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Un impegno morale: riportare a casa i nostri Marò

La credibilità di un sistema passa necessariamente attraverso la sua capacità di regolare i rapporti sia all’interno del territorio nazionale sia con gli altri Stati. Si tratta di un concetto vecchio di secoli, la cui interpretazione traduce il funzionamento della vita collettiva. Garantire il principio di giustizia è un’esigenza imprescindibile: solo in tal modo l’anarchia lascia spazio all’ordine e i cittadini riescono a condurre una normale convivenza. Medesima rilevanza assume la gestione degli impegni, delle trattative, delle controversie con le altre nazioni. Una volta era la guerra a porre fine ai contrasti con effetti spesso devastanti per vinti e vincitori. L’epoca moderna ha poi tracciato l’arte della diplomazia affinchè le problematiche si risolvessero mediante la discussione e l’arrivo ad un punto di sintesi. Ai fini del risultato finale incidono ovviamente i rapporti di forza, il grado di rispetto e la considerazione della controparte, la determinazione e la capacità di trasmettere la propria scala di priorità. Questa premessa può essere utile a contribuire a comprendere la situazione in cui si trovano, ormai da tre anni e mezzo, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Accusati di aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala, i Marò sono intrappolati in un groviglio giuridico-burocratico da cui è difficile uscire, anche per l’approccio, apparentemente remissivo, dei Governi italiani che si sono susseguiti. Eppure esistono le indagini-studio condotte, in maniera indipendente ma coordinata, da Stefano Tronconi, Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano che sembrano dimostrare la sostanziale estraneità dei Marò ai fatti contestati. Le ipotesi a corredo dello studio vanno nel senso della prevalenza degli interessi politici ed economici rispetto alla vertenza in sè: se così fosse, non si potrebbe non registrare un arretramento della civiltà stessa. Gli italiani non possono accettare che due loro connazionali siano lasciati in balia del destino, ma ogni uomo di questo pianeta non può consentire che la verità non venga alla luce, che la giustizia ceda il passo ad altri aspetti. Il Governo italiano deve assumere dunque un impegno morale: riconsegnare alle loro famiglie due uomini che - se fossero confermate le analisi di Tronconi, Capuozzo e Di Stefano – avrebbero subito un’assurda privazione di libertà. Va (andava) assicurato un processo fondato su un diritto che pone al centro l’individuo, non certo gli equilibri politici indiani o la conclusione di altri affari. E, in ogni caso, va recuperato il buon nome di una nazione che non può essere impotente rispetto all’esistenza di due suoi figli. E se ai Marò accadesse qualcosa, di chi sarebbe la responsabilità? Sicuramente di chi ha il compito di prendere le decisioni, ma un po’ anche di chi riesce a rimanere indifferente di fronte alla Spada di Damocle che pende sulla testa di due uomini che hanno avuto la sfortuna di essere coinvolti in una vicenda dai contorni non rassicuranti. 

 

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