L'Impero romano e la Trasversale delle Serre

 La squallida vicenda della sedicente Superstrada delle Serre è iniziata con chiacchiere degli anni 1960; è andata avanti con bufale fino agli anni 1995, è stata ridicolizzata dall’ignobile secondo svincolo di Argusto (abitanti 300, quasi tutti vecchi, due accessi non si sa a che); è oggi sotto gli occhi del mondo.  Altri tempi, quelli dell’Impero Romano. Guardate, guardate bene questa cartina stradale, la Tabula Peutingeriana, detta anche Orbis pictus, nella parte che ci riguarda. Non badate alla forma geografica, che è approssimativa, ma solo al tracciato stradale. Una via, purtroppo per noi anonima, collegava lo Ionio e il Tirreno, partendo da Castra Hannibalis e finendo a Vibo Valentia.  Castra Hannibalis, l’Accampamento di Annibale, nacque dall’ultima avventura del Cartaginese in Italia, quando, ormai respinto da ogni speranza di vittoria, si ritirò nel Bruzio; probabilmente stava tra Cropani e Isola C. R. di oggi. Nel 202, richiamato in Africa, Annibale lasciò l’Italia per essere battuto a Zama; e il suo vasto insediamento divenne una città romana, di cui abbiamo notizie fino al VII secolo d.C. Dopo 36 miglia, ecco Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium, oggi l’area archeologica di Roccelletta; quindi il punto d’arrivo: la greca Hipponion, bruzia Veipunium, romana Vibo Colonia Valentia. Scolacium e Vibo sono, si spera, ben note. È il caso di chiedersi cosa ci fosse lungo la strada. È probabile che, dopo Scolacium, la strada salisse lungo l’Alessi e il Monte Moscio: qualche traccia potrebbe intravedersi a Stalettì. Dalla Paladina (nome che, prima di evocare leggende medioevali, significa “Palatia”, modo usuale nel Medioevo per indicare edifici romani), la strada seguiva quella della già statale, oggi provinciale, da Palermiti a S. Vito e Chiaravalle – Cardinale; per salire al Cucco, e scendere fino ad Aquae Angiae, l’Angitola; e da lì innestarsi con la Popilia. Ogni 25 miglia circa era posta una “statio”, sosta per rifornimenti e cambi di animali. Quanto ai fiumi e torrenti, è probabile si guadassero con ponti mobili, come si usò fino al XIX secolo.  Servirebbe ora un’indagine su due piani: quella linguistica, se rimangono toponimi particolari (ricordo il sentiero di Olivadi detto “u Veteru”); o qualche resto materiale. Ricostruiremmo così la storia della nostra terra tra il II secolo a.C. e almeno l’età di Cassiodoro. Intanto scopriamo che, a differenza di oggi, quando i Romani decidevano una Trasversale, la facevano.

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La fortezza di Oliverio espugnata da Scura con il metodo Vauban

Tranquilli, non è Vauban un primario genuino o fasullo, e nemmeno un immigrato felicemente accasatosi a Riace, bensì Sébastien Le Prestre de Vauban, maresciallo di Francia di Luigi XIV, e nato nel 1633. Dite voi: e che c’entra con Oliverio e Scura? Ora ve lo spiego.  Sébastien era un ingegnere militare, e, in questa veste, studiò scientificamente le tecniche dell’assedio di una fortezza; quindi con precisione aritmetica calcolò quanto potesse resistere ogni singolo edificio. In base a questa dottrina, al comandante del forte assalito toccava resistere, poniamo, tre mesi, e in quei tre mesi compiere il suo dovere agli occhi dei superiori e del re; dopo di che si poteva arrendere senza che tale atto suonasse disonore o macchiasse la sua carriera. Si chiamavano, perciò, gli assedi alla Vauban. Cominciate a capire? Scura è l’assediante, inviato da Renzi; Oliverio e la Regione Calabria sono la fortezza assediata. Scura ha un’immane superiorità di artiglierie, truppe, rifornimenti, munizioni eccetera; la fortezza Oliverio è piccola e povera, scarsa di mezzi, e, soprattutto, scarsissima di capacità. Peggio – ma questo Vauban, uomo serio, non lo valutava – ci sono all’interno diversi Antenore e Gano disposti per uno stipendio a vendere la mamma. Insomma, Vauban sarebbe stato chiaro: generale Oliverio, resisti quanto puoi, poi arrenditi e tanti saluti. Così è capitato in Consiglio regionale: Oliverio e dintorni hanno dichiarato guerra a Scura, chiedendone la testa, però solo dopo il 2018! A morte, a morte; però, con molta calma. Quanto al Governo, che è del PD, il PD calabrese gliele canta chiare: trattiamo sul piano di rientro, mica c’è fretta! Sempre dopo il 2018. Insomma, Oliverio ha resistito alla Vauban, poi, sempre alla Vauban, ha sventolato bandiera bianca spacciate per rossa. Ai suoi potrà far credere che ha combattuto e combatterà; e intanto Scura farà quello che deve, cominciando con l’occupare allegramente la fortezza caduta. Sébastien de Vauban, dal cielo dei guerrieri dove trionfa dal 1707, sorride soddisfatto di averne indovinata una anche nel 2016.

