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Dissesto, il sindaco Tino: “E’ l’ora di una verità condivisa”

CHIARAVALLE CENTRALE – Ad oltre un mese di distanza dal dissesto finanziario dichiarato dal Consiglio comunale, il sindaco Gregorio Tino torna sull’argomento che sta monopolizzando il dibattito nel centro delle Preserre auspicando “un chiarimento definitivo” capace di portare ad una “verità condivisa” e rivendicando un’azione amministrativa posta in essere “nel supremo interesse della collettività”. Il primo cittadino spiega “le origini antiche” del problema e snocciola ogni dettaglio riguardo ad una massa debitoria che alla data del 31 maggio 2011 è stata quantificata in 7.087.000 euro. A pesare vi è poi “un debito per mutui che grava per circa 745.000 euro all’anno”,  determinato dal fatto che “nel passato vi è stato un eccessivo ricorso all’indebitamento attraverso la contrazione di mutui per il finanziamento di opere, tant’è che l’ente già nell’esercizio del 2005 si è trovato costretto a dover rinegoziare i mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti  e con un altro istituto di credito privato per mezzo dell’emissione di BOC e l’adozione di un nuovo piano finanziario”. Inoltre, “le amministrazioni per poter apparentemente garantire gli equilibri di bilancio e di gestione hanno utilizzato vari espedienti che hanno contribuito a creare l’attuale situazione finanziaria. Fra questi – sostiene Tino – troviamo la frequente pratica di sottostima delle spese in sede di redazione del bilancio di previsione che ha determinato la generazione nel tempo di numerosi debiti fuori bilancio, anche perché il Comune ha dovuto comunque assicurare i vari e necessari interventi sul territorio facendo spesso ricorso allo strumento della somma urgenza e dei pronti interventi”. Secondo il sindaco, questo stato di cose, “che ha avuto come effetto indiretto una tenuta delle scritture contabili spesso contraddittoria ed incerta, ha posto l’ente nella condizione di inattendibilità nei confronti della magistratura contabile”. Tino mette il dito nella piaga ed elenca ciò che, a suo avviso, di sbagliato c’è stato nell’operato dei predecessori: “un forsennato ricorso all’anticipazione di cassa che talvolta non veniva ricostituita nei limiti degli esercizi finanziari, un utilizzo frequente non sempre ricostituito nei termini di legge dei fondi a destinazione vincolata e tale situazione trascinata negli anni ha comportato lo stralcio di crediti inesigibili, l’inerzia dell’amministrazione relativamente alla determinazione e all’allineamento delle tariffe al reale costo dei servizi, la propensione patologica al contenzioso con l’instaurazione di numerose liti pendenti che hanno prodotto incertezza nella determinazione delle spese, la previsione delle alienazioni di immobili mai realizzata”. Condannata “l’irresponsabilità delle opposizioni”, Tino passa alla rassegna dei risultati conseguiti in direzione del risanamento e, tal fine, cita “il pagamento di debiti per 4.498.000 euro (di cui 3.770.000 con il ricorso al decreto legge 35/2013 e 728.000 euro con risorse proprie), la riduzione delle spese del personale per 267.661 euro, la riduzione del contenzioso e l’eliminazione dell’anticipazione di cassa”. Il tutto a dispetto della “decurtazione netta del fondo di solidarietà di 710.347 euro (i trasferimenti al Comune di Chiaravalle sono passati da 1.882.261 euro del 2011 a 1.171.914 euro del 2014)”. In questo contesto, si è andata ad inserire “la grave crisi di liquidità verificatasi nell’ultimo trimestre del 2014 che ha fatto emergere la gracilità del nostro sistema finanziario integrando la fattispecie classica della situazione di dissesto”. Dunque, svaniti i due tentativi di condurre in porto il riequilibrio e vista la necessità di guardare alla “prospettiva dell’introduzione nel sistema della contabilità armonizzata per l’esercizio 2015, abbiamo dovuto rassegnarci alla drammatica presa d’atto”. Il sindaco evidenzia infine  “la grande sofferenza” ma specifica di avere “la coscienza a posto” poiché ha fatto “fino in fondo, e con serenità, la propria parte”. 

