‘Ndrangheta, confiscati beni per 2,2 milioni di euro ad un imprenditore

Gli uomini del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica, hanno eseguito un provvedimento di confisca, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale, che ha riguardato un ingente patrimonio riconducibile a un imprenditore reggino, ritenuto contiguo al sodalizio criminale ‘ndranghetistico noto come “cosca Pesce” di Rosarno, egemone nella Piana di Gioia Tauro, con importanti e radicate ramificazioni operative su tutto il territorio nazionale ed estero. L’imprenditore è stato già condannato in primo grado alla pena di 16 anni di reclusione per associazione per delinquere di tipo mafioso e di 5 anni di reclusione per intestazione fittizia, aggravata dalle finalità mafiose, in due distinti procedimenti penali ed è stato, altresì, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di 3 anni. A seguito di una mirata attività investigativa e di analisi economico- finanziarie, gli uomini della Guardia di Finanza hanno accertato una palese sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato e i redditi dichiarati dal soggetto investigato, tale da non giustificarne la legittima provenienza. In particolare, sono stati confiscati le quote sociali e il patrimonio aziendale (comprensivo dei conti correnti) di 2 società di trasporti nonché quote di un fondo comune di investimento mobiliare del valore complessivo stimato di oltre 2,2 milioni di euro.

Confiscati beni per 1,5 milioni di euro ad un affiliato alla 'ndrangheta

La Direzione investigativa antimafia ha confiscato beni, il cui importo complessivamente ammonta a quasi 1,5 milioni di euro, al cinquantunenne Cosimo Alvaro, al momento in galera e ritenuto affiliato all'omonimo clan di Sinopoli, che ha interessi criminali nell'area compresa fra Cosoleto, Sant'Eufemia in Aspromonte, San Procopio e nella stessa Reggio Calabria.  Un paio di decenni addietro fu riconosciuto responsabile, con sentenza passata in giudicato, di illeciti connessi alla droga. In conseguenza di tale vicenda giudiziaria divenne, inoltre, un sorvegliato speciale. Nel 2010 fu tratto in arresto nell'ambito dell'inchiesta denominata "Meta", da cui scaturì un processo che gli procurò una condanna a più di diciassette anni di reclusione. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, influenzò le elezioni amministrative che si celebrarono a San Procopio. La successiva operazione ribattezzata "Xenopolis" confermò, a parere degli investigatori, il suo status di soggetto stabilmente appartenente alla 'ndrangheta. Lo scorso anno, al termine del dibattimento processuale, è stato giudicato colpevole del reato di associazione mafiosa e condannato a nove anni di carcere.  

'Ndrangheta, "Onorata Sanità": confiscati beni ad un ex assessore regionale

In esecuzione di un decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale, il Reparto Operativo del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria ha proceduto,  Sezione Misure di Prevenzione, alla confisca di 2 terreni, ubicati in località San Giuseppe, per un valore stimato in 600.000 euro nei confronti di Domenico Crea,  64 anni, di Melito Porto Salvo, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione convenzionalmente denominata "Onorata Sanità", condotta dai Carabinieri nel gennaio del 2008. I due terreni confiscati erano già stati oggetto di sequestro preventivo, eseguito dai Carabinieri nel novembre del 2009, unitamente ad altri beni, anch’essi già sottoposti a confisca nel maggio del 2011, tra cui la clinica "Villa Anya" ed il patrimonio mobiliare ed immobiliare di Crea. Domenico Crea è stato arrestato il 28 gennaio 2008 in in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere, disposta dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Procura Distrettuale, nell’ambito dell'operazione "Onorata Sanità". In particolare, l’attività investigativa, che originava dall’omicidio dell’onorevole Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio Regionale, perpetrato a Locri il 16 ottobre 2005, ha consentito di evidenziare l’operatività di un’associazione di tipo mafioso finalizzata al controllo elettorale (con riferimento alle elezioni regionali della Calabria del maggio 2005) ed alla gestione amministrativa del comparto della sanità pubblica e privata. Gli elementi emersi nel corso delle indagini hanno documentao le attività di alcune delle principali "locali" di 'ndrangheta della zona jonica di Reggio Calabria, in cui operava la cosca Morabito-Zavettieri, impegnate per sostenere la candidatura di Domenico Crea, poi nominato assessore e già in precedenza investito di altre cariche istituzionali. L’indagine, inoltre, ha fatto emergere condotte delittuose finalizzate alla commissione di reati di truffa, falso, abuso d’ufficio ed altro, posti in essere nella gestione della clinica privata denominata "Villa Anya", di proprietà della famiglia Crea.

