'Ndrangheta, scomparso dalla località protetta il pentito Giuseppe Greco

Come si legge nell'edizione odierna de "Il Garantista", risulta irreperibile Giuseppe Greco, collaboratore di giustizia ristretto ai domiciliari e già condannato in Appello a quattro anni di reclusione all'epilogo del processo originato dall'operazione "Meta" con cui è sono stati scardinati i vertici della 'ndrangheta di Reggio Calabria. Gli inquirenti, dopo aver appurato nella giornata di giovedì che il pentito era irrintracciabile da parte del personale addetto alla sua tutela, stanno lavorando per comprendere i motivi alla base della sparizione dal luogo segreto in cui viveva. Avrebbe dovuto rendere testimonianza in occasione di un'udienza di un dibattimento processuale presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria che vede sul banco degli imputati, oltre allo stesso Greco, anche Domenico Calabrese e Natale Musolino. Verificata la sua assenza, gli agenti hanno stilato un rapporto che hanno trasmesso al Collegio di giudici di cui è presidente il magistrato Massimo Gullino. L'attività collaborativa di Greco, 55 anni, con la giustizia è iniziata esattamente due anni fa, a raccogliere i suoi dettagliati resoconti sull'organizzazione della 'ndrangheta è stato Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Padre del pentito è Ciccio Greco, considerato boss della "locale" di Calanna, organico ai clan Araniti e Rugolino. Era stato Fulvio Rizzo, sostituto procuratore generale di Reggio Calabria, a richiedere che il collaboratore testimoniasse in aula. Sulla scorta di quanto si legge in un'informativa relativa all'indagine denominata "Meta", Greco risulta essere "pluripregiudicato per guida senza patente, omicidio volontario in pregiudizio di un vigile urbano, truffa, furto, associazione per delinquere di tipo mafioso, lesioni personali, porto abusivo di coltello di genere vietato, rimpatrio con foglio di via obbligatorio".

'Ndrangheta, operazione contro il clan Commisso: 18 arresti nella Locride

Militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, coadiuvati dai colleghi dello Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) hanno dato avvio nelle prime ore di oggi ad una vasta retata, in va di conclusione in questi minuti, che ha smantellato un'organizzazione dedita, secondo la ricostruione degli inquirenti, all'esercizio abusivo del credito, all'estorsione ed all'usura. Diciotto le ordinanza di custodia cautelare disposte sulla scorta di un'inchiesta portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. I destinatari dei provvedimenti disposti dal Giudice delle indagini preliminari sono sospettati di essere organici al clan Commisso, una cosca di 'ndrangheta i cui interessi criminali gravitano nel comprensorio di Siderno, area jonica del Reggino. Nell'ambito della medesima operazione, le Fiamme Gialle, inoltre, stanno apponendo i sigilli ad appartamenti, autoveicoli ed appezzamenti di terreno.

Sequestrati beni per sei milioni di euro alla cosca Crea di Rizziconi

E' stata portata a compimento l'operazione con la quale, questa mattina, la Polizia di Stato ha proceduto al sequestro di beni per circa 6 milioni di euro ad esponenti della cosca "Crea", operante nel territorio di Rizziconi (RC). Emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del locale Tribunale, i provvedimenti di sequestro hanno interessato numerosi beni sia mobili che immobili. In particolare, la misura è stata applicata a terreni, fabbricati, società, conti correnti e titoli Agea. Il valore complessivo dei beni sottoposti a sequestro ammonta a 6 milioni di euro.

Trovato impiccato il fratello del presunto boss Antonio Ursino

È stato trovato impiccato ad un albero nella campagne di Gioiosa Jonica, Pasquale Ursino, di 67 anni, fratello di Antonio, attualmente detenuto perché accusato di essere il boss dell'omonima cosca. Il rinvenimento del cadavere è giunto dopo che, ieri sera, i familiari, constatato il mancato rientro del congiunto, ne avevano denunciato la scomparsa ai carabinieri. Al momento l'ipotesi privilegiata dagl'inquirenti sarebbe quella del suicidio. Tuttavia sono in corso le indagini per cercare di giungere ad una ricostruzione dettagliata di quanto accaduto.