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La Calabria e gli antichi riti della Settimana Santa

“Gli Italiani sono anagraficamente cattolici ma in realtà, secondo alcune indagini sociologiche, coloro che credono e praticano la fede sono soltanto una minoranza” (P. B. Sorge). Ma a Pasqua il discorso cambia radicalmente perché d’improvviso l’Italia scettica e letargica si risveglia e si scopre religiosa e la sua fede si mescola tra il sacro e il profano, tra processioni cariche di devozione passionale e scampagnate fuori porta con tanto di soppressata e videocamera. Il tutto ha per palcoscenico le rappresentazioni di chiesa o di piazza della “passione” o dei “misteri” che fanno lievitare il turismo primaverile per la gioia dei tanti operatori turistici: insomma un week-end tra sacro e profano. Se ne contano a centinaia, a migliaia in tutta Italia ed in particolare nella nostra Calabria. È celebre in tutto il mondo “lo scoppio del carro” sul sagrato della cattedrale di Firenze la mattina della domenica di Pasqua che fa scoppiare un carro in un tripudio di botti e fuochi da una colombina dotata di ramo di ulivo che scorre su un cavo proveniente dall’altare maggiore: i Fiorentini ne traggono un auspicio per l’anno in corso. Più a sud, a Taranto, è conosciuta la processione dei “Misteri”, che ricorda la Settimana Santa di Siviglia, iniziata nel 1764 e voluta da Don Diego Calò membro di una famiglia tarantina. I “Misteri” sono “fedeli” con tunica bianca, corone di spine sul capo, bastone e piedi nudi che cominciano a sfilare già dalla Domenica delle Palme. La Calabria, che è una regione povera di tante altre cose, è ricchissima di  tradizioni e, nello specifico, ogni paese, anche sperduto e lontano dalle grandi vie di comunicazione, è custode di una qualche sacra rappresentazione pasquale. Iniziamo anche noi  l’itinerario pasquale per stimolare la voglia di viaggiare e conoscere sì ma soprattutto lievitare lo stare costantemente in rapporto con Cristo per rispondere alle esigenze che ci provengono dai “drammi dei nuovi poveri e degli emarginati” (P. Sorge). Sono famose le “passioni” e le “pigghiate” di  Laino, Borgia, Luzzi e Tiriolo; le processioni del venerdì santo: quella dei Misteri di Sambiase con le cinque statue che rappresentano Gesù nell’orto, alla colonna, coronato di spine, che porta la croce e crocifisso; la processione del Cristo morto con l’Addolorata a Nicastro; la “schiovazzioni” a Serra San Bruno. Per il sabato santo: la processione, fino al calvario e attraverso le quattro grandi chiese, dell’artistica “naca”, sempre a Serra San Bruno col Cristo morto adagiato su un letto adornato di centinaia di fiori ed angeli di pregevole fattura artistica, l’Addolorata, la Maddalena e San Giovanni; il “Caracolo” a Caulonia che vuole essere una commemorazione statuaria della Passione e che affonda le sue radici nel lontano 1640; a Luzzi il famoso “incanto dell’Addolorata” di origine spagnola. Ma assieme al culto della morte c’è bisogno della riaffermazione della vita, un bisogno di resurrezione che si manifesta, la domenica di Pasqua, con le “Affruntate” o “Cunfrunte”(Vibo V. Arena, Dasà, Soriano, Mileto e altrove) dove il Cristo Risorto si “incontra” con Maria e San Giovanni nella piazza centrale dopo una corsa veloce dei fedeli che innalzano canti di gioia al ritorno della vita; la “Svelata” di Caulonia che scopre, “svela” appunto il Risorto. Sono tutti riti organizzati da antiche confraternite religiose e laicali che vogliono perpetuare il culto della morte e del dolore come temi centrali che pervadono la vita sociale degli uomini. Di carattere folclorico e scenico oltre che carichi di dimensione penitenziale sono gli ormai più che famosi “Vattienti”( battenti) di Nocera Torinese, in cui non risalta la parola ma il gesto: la flagellazione. I “Vattienti”, con lo strumento del loro martirio che consiste in un pezzo di sughero detto “cardo” ripieno di frammenti di vetro, il venerdì santo, in processione, scalzi e sul capo una corona di spine, si battono alle gambe fino a farsi sangue.” Simili cerimonie, pur essendo aride, stanno a designare l’amore saldo per un passato ancestrale, a cui i Calabresi, in genere, si sentono legati ed in cui risiede la personalità, la forza, l’anima del nostro popolo” (R. Ranieri). Sono comunque tutte originate dalla cultura medievale e soprattutto da quella spagnola pervasa delle dottrine tridentine e finalizzate a “promuovere penitenza e conversioni”(G. Scafuro). Lo stesso entusiasmo si raggiunge in alcune località grecaniche dell’Aspromonte ( Bova, Roghudi, Condofuri, Gallicianò, San Lorenzo, Roccaforte del Greco) dove “ja na vaddune olii sti lampa ti glossa ma na mi sbia”, (vogliono alimentare la lucerna con l’olio perché la loro lingua non si spenga mai). Se poi si vuole un ricco corredo di teatralità bizantina allora bisogna soggiornare tutta la Settimana Santa tra Bivongi, Pazzano e Stilo. Nella terra di Tommaso Campanella, tra gli altri riti, da poco ripristinata, la “peregrinatio” medievale dei venerdì di marzo fino alla domenica delle Palme: si tratta di un corteo penitente che dovrà portarsi al pianoro del monte Consolino e del castello normanno ove è collocata “ a santa cruci” costruita con materiali poveri e motivo di raccoglimento e di preghiera. Anche la provincia crotonese offre le sue manifestazioni pasquali, basta fermarsi: alla “naca” di Cutro che richiama alla mente la sofferenza, la passione e la pietas che emanano dal suo famosissimo Crocifisso seicentesco di Fra’ Umile da Petraia; a Petilia Policastro il “Calvario” lunga e tortuosa processione che, il 2° venerdì di marzo, dal centro abitato si snoda fino al santuario della Sacra Spina posto su in montagna; alla visita ai “Sepolcri del Giovedì Santo” attraverso le antiche chiese del centro storico di Crotone; ai riti arbresche dell’Alto Crotonese (San Nicola dell’Alto, Carfizzi e Pallagorio) e rimanendo alla cultura italoalbanese uno sguardo lo si può dare alla cinquecentesca ballata della “Vallja” di Civita (CS), celebrata anche dallo scrittore carfizzoto Carmine Abate. Allora andiamo pure a curiosare sull’espressione popolare del grande martirio della storia umana che è il sacrificio di Cristo ma facciamo emergere spunti di riflessione che si trasmettano nella quotidianità: il sacrificio di Cristo non sia stato inutile ma compensato con l’essere veri cristiani.

