Il cuore di San Luca: Corrado Alvaro e il Santuario di Polsi

Siamo nel bel mezzo dell’Aspromonte ai piedi del Montalto che si innalza su tutte le montagne della Calabria e sulla cui cima svetta la gigantesca statua bronzea del Cristo Redentore, una delle 19 statue e croci fatte erigere da papa Leone XIII sulle vette più alte d’Italia, quel Redentore issato il 23 settembre del 1901, abbattuto da una bufera e successivamente risistemato nel 1907 su solidissime basi. Ai piedi del Montalto, a 250 mt (s.l.m.) si poggia San Luca, il centro collinare più famoso nel mondo per aver dato i natali a Corrado Alvaro, l’autore di “Gente in Aspromonte”, uno dei massimi esponenti della Letteratura italiana del ‘900, lo scrittore che mai ha rinnegato la sua Calabria e tanto meno la sua San Luca conosciuta per altre cose per nulla nobili. Questo centro del basso Jonio reggino sorse nel 1592 per dare un nuovo sito agli abitanti dell’antica Potamia, come vuole il Barrio, che era continuamente minacciata da frane e smottamenti. Nel territorio di San Luca, a 900 mt. di altezza, troviamo la località detta Polsi o Popsi che custodisce dal 1144 uno dei più famosi e frequentati luoghi mariani del mondo: il santuario dedicato alla “Madonna della Montagna”, detto anche della “Madre del Divin Pastore”, un luogo sacro e suggestivo che par voglia dormire nella quiete della sua profonda vallata, tra acque e alberi secolari, adagiato tra le sue rocce aspromontane, insomma in un paesaggio aspro e pittoresco insieme. Storia e leggenda vanno a braccetto attorno all’origine: la tradizione vuole che nei pressi vi fosse l’antro della Sibilla che poi cedette il posto alla venerazione della Madonna; altri dicono di un’apparizione del Conte Ruggero il Normanno; altri ancora raccontano dello stesso Conte che, trovandosi a caccia sull’Aspromonte udì i suoi cani abbaiare insistentemente in fondo alla valle e accorsovi vide in un  foltissimo roveto un toro inginocchiato davanti ad una croce, la “croce fiorita”, di cui dirò più avanti. A ricordo di questa apparizione Ruggero avrebbe fatto erigere una chiesetta ed era l’anno 1144. Storicamente è accertata la presenza dei monaci basiliani che vi edificarono un cenobio, nel sec. XIV, dedicato alla Madre del Divin Pastore e qui alcuni monaci, provenienti dalla  Sicilia, vi portarono un quadro della Vergine che poi, nel 1560, fu sostituito da una statua litica, opera monumentale della Scuola artistica siracusana che rappresenta la Madonna col Bambino sulle ginocchia. Questa è la prima origine del santuario di Polsi in cui si venera da sempre la Madonna della Montagna. Il primo sacro nucleo fu curato dai basiliani fino al 1481, anno in cui il vescovo Calceopilo soppresse il rito greco dando origine al suo abbandono, ma risorto per merito di Mons. Del Tufo, vescovo di Gerace fra il 1730 e il 1748 e da allora non conosce sosta alle moltitudini di pellegrini che attraversano gli impervi sentieri montuosi per pregare davanti alla Madonna. Sono i pellegrini che ogni anno il 2 settembre “salgono a cortei interminabili, faticosamente, i costoni preappenninici per affidare al cuore della Mamma Celeste il dramma delle loro miserie, delle loro aspirazioni e delle loro pene. Salgono e fanno chilometri e chilometri, con una fatica che sembra tante volte domarli, ma una smisurata speranza ed uno smisurato amore li sospinge a superare tutte le difficoltà. Sono ancora numerosi quelli che, all’ultimo tratto, vogliono trascinarsi in ginocchio e baciando sovente la terra. Giunti ai piedi della Madonna, più che con le parole, pregano con le lacrime, con il gesto tanto significativo delle braccia aperte…”, come scrive il nostro don Bruno Sodaro. E Corrado Alvaro così scriveva nel 1912: “Dai versanti di oriente, di mezzogiorno e di settentrione vanno i fedeli in lunga teoria, uno dietro l’altro, affratellati tutti dallo stesso pensiero. Sembrano carovane di genti che abbandonino il loro paese e si trasportino tutto, le loro tradizioni e le cose più care. L’occhio vede confusamente andare un popolo che ha comuni i bisogni e gli intenti, perdersi sotto gli alberi curvati dalle profonde cascate, procedere lentamente per le vie serpentine della montagna”. E questo pellegrinaggio è stato raccontato anche da altri scrittori calabresi, quali Fortunato Seminara, Francesco Perri, Mario La Cava e Sharo Gambino. Alla vigilia del Giubileo del 2000, già ai primi tempi del suo episcopato, anche Mons. Giancarlo Bregantini, appunto, al tempo, Pastore della Chiesa di Locri – Gerace, vi ha voluto fare il suo pellegrinaggio a piedi in mezzo ai “suoi” pellegrini e davanti alla “Croce fiorita” ha pensato e scritto la poesia-preghiera  “Alla Croce di Polsi” che piace riportare: “Signore Gesù che dalla tua Croce/fiorita nella valle di Polsi/vessillo di pace/nel cielo di Calabria,/hai fatto sgorgare/una sorgente di grazia battesimale,/donaci, in questo cammino giubilare,/un’esperienza intensa del tuo amore./Aiutaci a portare/gli uni i pesi degli altri,/e fa’ germogliare/nelle nostra Comunità,/visitate dalla Croce,/la cultura della riconciliazione./Ci sorregga/la tua dolcissima Madre,/Regina della Montagna,/solidale con Te sotto la Croce,/in una rinnovata speranza/per tutta la Locride!”.