 

'Ndrangheta: confiscati beni ad un imprenditore

Un patrimonio il cui valore ammonta ad un milione e 140 mila euro è stato confiscato dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. Destinatario del provvedimento il trentacinquenne Edoardo Mangiola, imprenditore tratto in arresto tre anni fa nel contesto di un'indagine condotta contro il clan Libri. A disporre l'attuazione della misura giudiziaria eseguita stamane è stato il Tribunale della città dello Stretto in ottemperanza a quanto richiesto dalla Direzione distrettuale antimafia. L'elenco dei beni comprende due aziende, due autovetture, un appartamento e svariati rapporti di natura finanziaria. 

    

Confiscati beni per 500 mila euro ad un presunto affiliato alla 'ndrangheta

Un patrimonio il cui valore ammonta complessivamente a mezzo milione di euro è stato confiscato dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando provinciale di Catanzaro. La titolarità dei beni sarebbe ascrivibile ad uomo di 50 anni, Tommaso Aprile. Originario di Potenza, vive a Catanzaro. ritenuto dagli investigatori soggetto affiliato al clan dei "Gaglianesi", lo scorso anno è stato disposto nei suoi confronti il regime della sorveglianza speciale. Sei mesi addietro gli automezzi, i conti correnti bancari e gli immobili oggetto della confisca erano stati messi sotto sequestro.

Confiscati beni per 6 milioni e mezzo di euro a presunti affiliati alla 'ndrangheta

Sono stati confiscati beni, per un importo complessivo che si avvicina a sei milioni e mezzo di euro, riconducibili a soggetti sospettati di appartenere al clan Serpa, operante a Paola. Il provvedimento è stato eseguito dai Carabinieri del Comando provinciale di Cosenza e dai militari della Guardia di Finanza della città bruzia. L'elenco del patrimonio oggetto della confisca comprende immobili a Paola, aziende attive nel comparto degli impianti idraulici e del turismo, automobili, potenti motociclette e conti correnti aperti presso gli istituti di credito. 

'Ndrangheta, nomi e particolari della maxi confisca da 214 milioni di euro a due noti imprenditori