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“iHappy 2015”: Crotone, Vibo e Cosenza fra le province più “tristi” d’Italia. Bene Reggio

Si pone sotto la media (13^) la Calabria nella speciale graduatoria elaborata da Twitter, che “attraverso l’analisi del contenuto emotivo dei milioni di tweet pubblicati quotidianamente nelle 110 provincie italiane stila ogni anno la graduatoria delle città più felici”. Il “termometro della felicità” si chiama “iHappy” e, per l’anno 2015, ha misurato un valore medio su scala nazionale di 53,4 punti su 100 (Calabria 51,7%). Questo, secondo gli esperti che hanno contributo alla realizzazione dello studio, significa che “la felicità ha prevalso, seppur di poco, sulla tristezza”. La provincia calabrese più “positiva” è risultata Reggio Calabria (20^, ma in calo), seguita da Catanzaro (48^). In coda c’è Crotone (106), male anche Vibo Valentia (69^) e Cosenza (77^).

Ennesima scossa di terremoto in Calabria

Un terremoto di magnitudo 2.8 è stato registrato dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia al largo della costa tirrenica compresa tra Diamante e Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza. La scossa è stata rilevata all'1,24 di questa notte ad una profondità di 280 chilometri. Le coordinate geografiche del punto in cui ha avuto luogo l'epicentro sono le seguenti latitudine 39.61, longitudine 15.71.

Almeno la Chiesa fa qualcosa per san Francesco di Paola

La Chiesa calabrese festeggerà san Francesco, e intanto usa la figura del Paolano per una lettera pastorale sulla corruzione. Una notizia, nel buio di tutto il resto tranne il libro di Pino Caridi; ecco l’elenco degli inetti a tale proposito:

-          Facoltà di Lettere dell’UNICAL, evidentemente troppo occupata a insegnare Pedagogia della resistenza: non scherzo, è vero!