Nuovi disagi per i dipendenti dell’ospedale

SOVERATO - Arriva un nuovo affondo sui problemi del nosocomio. A segnalare “motivi di forte disagio e stress lavorativo a cui va incontro tutto il personale medico e paramedico” sono il responsabile regionale della Cisal Medici Renato Barone ed il neo vicesegretario nazionale della Cisal - comparto Sanità Edualdo Posca. A finire nel mirino stavolta è la comunicazione del “ritardo, senza che ve ne fossero noti e comprensibili motivi, degli stipendi del mese di gennaio”. In particolare, “non solo non si pagano i pre-autorizzati  (ed imposti dalla persistente condizione di sottorganico) extra, ma si corrisponde in ritardo anche il minimo tabellare. Se poi si considera – spiegano i due esponenti del sindacato - che alla già di per sè spiacevole circostanza del tardivo pagamento, si è aggiunta l’incompleta corresponsione delle spettanze causata dal mancato pagamento di indennità festiva e notturna, reperibilità, turni supplementari,  la situazione assume carattere di particolare gravità”. Le contraddizioni continuano perché “stante la cronica carenza di personale medico e non, si continuano a chiedere doppi turni ed altre prestazioni extra a tutto il personale che, con spirito di sacrificio e alto senso di responsabilità, pur molto affaticato e non certo incoraggiato dai mancati o tardivi e incompleti pagamenti, continua a fare tutto quanto necessario per garantire perlomeno i livelli minimi assistenziali e le giuste attenzioni a quanti tra bambini e adulti, sofferenti, si rivolgono loro”. La situazione sarebbe ai limiti del “grottesco” e, di conseguenza, la Cisal non è più disposta a “tollerare oltre questi incomprensibili ed ingiustificati ritardi, alcuni dei quali si protraggono oramai da più di due anni”. Alla luce di questo stato di cose, viene richiesta la predisposizione di “tutte le necessarie procedure contabili affinché, già dalla prossima busta paga di febbraio, i dipendenti possano ritrovarsi almeno una parte dei meritatissimi e sudatissimi soldi arretrati”. La pretesa è quella della “puntualità nel pagamento degli stipendi in ogni sua componente perché, specialmente in questo particolare momento socio-economico e per le famiglie monoreddito, il personale deve poter onorare i propri impegni e le proprie scadenze come mutui, presti bollette, oltre naturalmente a quanto necessario per la quotidianità”. In conclusione, i rappresentanti della Cisal rinnovano la “disponibilità al confronto ed alla collaborazione per l’eventuale individuazione congiunta di una possibile soluzione” e restano “in attesa di un incontro con i massimi vertici aziendali” ormai “non più rinviabile”.