Personale del Comando Provinciale della Guardia di Finanza e del Centro Operativo D.I.A. di Reggio Calabria ha eseguito, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, nei confronti di due imprenditori reggini, Pietro Siclari, 68 anni, e Pasquale Rappoccio, 59 anni, una misura di prevenzione sia personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza della durata di 3 anni e 6 mesi) che patrimoniale, confiscando loro in Calabria ed in Lombardia 9 società, 220 beni immobili e . 22 rapporti finanziari, il tutto per un valore stimato pari a oltre 214 milioni di euro. Tale provvedimento rappresenta l’epilogo della complessa e articolata attività investigativa svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria - G.I.C.O. e dal Centro Operativo della D.I.A. di Reggio Calabria e che ha permesso di accertare, secondo gli inquirenti, un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato e il patrimonio a disposizione, direttamente o indirettamente, dei due imprenditori che, sebbene abbiano mantenuto nel tempo una facciata di rispettabilità, sono risultati essere, sostengono gli investigatori, contigui con esponenti della locale criminalità organizzata reggina tra cui quelli intranei alle cosche Tegano e Condello di Reggio Calabria, Alvaro di Sinopoli, Barbaro di Platì e Libri di Cannavò. A tal fine è stata estrapolata e acquisita copiosa documentazione - ufficiale e non - quale contratti di compravendita di beni mobili e immobili, di quote societarie, nonché atti di partecipazione e aggiudicazione di beni messi all’asta dal locale Tribunale fallimentare, atti notarili, scritture private ecc., necessari a ricostruire ogni singola operazione economica operata dai due imprenditori reggini e dai rispettivi nuclei familiari. Il materiale così acquisito è stato oggetto, quindi, di circostanziati approfondimenti, tesi a ricostruire, con dovizia di particolari, tutte le articolate operazioni societarie effettuate da Pietro Siclari e da Pasquale Rappoccio e dai rispettivi nuclei familiari, le quali, nel corso dell’ultimo ventennio, hanno determinato un arricchimento decisamente anomalo, se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati. Nel dettaglio:  Pietro Siclari, noto imprenditore nei settori edilizio, immobiliare e alberghiero, era stato tratto in arresto il 17 novembre 2010 dalla D.I.A. di Reggio Calabria per estorsione aggravata dall’art.7 L.203/91, nell’ambito dell’operazione denominata "Entourage", in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di 7 soggetti dal GIP di Reggio Calabria. Siclari,  in particolare, sulla scorta di quanto emerso nel corso delle indagini, avvalendosi anche della forza di intimidazione derivante dagli stretti rapporti con alcune delle cosche mafiose della provincia di Reggio Calabria, avrebbe minacciato di morte un prossimo congiunto di un suo dipendente e costretto quest’ultimo a formalizzare le proprie dimissioni dall’azienda rinunciando alla propria liquidazione. Tale episodio risale al mese di agosto 2006, quando, successivamente ad una rapina avvenuta il 4 dello stesso mese presso gli uffici della società "Siclari Antonino e figli sas", Siclari avrebbe cercato di sfruttare la conoscenza di noti esponenti della criminalità organizzata per individuare gli autori del delitto. Queste sue ricerche lo avrebbero condotto al presunto basista della rapina, figlio del proprio dipendente, nei cui confronti avrebbe poi attuato le ritorsioni estorsive. Tale fatto ha corroborato lo scenario tratteggiato dagli inquirenti, in cui è emersa, a loro parere, in modo inequivocabile la figura di  Pietro Siclari, imprenditore incline a voler gestire i propri affari avvalendosi della fitta rete di collegamenti con esponenti della criminalità organizzata con i quali, nel corso degli anni, avrebbe consolidato stretti  legami. La vicenda giudiziaria si è conclusa con la sentenza di condanna alla pena di otto anni di reclusione e 2.500 eurio di multa, emessa l'8 luglio 2013 dal Tribunale di Reggio Calabria. La Sezione Misure di Prevenzione, con riferimento agli accertamenti svolti dalla D.I.A., nell’odierno provvedimento ha così stigmatizzato la figura di Siclari: "non vi sono dubbi sulla pericolosità sociale del proposto in quanto indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta. Tale pericolosità, che certamente ha contrassegnato tutto il percorso di vita imprenditoriale del Siclari, deve ritenersi ancora attuale. …omissis…Ebbene, le risultanze in atti hanno dimostrato una contiguità funzionale del proposto ad importanti appartenenti delle cosche così profonda e soprattutto così risalente nel tempo che non vi è motivo di ritenere sia venuta meno con il mero decorso del tempo…..omissis…Il giudizio di persistente attualità della pericolosità