Nella chiesa di Polsi sono custodite tante altre opere d’arte e di fede: una seconda statua della Madonna a  mezza figura in legno e scolpita a tutto tondo nel 1881 per volontà del Conte di Sinopoli; un’erma bronzea con l’effige del Papa Pio X ed opera dello scultore calabrese Vincenzo Jerace del 1912; una tela della Madonna della Lettera del 1715; il grande dipinto dell’apparizione della Madonna al pastorello, opera di A. Vitrioli del 1851; un calice d’oro donato da Enrico Caracciolo nel 1759 (lo stesso che il Rettore  don Giovanni Palamara riscattò assieme ad altri oggetti sacri dalla confisca della Cassa Sacra del 1784); poco distante dal santuario il monumentale Calvario del citato Jerace. Dulcis in fundo la “Croce fiorita”, quella del 1144. Questa è un pezzo di rara bellezza, di origine greca, in ferro battuto, alto quasi 70 cm, ritrovato, secondo una prima tradizione, sul posto ove sorge il santuario, da un pastore di Santa Cristina d’Aspromonte di nome Italiano e, secondo altre voci, dai cani del Conte Ruggero durante una battuta di caccia. Comunque, secondo quanto scritto da don Giovanni Palamara, Rettore del santuario dal 1783 al 1820, e da Salvatore Gemelli, medico e scrittore, la “Croce fiorita” è la stessa trovata da un toro indomito accompagnato dal succitato pastore, nello stesso luogo ove oggi sorge l’altare maggiore della chiesa. Oggi la Croce è custodita in una cappella del santuario e conservata in una teca d’argento a forma di croce, opera voluta dai fedeli messinesi nel 1632 e sostenuta da una base argentea donata dalla pia gente di San Luca nel 1739. La “Croce fiorita”, nel 1997, primo anno di preparazione al Giubileo, l’anno detto “cristologico”, è stata esposta nella chiesa parrocchiale del Sacro Cuore del quartiere San Francesco di Crotone. 

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