Gli ospedali i posti letto ed i pazienti per terra

 I medici che hanno sistemato per terra i pazienti paiono i colpevoli per eccellenza, e invece sono l’anello debole della catena; e se avessero avuto a disposizione letti o barelle, certo non avrebbero trovato professionali simili giacigli. La colpa è del sistema: del sistema, che è fatto di politicanti come dei loro elettori.

 Hanno agito male? Basterebbe rispondere che un ospedale non è un albergo, e non può scrivere “al completo”; e tanto meno può mandare i pazienti a casa o per strada o in auto, se non ci sono letti liberi; tanto più se sotto la neve. Lo vieta il giuramento d’Ippocrate, lo vietano le leggi.

 E non esiste forse una medicina delle catastrofi, che prepara ai casi particolarmente gravi e imprevedibili come terremoti o eruzioni o guerre? E in caso di un’epidemia classica, come peste o tifo… o di qualche malattia ignota?

 Secondo me, è una sindrome del “posto letto”, un’unità di misura degli ospedali ormai superata, superatissima, in un mondo dalla tecnologia così avanzata che moltissime operazioni chirurgiche e sanitarie in genere si effettuano in due ore, senza ricoveri, e molte volte con metodologia del tutto non cruenta e non traumatica.

 La soluzione è proprio questa: ridurre al minimo i “letti”, e potenziare ogni altra forma. Non servono decine di piccoli sedicenti ospedali (“presidi ospedalieri”, più esattamente), zeppi di uscieri più che di medici. Serve personale aggiornato.

 Servono anche attrezzature moderne, certo: ma la più moderna e avveniristica e spaziale delle attrezzature sanitarie del 2017 costa il 10% di ogni arcaico “posto letto”; dunque, chiudiamo i “posti letto”, e aumentiamo le risorse tecnologiche.

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