sociale è, del resto, avvalorato dalla circostanza che, per tutta la durata del procedimento di prevenzione, il Siclari è stato agli arresti domiciliari avendo il giudice di merito con riferimento all’estorsione aggravata ritenuto ancora attuali le esigenze cautelari". Appare, altresì, particolarmente significativa la descrizione che il Tribunale - Sezione Misure di Prevenzione, traccia di una delle imprese riconducibili a Siclari, la “Siclari Antonino & figli sas": "Ritiene, infatti, il Collegio che l’impresa di cui ci si occupa sia pienamente inquadrabile nel genus della cosiddetta impresa mafiosa …[]…L’impresa che fa capo all’imprenditore colluso ha ad oggetto attività economiche lecite, è costituita da capitali leciti ma, al tempo stesso, utilizza per lo svolgimento della propria attività metodi di carattere mafioso e costituisce uno strumento di cui si serve l’organizzazione criminale per seguire le proprie finalità illecite. L’esercizio di attività di impresa con metodo mafioso non presuppone il diretto compimento di condotte minatorie e violente da parte della medesima impresa, ma che la stessa operi normalmente, cioè riceva richieste di lavori, sfruttando la forza intimidatrice dell’organizzazione mafiosa di riferimento, sulla base de patti stretti con essa. …[]…Le risultanze in atti conducono a ritenere che la Siclari Antonino & figli sas debba essere ricondotta a questa …[]…categoria: sussistono plurimi e convergenti elementi di fatto che consentono di sostenere che la sas, a prescindere dalla liceità o meno di parte delle risorse genetiche, si sia progressivamente ampliata e sia cresciuta fino a diventare la realtà economica fotografata dalle indagini solo grazie alla personale attività del proposto, unico e incontrastato dominus della stessa il quale è riuscito ad ottenere appalti del tutto al di fuori delle libere logiche concorrenziali attraverso lo sfruttamento delle proprie conoscenze. …[]…La collusione con la ‘ndrangheta ha permeato tutta la storia imprenditoriale del Siclari consentendo l’ascesa della sas dallo stesso gestita e al contempo alla ‘ndrangheta di esercitare il controllo sulle attività economiche della zona. Siclari Pietro, ben lungi dall’essere un imprenditore vittima del sistema, incarna il tipico esempio di imprenditore colluso, Pasquale Rappoccio, già presidente e proprietario della squadra di pallavolo femminile reggina "Medinex", militante nella massima serie (A1), nonché socio della "Piero Viola", prestigiosa società sportiva che ha vantato decenni di presenza nel massimo campionato di basket italiano - è un soggetto attualmente incensurato, ma che è, tuttavia, coinvolto in importanti procedimenti penali volti a contrastare lo sviluppo e la penetrazione delle potenti cosche di ‘ndrangheta negli ambienti imprenditoriali e finanziari reggini. Significativa, riferiscono coloro in quali si sono occupati dell'incheista sfociata nella confisca eseguita stamane, della vicinanza di Rappoccio ad ambienti criminali di elevato spessore è la circostanza riferita da un collaboratore di giustizia secondo la quale, in occasione del matrimonio di una delle figlie di Giovanni Tegano, lo stesso era stato invitato e aveva partecipato al banchetto riservato a pochi intimi organizzato dal cognato dell'imprenditore,  Paolo Siciliano. Ciò in quanto Rappoccio era ritenuto dalla cosca TEGANO un personaggio meritevole di considerazione e, quindi, degno di prendere parte a dei festeggiamenti carichi di significato simbolico all’interno della cultura che contraddistingue gli ambienti mafiosi. Altresì, è stato documentato, fanno sapere gli inquirenti, un articolato e quanto mai variegato quadro indiziario, da cui sono emersi reiterati contatti di Pasquale Rappoccio con altri esponenti di spicco della locale criminalità comune e organizzata. Diverse sono le iniziative imprenditoriali che lo vedono coinvolto con esponenti di spicco della 'ndrangheta, tra le quali si evidenziano, a titolo esemplificativo, le cointeressenze societarie nel lussuosissimo "Grand Hotel de la Ville" e nel "Piccolo Hotel s.r.l.". Inoltre, Rappoccio, come emerge nell’ambito del procedimento "Reggio Nord", sarebbe tra gli ideatori e suggeritori del meccanismo formale atto a schermare l’operazione di acquisto da parte della cosca Condello della lucrosa attività commerciale "Il Limoneto" - storico locale di riferimento della movida reggina e palcoscenico della "Reggio bene" - nel più ampio complesso immobiliare comprensivo di villaggio turistico acquistato tra il 2005 e il 2007 dalla "Welcome Investiments Italia s.r.l.", società partecipata da Rappoccio e, in maniera occulta, da Pietro Siclari In esecuzione del Decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria è stato confiscato il seguente patrimonio:

Pietro Siclari

intero patrimonio aziendale della Siclari ntonino & Figli S.a.s. con sede legale a Reggio Calabria, via del Gelsomino nr. 45 (Partita Iva: 00977190800);

33% delle quote societarie della Gruppo Gestioni Sanitarie S.r.l., con sede legale a Reggio Calabria, via del Gelsomino nr. 45 (Partita Iva

02109400800);

24,77% delle quote societarie della Gesam S.p.A. (grandi esercizi - servizi alberghieri e mense S.p.A.), con sede legale aVilla San Giovanni, via Umberto Zanotti Bianco nr. 9 (Partita Iva 01150860805), società proprietaria del prestigioso "Grand Hotel de la Ville" 4* Sup. di Villa San Giovanni;

28,85% delle quote societarie della Piccolo Hotel S.r.l., con sede legale a Villa San Giovanni, Piazza Stazione nr. 1 (Partita Iva 00105490809). La Piccolo Hotel S.r.l. è proprietaria del noto complesso alberghiero "Plaza Hotel Comfort" di Villa San Giovanni;

15% delle quote societarie della Otto S.r.l., con sede a Reggio Calabria, via Aspromonte nr. 38 (Partita Iva 00739190809);

50% delle quote societarie della Welcome Investments italia S.r.l., con sede legale a Reggio Calabria, via del Gelsomino nr. 45 (Partita Iva 80119590588). La Welcome Investments Italia S.r.l. detiene l’80% delle quote della Jonio Blu S.r.l., proprietaria del complesso alberghiero Villaggio Jonio Blu" di Bianco, in provincia di Reggio Calabria;

206 beni immobili, tra villette, appartamenti di pregio, autorimesse e terreni intestati a Siclari  ed alle società allo stesso riconducibili;

16 rapporti finanziari per oltre 1.600.000,00 euro.

Pasquale Rappoccio 

89% delle quote societarie della Nuovo Basket Viola Reggio 98  S.r.l., con sede legale a Reggio Calabria via Pio XI nr. 337 (Partita Iva 01510330804);

67% delle quote societarie della Gruppo Gestioni Societarie S.r.l., con sede legale a Reggio Calabria, via del Gelsomino nr. 45 (Partita Iva

02109400800);

40% delle quote societarie della Icras S.r.l., con sede legale a Reggio Calabria, via Reggio Campi nr. 30 - Rione A (Partita Iva 06042361003);

34% delle quote societarie della Icarus S.r.l., con sede legale a Milano, via Luigi Anelli nr. 2 (Partita Iva 05953030961);

26% delle quote societarie della Gesam S.p.A. (grandi esercizi - servizi alberghieri e mense S.p.A.), con sede legale a Villa San Giovanni, via Umberto Zanotti Bianco nr. 9 (Partita Iva 01150860805), società proprietaria del prestigioso "Grand Hotel de la Ville" 4* Sup. di Villa San Giovanni;

28,86% delle quote societarie della Piccolo Hotel S.r.l., con sede legale a Villa San Giovanni, Piazza Stazione nr. 1 (Partita Iva 00105490809). La Piccolo Hotel  S.r.l. è proprietaria del noto complesso alberghiero "Plaza Hotel Comfort" di Villa San Giovanni;

50% delle quote societarie della Welcome Investments Italia S.r.l., con sede legale a Reggio Calabria, via del Gelsomino nr. 45 (Partita Iva

80119590588). La Welcome Investments Italia S.r.l. detiene l’80% delle quote della Jonio Blu S.r.l., proprietaria del complesso alberghiero "Villaggio Jonio Blu" di Bianco;

14 beni immobili siti nella Provincia di Reggio Calabria e Milano;

6 rapporti finanziari per oltre 72.000,00 euro.

Conclusivamente il Comando Provinciale della Guardia di Finanza e la D.I.A. di Reggio Calabria hanno proceduto all’esecuzione nei confronti dei due

imprenditori reggini di una misura di prevenzione sia personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza della durata di anni 3 e mesi 6) che patrimoniale confiscando loro 9 società, 220 immobili e 22 rapporti finanziari, il tutto per un valore stimato pari a oltre 214 milioni di euro.

 

  • Published in Cronaca

'Ndrangheta, confiscati beni per 214 milioni di euro a due imprenditori

Gli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, unitamente a quelli del Centro Operativo D.I.A. di Reggio Calabria, con il coordinamento della locale Procura della Repubblica, hanno eseguito un provvedimento di confisca, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale, che ha riguardato un ingente patrimonio, riconducibile a due noti imprenditori reggini, ritenuti contigui ad esponenti della ‘ndrangheta legati alle cosche Tegano e Conedello di Reggio Calabria, Alvaro di Sinopoli, Barbaro di Platì e Libri di Cannavò, del valore complessivo stimato di oltre 214 milioni di euro. A seguito di una mirata attività investigativa e di analisi economico-finanziaria, gli uomini della Guardia di Finanza e della D.I.A. ritengono di aver accertato una palese sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato ed i redditi dichiarati dai soggetti investigati, tale da non giustificarne la legittima provenienza. Complessivamente sono stati confiscati, in Calabria e Lombardia, 220 beni immobili, tra appartamenti, ville e terreni, 9 società e 22 rapporti finanziari. Irrogate anche le misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale nei confronti dei due imprenditori. I dettagli dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 11.00 presso gli Uffici della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, alla presenza del Procuratore Capo Cafiero de Raho.

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