Imprenditori vibonesi collusi con la 'ndrangheta un pentito pronto a fare i nomi

"Continuano a fornire spunti investigativi le dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia Raffaele Moscato". E' quanto si legge in un lancio dell'agenzia Agi secondo il quale le rivelazioni di Moscato avrebbero offerto lo spunto alla Dda di Catanzaro di aprire un nuovo filone d'indagine sulle collusioni tra la 'ndrangheta ed il mondo imprenditopriale vibonese. Le nuove dichiarazioni del pentito, rilasciate nell'ambito dell'inchiesta sulla sanguinosa faida che ha visto contrapposti i piscopisani ad i Patania di Stefanaconi, starebbero offrendo agli inquirenti elementi validi a svelare i nomi degli imprenditori, legati ai clan, che operano nei centri di Piscopio, Vibo Marina, Bivona, Porto Salvo, Briatico e Cessaniti. "Sotto la 'lente di ingrandimento' degli inquirenti, sulla scorta delle rivelazioni del pentito, anche diversi lavori che sarebbero stati svolti, negli anni, nel porto di Vibo Marina. Il 22 aprile prossimo il pentito Raffaele Moscato, killer del clan dei Piscopisani, fara' il suo esordio in un'aula di giustizia (collegato in videoconferenza con il Tribunale di Vibo) nella nuova veste di collaboratore nel processo 'Libra' contro il clan Tripodi"

Uccide la madre, amante del boss di un'altra famiglia

Sarebbe stato il figlio,  Francesco Barone, 22 anni, ad uccidere Francesca Bellocco accusata d'intrattenere una relazione con Domenico Cacciola, boss di un'altra famiglia mafiosa di Rosarno scomparso, nell'agosto del 2013, contestualmente all'omicidio della donna. I fatti, accaduti a Rosarno, sono stati oggetto d'indagine da parte della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, della polizia di stato e dei carabinieri. A Barone, accusato di aver guidato un commando di sicari con il quale avrebbe ucciso la madre occultatone il cadavere,  e' stato notificata un'ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Sulla Costa Concordia la droga delle 'ndrine?

Secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, la Costa Concordia, la nave da crociera naufragata davanti all'Isola del Giglio il 13 gennaio 2012, avrebbe trasportato droga delle ’ndrine calabresi. Due boss, intercettati dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un’indagine sul traffico di stupefacenti tra il Sud America e l’Italia, riferendosi ad una nave sulla quale era stato imbarcato un carico di cocaina avrebbero detto che si trattava della “  stessa nave che ci ha fatto fare la figuraccia che in tutto il mondo ci ha preso per il culo”. Nei dialoghi in codice intercettati dalle Fiamme gialle la nave viene chiamata "la principessa". Una conclusione cui è giunta la Procura di Firenze, retta dal Pm Giuseppe Creazzo, titolare dell'indagine che, un mese fa, ha portato all'arresto di una ventina di 'ndranghetisti. Dall’inchiesta emergerebbe che la cocaina, una volta imbarcata nei porti di Santo Domingo, Perù, Panama e della Florida veniva nascosta tra i rifornimenti alimentari destinati ai croceristi. Un altro sistema utilizzato per portare gli stupefacenti a bordo delle navi sarebbe stato quella di collocarla in capienti borsoni che, con la complicità di alcuni membri degli equipaggi, venivano, poi, sistemati nelle cabine di "turisti", in genere coppie di calabresi incensurati. Tra le navi utilizzate dai trafficanti ci sarebbero state quelle della Costa Crociere, della Msc e della Norwegian Cruise Line. Secondo gli uomini del Gico, alle prese con decine di intercettazioni, una grossa partita di cocaina (mai trovata) sarebbe finita, all'insaputa dei comandanti e dei responsabili della compagnia di navigazione, anche sulla Costa Concordia.

Commissione antimafia: "Verona è a rischio 'ndrangheta"

"Verona è il punto più fragile del Veneto e ci sentiamo di segnalare che la consapevolezza sul livello 'ndranghetista e mafioso nel territorio è ancora insufficiente".E' quanto hanno affermato i membri della Commissione parlamentare bicamerale antimafia riunitasi a Verona, sotto la guida della presidente Rosy Bindi. "Questa - ha dichiarato Rosy Bindi - è ancora una regione per cui si può usare la parola infiltrazione e non insediamenti e non vorremmo che a episodi sporadici seguisse un radicamento, come avvenuto in altre regioni. Dagli elementi che abbiamo raccolto - ha aggiunto - ci sentiamo di chiedere alla Prefettura e al Comitato di sicurezza, anche alla luce di recenti fatti analizzati dalle procure di Bologna, Brescia e Catanzaro, di rivalutare la possibilità della nomina di una Commissione di accesso al Comune di Verona e magari anche in altri comuni che hanno visto il verificarsi di fatti inquietanti, di rapporti tra amministrazione ed associazioni criminali".

Subscribe to this RSS feed