Cgia Mestre: la Calabria è la regione meno tassata dopo la Sicilia

La Calabria si piazza al penultimo posto nella graduatoria stilata dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha effettuato un confronto fra  il gettito fiscale versato dai lavoratori dipendenti, dagli autonomi, dai pensionati e dalle imprese di tutte le regioni d’Italia. La più tartassata è la Lombardia, dove ogni residente versa in media 11.386 euro, seguita dal Lazio (10.763 euro) e dall’Emilia Romagna (10.490 euro). In coda troviamo, invece, la Campania (6.041 euro), la Calabria (5.918 euro) e la Sicilia (5.598). Considerando le macroaree, le attese sono rispettate con al vertice il Nord-ovest (10.828 euro) che stacca il Centro (9.868 euro) ed il Nord-est (9.819 euro). Chiude, ben lontano dalla media nazionale (8.824 euro), il Sud (6.137 euro). “Questi dati – spiega Giuseppe Bortolussi della Cgia di Mestre – dimostrano come ci sia una corrispondenza tendenzialmente lineare tra il gettito fiscale, il livello di reddito e, in linea di massima, anche la qualità/quantità dei servizi offerti in un determinato territorio. Dove il reddito è più alto, il gettito fiscale versato dai contribuenti è maggiore e, in linea di massima, gli standard dei servizi erogati sono più elevati. Essendo basato sul criterio della progressività, è ovvio che il nostro sistema tributario pesa di più nelle regioni dove la concentrazione della ricchezza è maggiore”. Altro elemento di rilievo che si nota nell’analisi condotta dalla Cgia di Mestre è la distribuzione del gettito tra i vari livelli di governo. Su un totale nazionale di 8.824 euro pro capite di entrate tributarie registrate nel 2012 (ultimo anno in cui sono disponibili i dati a livello territoriale), ben 7.124 euro finiscono nelle casse dello Stato (pari all’80,7% del totale); 902 euro pro capite sono destinati alle Regioni (pari al 10,2% del totale) e solo 798 euro pro capite (pari al 9%) confluiscono nelle casse degli Enti locali (Comuni, Province e Comunità montane). Da un punto di vista metodologico i tributi analizzati nello studio sono riferiti al valore aggiunto generato nelle singole regioni. La Cgia ricorda inoltre che per l’anno in corso la pressione fiscale è destinata ad attestarsi al 43,2%: 0,1 punti in meno rispetto al dato toccato nel 2014, mentre nel 2016 dovrebbe salire al 43,7%. Tale aumento sarebbe il risultato di una diminuzione di 0,6 punti di Pil dei contributi sociali, più che controbilanciata dall’incremento di quasi un punto della pressione tributaria. Quest’ultimo è in gran parte dovuto alle imposte indirette, per effetto, in particolare, dell’aumento dell’aliquota Iva dal 2016 e delle clausole di salvaguardia sulle accise, misure introdotte con la legge di Stabilità 2015.

ESCLUSIVO / Stefania Craxi si apre a “Il Redattore”

