Carlo Amirante ed il giallo della nascita

Nulla da eccepire o aggiungere al puntuale articolo di Mirko Tassone sul 20 settembre 1870 (per accedere al pezzo clicca qui); qualche piccolo mistero su Amirante.  Nacque senza dubbio in Calabria, ma il padre, cavalier Saverio, era napoletano, e amministratore della Razzona del principe Filangieri. Carlo visse fino al 1934 sempre fuori dalla Calabria, e non ci risultano suoi contatti con queste terre. Nato in Calabria, ma dove? È un bell’esempio di come spesso, troppo spesso, la storia non si fa con i documenti! Ne abbiamo infatti due che, letti con una certa buona volontà e senza andare per il sottile, indicherebbero il primo, l’atto di nascita, come luogo natale Soverato; l’altro, certificato di battesimo, Cardinale. Studiosi locali si accapigliarono a colpi di capelli in quattro. In verità l’atto soveratese dice che Saverio dichiarò la nascita; né potrebbe dire altro; quello cardinale, che fu battezzato, non esattamente che nacque alla Razzona. Facilmente si giocò con le parole, perchè Carlo doveva essere battezzato da Filangieri, ma per procura; e dal vescovo di Squillace, il quale, secondo una voce popolare attendibile, non andò a Razzona. Insomma, un bell’intrigo anagrafico senza soluzione. Don Cirillo, Gianpiero Nisticò e don Gnolfo recuperarono la memoria di Carlo, che era stato del tutto dimenticato e nulla aveva fatto per essere ricordato qui; molto a Napoli, a Roma, ma forse considerò la sua nascita calabrese quello che era, un caso. A Soverato negli anni 1950 e 60 ferveva la lotta politica e amministrativa. L’amministrazione di sinistra pensò di far dispetto al clero intitolando una lunga via a Giordano Bruno; l’amministrazione democristiana di Antonino Calabretta rispose con la più lunga e importante via dell’espansione urbana, quella che va dal Corso al Palazzetto; e con ciò ritenne chiusa la questione della nascita, avocandola, a ragione o a torto, a Soverato. È in atto una causa di beatificazione, e Amirante è al secondo grado, quello di Servo di Dio. Un santo ci servirebbe, a Soverato, con tutti i guai che patiamo.

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L'enigma Filangieri e la valle dell'Ancinale

L’editore d’Amico ha pubblicato, in anastatica, la biografia “Carlo Filangieri” di Pietro Calà Ulloa, che fu ministro di Francesco II in esilio, e si dedicò agli studi storici. Il volume, per quanto palesemente datato, va letto per cogliere diverse notizie sulle vicende non solo e non tanto del Filangieri, quanto della storia del Reame da Murat al 1860. Troviamo Carlo Filangieri da Austerlitz a Lipsia alla Spagna al Congresso di Vienna, e via via fino alla fine del Regno. Qui io voglio trattare un aspetto che, a dire il vero, nel Calà Ulloa non compare, ed è invece di una certa importanza: Carlo Filangieri e la Valle dell’Ancinale. Nel 1817 egli ottenne, per i buoni uffici di una zia maritata Ravaschieri, i titoli, ormai solo nominali, di principe di Satriano e duca di Cardinale. Nelle cronache dell’Ottocento è conosciuto, secondo l’uso, come Satriano. Nel borgo affacciato sullo Ionio, i Ravaschieri avevano posseduto una fortezza, donde il nome dialettale di “Picocca” (bicocca) per indicare Satriano; e un grande palazzo a stento riconoscibile per abbandono, riuso e superfetazioni. Nel territorio di Cardinale il loro cespite più notevole era la Razzona, azienda in spagnolo, castelletto di caccia con attorno un vastissimo bosco. Vi si trovarono, nei secoli, pietre lavorate del neolitico, e ritenute magiche e cadute dal cielo: “i cugni e tronu”; si conservano in musei di Napoli, Crotone e Catanzaro. L’industria boschiva era esercitata con seghe idrauliche: “a serr’e l’acqua”.  Filangieri, che appare legato più a Cardinale, dove si recava spesso, che a Satriano, diede vita nella Razzona a una ferriera (“magone”). Il ferro era, diciamo così, la plastica dell’Ottocento, materiale solido e duttile. Si vuole che il primo ponte di ferro d’Italia e uno dei primissimi d’Europa, quello di Minturno sul Garigliano, sia stato prefuso a Razzona, e non, come di ripete, nella fabbrica statale di Mongiana. Ma le leggi del Regno, sempre troppo protezioniste, vietavano ai privati l’uso del ferro calabrese (Bivongi, Stilo, dal 1846 anche Agnana… ), riservato allo Stato; Filangieri importava il grezzo dall’Elba. Nel 1849 accettò l’incarico di riconquistare la Sicilia ribelle, e lo portò a termine alternando decise operazioni militari e accortezza politica, mirando ad accattivarsi la potente e superba nobiltà isolana. Urtò contro la grettezza di Ferdinando II e la palese ostilità di un Cassisi, la cui nomina a ministro della Sicilia stando a Napoli era un’offesa e per l’isola e per lo stesso Filangieri. Questi spese del suo, non ricevendo aiuti dal governo. Rinunciò infine, e si ritirò a vita privata. Nel 1851 Razzona aveva subito i danni di un’alluvione. Filangieri la offrì in vendita agli abbienti di Cardinale, e la comprò un Pelagi, i cui numerosi discendenti la posseggono molto parcellizzata. Molto tardivamente, e venendo a morte assai prima che non si aspettasse, Ferdinando affidò a Filangieri il figlio ed erede Francesco II. Qui si apre l’enigma Filangieri: egli assunse il governo, consigliò il ripristino della costituzione “sospesa”, ma anche trattative con il Regno di Sardegna e la Francia. Lasciò infine l’incarico e lo stesso Regno, passando a Marsiglia, da dove tornò solo a Due Sicilie cadute; morì nel 1867. Il titolo di principe di Satriano è estinto; quello di duca di Cardinale è tornato, per matrimonio, nel Ravaschieri. Forse Carlo si era convinto che la soluzione unitaria era non dico la migliore, ma la meno peggio, di fronte al pericolo di una repubblica mazziniana che doveva essere stroncata da interventi stranieri ben più duri. O non credette più alla possibilità che il Regno sopravvivesse. Resta allo storico di immaginare una grande battaglia nella pianura di Salerno tra il guerrigliero Garibaldi e l’uomo di scuola napoleonica Filangieri: e chissà chi avrebbe vinto; Filangieri non era Landi, Lanza, Ghio, e nemmeno il fedele e inetto Ritucci, bensì un grande soldato e uomo di coraggio; ma la storia reale la giocarono Cavour e Napoleone III, e il Regno e Garibaldi erano superati dai fatti. Una lapide, ritrovata da Mario Monteverdi, ricorda l’avventura industriale di Razzona: A Carlo Filangieri / Principe di Satriano / per animo e per ingegno / non dissimile a Gaetano svo padre / e per gli egregi svoi fatti di gverra / gloria e decoro delle napolitane milizie / il cavaliere Saverio Amirante / rettore di queste magone / in testimonio / di grato e devoto animo / l'anno 1856 / Francesco Antonio Stagliano' / esegvi'

 

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