La crisi, le banche e gli squali della finanza

Tanto si è detto ed altrettanto si è scritto sulla crisi economica iniziata nel 2008. Le tante analisi prodotte non, sempre, sono arrivate a toccare la radice del problema.

La tempesta, non ancora passata, che si è abbattuta sul pianeta è piuttosto singolare. A determinarla, non è stato, infatti, un brusco calo della produzione né una marxiana crisi di sistema, provocata da sovrapproduzione.

Partita dagli Stati Uniti, la crisi del 2008 è il risultato dell’attività speculativa innescata dalle politiche iperliberiste inaugurate a partire dagli anni Novanta.

La causa remota di ciò che è successo in questi anni, va ricercata in una legge voluta da Bill Clinton.

Nel 1999, l’allora presidente Usa promulgò l’abolizione del Glass-Steagal act. Un provvedimento destinato ad avere effetti devastanti sull’economia di mezzo mondo.

Varata dal Congresso nel 1933, per volontà di Franklin Delano Roosevelt, la norma era nata con lo scopo di arginare i fallimenti delle banche americane in seguito alla grande depressione del 1929. Il principio ispiratore della legge, era rappresentato dalla netta separazione tra banche commerciali e d’investimento.

Da una parte furono poste le banche destinate ad erogare credito alle imprese ed alle famiglie, dall’altra quelle che svolgevano esclusivamente attività finanziarie a carattere speculativo. Per oltre sessant’anni, quindi, gli istituti di credito si sono mossi in campi distinti.

Recepita nel 1936, in Italia la legge venne abrogata nel 1993.

La pericolosa commistione fra banche commerciali e banche d’affari ha prodotto i disastri che hanno scosso le basi dell’economia occidentale, ha gettato sul lastrico le famiglie ed impoverito milioni di persone. Come se non bastasse,  i cittadini hanno dovuto mettere mano al portafoglio per pagare le puntate, sbagliate, fatte dagli speculatori al tavolo da gioco della grande finanza.

Fosse stato in vigore, il Glass-Steagal act avrebbe impedito che le conseguenze della bolla speculativa dei mutui subprime fossero scaricati sui cittadini.  La separazione tra i due sistemi, non avrebbe permesso alle banche d’investimento di far pagare ai correntisti i loro disastri.

L’assenza di banche esclusivamente commerciali ha, inoltre, condizionato la produzione. In questi anni, infatti, la resa, vera o presunta, dei prodotti finanziari ha indotto le banche a distrarre risorse alla c.d. economia reale a vantaggio delle attività speculative.

Gli unici beneficiare del nuovo corso sono stati gli “squali” della finanza.

Quella che Pound chiamava “l’ usura”, è diventata la forza dominante del mondo in cui viviamo. Una forza concentrata nelle mani di quelli, che citando Hobson, Lenin definiva “rentiers”; ovvero “persone che vivono del ‘taglio di cedole’, [che] non partecipano ad alcuna impresa e hanno per professione l’ozio”.

Un ceto, ieri come oggi, “parassitario”, completamente distaccato dal mondo della produzione.

I “rentiers”, alla Soros, hanno accumulato un immenso potere economico. Un potere tale da condizionare il destino delle nazioni. Sono loro, non i populismi, il vero pericolo per la democrazia.

Un pericolo che si può limitare mettendo ordine, nel caotico mondo della finanza. Per farlo, è necessario ripristinare le regole; a partire dalla separazione tra banche commerciali e banche d’investimento. Solo un provvedimento del genere può gettare le basi per disciplinare le forze dell’economia, adeguandole alle esigenze delle persone.

Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

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