Paesi di Calabria: Lungro

A pochi chilometri dallo svincolo autostradale di Spezzano Albanese-Sibari, visito, per i nostri lettori,  uno dei paesi che già dal XV secolo è sede di una colonia di Albanesi dei quali ne conserva e ne tramanda lingua, usi, religione ed arte. Lungro (650 mt s.l.m.), sede dell’Eparchia di rito greco-bizantino, ricco di antichi costumi e tradizioni che fondono le civiltà greca, bizantina, normanna e balcanica.  L’origine risalirebbe alla particolarità del territorio avendo la forma di conca non soleggiata e quindi permeata di forte umidità; insomma, nella lingua greca “umido” è “ugros” e quindi Lungro. Ovviamente non ha niente a che vedere con la presunta presenza di Ungheresi e col ritrovamento di un teschio di guerriero magiaro attorno al 1330, perché nel 1156 quando era feudatario di Altomonte un tal Ogerio del Vasto, già esisteva un casale denominato Lungrum. Sicuramente la storia del centro cosentino deve il suo sviluppo a questo feudatario. Questi, infatti, assieme alla moglie Basilia, concesse in quell’anno ai monaci basiliani, che intanto erano venuti in massa dall’Oriente, molte terre per costruirvi chiesa, laura o altro di loro necessità. Scrive De Marco: “È fondamentale nella storia di Lungro, la concessione di quelle terre ai monaci basiliani, in quanto fu proprio la presenza dei monaci nel territorio che permise al casale di Lungrum di svilupparsi autonomamente, progredire ed espandersi sotto la guida spirituale dei monaci  dell’Abazia di Santa Maria de fontibus (delle Fonti); probabilmente senza la loro presenza, Lungro sarebbe stata eternamente una frazione di Altomonte”. E comunque anche con la presenza degli abati, Lungro dovette aspettare molto tempo ancora per vedersi veramente sviluppata, perché per i primi tempi erano soltanto i suoi abitanti italiani a lavorare e nelle locali miniere di salgemma. Soltanto qualche tempo dopo si è avuta una ventata di incremento demografico ed anche economico. Ciò avvenne nel 1486 quando anche a Lungro vi arrivarono gli Albanesi profughi dalla loro terra e dispersi in ogni angolo della Calabria e dell’Italia meridionale. Nel centro cosentino gli Albanesi si potettero insediare anche grazie alla volontà di Geronimo Sanseverino, principe di Bisignano e signore di Altomonte, e dell’abate del monastero di Santa Maria delle Fonti. Attorno al 1547 gli abitanti di Lungro, ormai più albanesi che autoctoni, pensarono di edificare una chiesa dove poter celebrare i loro riti, secondo la loro professione religiosa. Così sorse la prima rudimentale chiesa parrocchiale dedicata al loro protettore San Nicola di Mira a ricordo della natia cattedrale di Alessio ove furono conservati i resti umani del loro eroe Skanderberg. Questo di Lungro fu il loro primo edificio sacro che accolse le celebrazioni liturgiche col rito greco-ortodosso. La chiesa, intanto ingrandita ed abbellita, divenne Cattedrale il 13 febbraio del 1919, anno in cui, con la proclamazione della Costituzione Apostolica “Cattolici fidelis” del papa Benedetto XV, veniva eretta l’Eparchia, cioè sede dell’ “eparca” (dal greco antico “archòs” ed “epi”, “colui che governa”, come dire il vescovo dei cattolici). L’Eparchia greca di Lungro oggi comprende le comunità arberesh di Calabria, Basilicata, Puglia. E a ricordo della prima venuta di queste comunità nelle nostre contrade, lo stemma dell’Eparchia raffigura un’aquila bicipite (segno dell’impero bizantino) ed una nave nel mare che perpetua la prima grande migrazione del popolo albanese alla fine del ‘400, quando, appunto, a migliaia giunsero in Italia per non soccombere