proprio nei boschi di Ferdinandea sorgerà nel 1910, ad opera di Cino Canzio, compagno della figlia di Fazzari, Elsa, la prima azienda idroelettrica della zona. Nel corso degli anni la proprietà  passerà più volte di mano. Alla fine delle attività produttive non rimarrà altro che la fonte della Mangiatorella e l’industria boschiva, peraltro privata dal valore aggiunto costituito dalla lavorazione del legname. Per il resto, un lento, inesorabile declino testimoniato dagli immensi capannoni abbandonati ed ormai cadenti, dagli alloggi per gli operai e dal nucleo centrale sul quale incombe inesorabile la scure del tempo. I tanti visitatori, che ancora oggi si avventurano sui luoghi che potrebbero rappresentare il fulcro di un percorso organico di archeologia industriale, subiscono la stretta al cuore di chi vede lentamente svanire il patrimonio di una regione che stenta a comprendere che lo sviluppo turistico passa attraverso il recupero della sua storia.

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