ROMA – Sarà a Serra San Bruno il prossimo 15 febbraio per presentare il libro “Io parlo, e continuerò a parlare” nel quale vengono raccolti quegli scritti dall’esilio del padre Bettino che lasciano trasparire il bisogno di una svolta presidenziale che i tempi, le trasformazioni della società e la realtà politica avrebbero poi imposto all’attenzione dell’agenda politica. Intanto, Stefania Craxi si apre in esclusiva al nostro giornale facendo emergere quel carattere ereditato da chi ha fatto del decisionismo uno stile di governo, ripreso, anche se in maniera in parte diversa, da Silvio Berlusconi. Gli argomenti che affronta con naturale determinazione non possono che essere principalmente quelli della recente elezione del Capo dello Stato e delle riforme. “L’auspicio del nuovo presidente della Repubblica ad avere giocatori corretti – esordisce la Craxi - cozza paradossalmente con il metodo adottato da Renzi nella partita per il Quirinale. Benché il contrasto sia assai stridente non può però essere considerato fortuito. La speranza è che l’intendimento di Mattarella sia, di fatto, la presa d’atto da parte del nuovo arbitro costituzionale della necessità inderogabile che nella partita di governo ed in quella delle riforme, vi sia il rispetto delle norme e delle procedure parlamentari, del ruolo delle opposizioni e delle minoranze e del rispetto delle prerogative di ciascun parlamentare. L’intera vicenda del Colle dovrebbe però indurre ad una riflessione più approfondita e più organica sulla sostanza e sulla natura del processo di revisione costituzionale in atto”. Da questa premessa nasce un ragionamento profondo centrato sull’assunto per cui “lo squilibrio tra i poteri, la difficile governabilità ed un confuso e sterile assemblearismo parlamentare hanno prodotto nel corso dell’ultimo ventennio una pericolosa disaffezione dei cittadini”. Ed è per questo che “occorre intervenire presto su questi punti ed in questa direzione”. In tal senso, ad avviso della Craxi,  “il disegno di revisione costituzionale, la famigerata riforma Boschi, non dà alcuna risposta di sistema ad una crisi profonda, non solo della politica e delle Istituzioni, ma del nostro stesso tessuto democratico. Infatti – spiega con piglio critico - la democrazia si nutre e vive del consenso dei cittadini e questo non si recupererà senza un rinnovamento radicale delle istituzioni, della politica e dei partiti che ne sono i protagonisti. Per farlo, è necessario rivedere il dettato costituzionale e farvi entrare quel soffio di libertà e di modernità vitali per dare al Paese una ‘democrazia governante’, come sostenuto già sul finire degli anni settanta da Bettino Craxi. Ciò non significa recidere le radici della nostra Repubblica; è, al contrario, la necessità di rinnovare l’impegno ed i valori di fondo che sono alla base della nostra Costituzione: partecipazione, libertà, diritti”. Riassumendo: “Tutta l’esperienza viva, la storia stessa dell’ultimo ventennio, dimostra l’esigenza di un sistema presidenziale”. Nessun intervento di pura parvenza fa al caso dell’Italia poiché “le riformicchie che non hanno un largo respiro, non solo non rispondono alle esigenze della nostra democrazia e del Paese, ma rischiano di essere dannose, creare ulteriori vulnus democratici, nuove crisi e crescenti tensioni. Non servono e non possono bastare meri maquillages, serve una ‘grande riforma’ che per i veri riformisti ha sempre significato innanzitutto semi-presidenzialismo”. Per quest’ultimo non s’intende “solo un valido ed efficiente sistema di governo”, ma soprattutto “una terapia d’urto utile ad affrontare e risolvere i nostri antichi mali ed i nuovi vizi, in grado di rigenerare un tessuto democratico profondamente minato, rivitalizzando e restituendo ruolo e funzione ai partiti”. D’altra parte, “non è un caso che la forma di governo presidenziale stia ormai sostituendo quella parlamentare ed è oggi di gran lunga maggioritaria nel globo”. L’analisi è fredda e riconosce le circostanze per cui “in Italia,  attardandoci nella difesa di un parlamentarismo senza partiti, svilito da meccanismi elettorali capestro, da prassi e consuetudini materiali che hanno indebolito e reso subalterno il ruolo dell’assemblea legislativa, abbiamo avuto nel corso di questi anni un presidenzialismo di risulta a costituzione invariata, senza una distinzione di ruoli e funzioni ed i necessari e dovuti contrappesi”. Il suggerimento, invece, è passionale e consiste nell’adattare “la costituzione formale a quella materiale, costituzionalizzando e bilanciando ciò che nella realtà già esiste”. Rilevato che si tratta di “una contraddizione che una personalità dalla forte tensione democratica come Mattarella non può non porsi e non porre all’attenzione del Paese”, la Craxi sostiene che sia proprio questa “la questione tra le questioni con la quale Forza Italia dovrebbe incalzare, in un duello tutto in positivo, la maggioranza di governo ed il suo presidente, i cui atteggiamenti gattopardeschi sono fin troppo evidenti. Bettino Craxi – aggiunge con orgoglio - pose la questione presidenziale con forza e convinzione”.

Il volume, che sarà illustrato a palazzo Chimirri fra meno di 10 giorni, certifica pertanto “la lungimiranza, la capacità di analisi e di visione” di Bettino Craxi che è “rimasta intatta fino alla fine”, ma anche “i ritardi del nostro Paese”. “Rinnovarsi o perire” era il motto socialista che più di ogni altro egli amava. “Fu per lui – come testimonia la figlia - una missione, una condizione d’inquietudine cui dedicò, con impegno e sacrificio, la sua vita” per “il bene ed il progresso dell’amata Italia”.

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