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Chiesa, unioni civili e realtà: cosa significa famiglia nel 2015

È un tema complesso, su cui ognuno esprime una valutazione sulla base di pensieri ed esperienze personali, ma anche sulla scorta di contesti sociali e territoriali specifici. È un argomento delicato, che tocca la sensibilità e che induce a misurare i termini perchè giudicare senza essere nei panni degli altri è sempre un’impresa azzardata. L’intervista del cardinal Angelo Bagnasco al Corriere della Sera ha riportato all’attenzione il tema delle unioni civili. “La Chiesa – ha affermato in particolare il presidente della Cei - non è contro nessuno. Crede nella famiglia quale base della società, presidio dell’umano e garanzia per vivere insieme; la famiglia come è riconosciuta dalla nostra Costituzione e come corrisponde all’esperienza universale dei singoli e dei popoli: papà, mamma, bambini, con diritti e doveri che conseguono il patto matrimoniale. Applicare gli stessi diritti della famiglia ad altri tipi di relazione è voler trattare allo stesso modo realtà diverse: è un criterio scorretto anche logicamente e, quindi, un’omologazione impropria. I diritti individuali dei singoli conviventi, del resto, sono già riconosciuti in larga misura a livello normativo e giurisprudenziale”. Una precisazione è subito doverosa: nessuno può mettere in discussione la legittima volontà di due persone, siano esse dello stesso o di diverso sesso, di vivere sotto lo stesso tetto. È una situazione che richiede necessariamente una regolamentazione giuridica che deve contemplare aspetti patrimoniali, oltre che concernenti la vita quotidiana. Su questo non ci sono amletici dubbi, diversamente da quando si fa un passo avanti e si comincia a parlare di famiglia in senso stretto. Per essere espliciti, può definirsi famiglia, l’aggregazione composta da due persone delle stesso sesso ed, eventualmente, da bambini? Su questa fattispecie si susseguono le discussioni e si scontrano i pareri fra chi ritiene che l’accezione concettuale vada ampliata e chi, invece, si scandalizza al cospetto di questa ipotesi. In assenza di una risposta certamente esatta, partiamo dai punti fermi. In una famiglia, i genitori devono essere in grado di fornire il benessere materiale e immateriale dei figli educandoli e contribuendo alla corretta formazione delle loro coscienze. Qui, però, scocca la domanda. Se lo Stato non riesce a dare concreta attuazione al diritto al lavoro, possono dirsi rispettati gli articoli della Costituzione che fanno riferimento alla famiglia? Nell’epoca della precarietà, come fanno i giovani a formare una famiglia? Sono tutti dei “bamboccioni” o esistono delle difficoltà oggettive che impedisco ai ventenni/trentenni/quarantenni di costituire un autonomo nucleo familiare? Ecco allora che, prima di concentrarsi sulla diversificazione dei modelli, le istituzioni dovrebbero riflettere e agire sugli ostacoli reali e quotidiani. È utile ostinarsi sulla ripetizione a memoria dell’articolo 29 della Costituzione (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”) quando, ormai, non sposarsi è una scelta sempre più frequente? Dunque, il principio va aggiornato: la famiglia è sì una società naturale, ma si fonda soprattutto sulla condivisione di sentimenti, valori, scelte e prospettive, sul rispetto reciproco, sul compimento di sacrifici comuni tesi a dare un futuro ai figli, sul contributo che dà alla crescita della società. Forse è l’aggregazione di persone che risponde a questi requisiti che può considerarsi una vera famiglia.

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