alla dominazione ottomana. Ancora oggi, infatti, gli arberesh d’Italia nelle loro feste tradizionali cantano “Per tre qint mile iktin, caitin detin se te mbajen beseen” che vuol dire “Ma trecentomila giovani fuggirono, ruppero il mare per salvare la fede”. La costruzione della Cattedrale di San Nicola di Mira ebbe inizio nel 1724 e terminò nel 1825: durante questo secolo l’edificazione andò avanti col contributo materiale di tutti i fedeli che addirittura portavano sul sito pesanti pietre e da qui il detto “ gur shen Oli” (pietra di San Nicola). Entrando in Cattedrale troviamo un frammento di affresco raffigurante la “Parasceve”, ritrovato nella vecchia chiesa del 1547 e soprattutto sono rilevanti artisticamente le opere pittoriche realizzate negli ultimi decenni del XX secolo e poste  nell’Iconostasi del Vima. Come in tutte le chiese bizantine anche qui vi è l’Iconostasi cioè un divisorio che separa il “Vima” o “Santuario”, in cui è posto l’altare, dal resto della chiesa. Si dice Iconostasi da icone perché qui vi si espongono le icone (immagini), ed ha tre porte, due laterali e la centrale detta  “Speciosa” che può essere attraversata soltanto dal sacerdote celebrante. Qui vi sono delle pitture murali di stile neo bizantino degli anni ’70 del secolo scorso e delle icone che adornano il prolungamento dell’Iconostasi; nelle navate laterali si possono ammirare le pitture dell’Antico e Nuovo Testamento eseguite nel 1983/84 dall’artista di Salonicco Kostas Tsitlavidis. E ancora, voluto dal parroco della Cattedrale, l’Archimandrita Pietro Tamburi, e realizzato da Josif Droboniku, possiamo ammirare il bel mosaico di 120 mq che copre l’intera superficie della cupola centrale e che raffigura il “Cristo Pantocrator” che siede su un trono di gloria tra serafini e cherubini. Dello stesso artista albanese anche  i mosaici  di Sant’Andrea e San Giacomo e quello dell’abside della cappella battesimale. Si evidenziano, anche, molte icone sulle feste liturgiche del calendario bizantino realizzate dal pittore greco Nikos Jannakakis. Oltre alla Cattedrale, Lungro offre ai turisti e ai cultori altri Beni culturali. Vediamo, infatti, il monumento a Skanderberg donato dalla Repubblica Popolare di Albania; il monumento ai caduti presso la villa comunale con obelisco del 1960; la chiesetta di sant’Elia, quella di Costantinopoli e del Carmine. Dal versante folkloristico, Lungro, oltre a canti popolari ed usanze che si richiamano, naturalmente, alla cultura albanese, conserva ancora, seppur a fatica ed in pochi casi isolati, il suo “costume”, soprattutto quello femminile, molto fine e ricco di ricami d’oro e d’argento. Dal citato De Marco, sul costume albanese di Lungro, leggiamo che: “esso si compone di 14 pezzi: linja, di sultanina, kamizolla, zofa, xipuni. Kalluciet, kpuzt. Micet, ilaci, riqint, pani, keza, birlloku […] per quanto riguarda poi i capelli vi erano delle donne specializzate nel pettinarli (Hietat kaschetete) per mestiere e si recavano a fare il lavoro a domicilio”, ciò avveniva anche in alcuni centri del Marchesato crotonese come ho avuto modo di vedere fino agli anni ’70. Un altro motivo non trascurabile per visitare Lungro, è quello di assistere alle liturgie pasquali con le “Kalimere” che sono i canti religiosi del periodo quaresimale. E tra le manifestazioni culturali di questa estate 2015 da non perdere il “Viaggio attraverso le Icone”, mostra di immagini bizantine dell’Archimandrita Mario Pietro Tamburi che si terrà dal 31 luglio al 9 agosto. Curiosità, infine, anche per il Carnevale lungrese.

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