-          Regione Calabria, troppo occupata a litigare con Sgura che toglie a Oliverio i primari! Del resto, non c’è manco un assessore alla cultura, anzi, non c’è cultura.

-          Province, Comuni… omissis;

-          Intellettuali, troppo impegnati a combattere la mafia segue cena, e che cene! Speriamo di sapere qualcosa dalla Guardia di Finanza!

-          Varie ed eventuali.

 Mi cadono le braccia, anche perché io questi feroci rimproveri li faccio per iscritto e per tv, e nessuno può dire di non saperlo. L’Università e la Regione di Alto Profilo, eccetera, ricorrono al modo più infantile: non rispondono. Che san Francesco di Paola li perdoni! Ma spero di no.

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Scura, i primari e la sanità calabrese

 Afferma il commissario Scura che in Calabria si contano oltre 80 (ottanta) primari che non hanno i titoli per essere tali, che non sono primari, che non hanno vinto alcun concorso, ma sono stati nominati da Questo o da Quello. Qui delle due è l’una:

  • -          o Scura mente, o quanto meno è male informato; e allora gli 80 suddetti esibiscano i loro titoli, poi lo querelino per calunnia;
  • -          o Scura ha ragione, e allora gli 80, o, tra gli 80, gli sforniti di titoli devono scendere dal piedistallo e tornare a fare il medico semplice; e nessuna persona seria deve sprecare il suo tempo a difendere l’abuso.

 Tertium non datur, diciamo noi dotti. È facile, ragazzi. Quando io ero in servizio, se qualcuno avesse voluto conoscere la mia posizione, io avrei esibito laurea, cinque abilitazioni, l’immissione in ruolo, detta poi t. i. Se un medico occupa un posto di primario e ne ha i titoli, lo dimostri; se no, a casa… no, peggio, in corsia.  Ora diciamo qualcosa della sanità in Calabria, gran carrozzone pieno di buchi e di privilegiati, e immane voragine in cui precipita il pubblico denaro. La soluzione? Semplicissima, la soluzione: conservare quelle strutture che servono, dismettere d’urgenza il superfluo. Per questo obiettivo vale la pena di proporre, e, se serve, agitarsi; per i comodi di falsi primari, non sono disponibile a una cicca fumata. Lo stesso per passacarte e roba del genere. Intanto Oliverio e la sua Giunta di Alto Profilo non fanno un bel niente di niente se non lamentarsi di Scura. Scura, che ha dietro di sé Renzi, dei loro piagnistei e dei primari clandestini se ne frega!

 

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La Calabria senza cultura dimentica pure san Francesco di Paola

Spigolando sui giornali abbiamo scoperto che, alla data di oggi 8 marzo, sono in atto i seguenti provvedimenti per ricordare il centenario di san Francesco di Paola: libro di Pino Caridi, festa patronale a Fossato Serralta, monologo teatrale a Paola medesima, mostra a Soriano. Fine della trasmissione. Tutto il resto della Calabria, silenzio come cimiteri di notte. La Facoltà di Lettere dell’UNICAL, che pure si onora di un corso di laurea di Pedagogia della resistenza e di uno di Spionaggio (non scherzo, è proprio così!) non ha trovato un momento per la bisogna. Ma ho nominato un libro… fermi tutti, Caridi insegna a Messina. La Regione Calabria… del resto non c’è manco un disgraziato di assessore alla cultura, anzi, con tutta evidenza, non c’è cultura; e i tentativi seri di farne sono finiti a Lilì Marlene. Alla Regione Calabria, al suo presidente Oliverio e alla Giunta Di Alto Profilo (maiuscolo anche Di) importa solo che Sgura abbia tolto loro ben 52 amici da sistemare per primari veri o fasulli. Tutti gli altri Enti vari, province e comuni eccetera, si girano i pollici. Lo stesso per gli operatori turistici. Spero faccia qualcosa la Chiesa. Cosa c’entrano gli operatori turistici? Eh, se c’entrano! Il Paolano fu per secoli il santo della Francia e della Spagna, e ancora oggi in Germania bevono la Paulaner. Era il patrono del Regno di Napoli. I principi Borbone in Italia e Spagna si chiamavano al battesimo Francesco di Paola… Scusate se è poco. Dite, ma ve fai un argomento di vil denaro per flussi di pellegrini e turisti? Anche, in una terra alla strafame. Ma ne faccio anche una questione culturale: come ricostruire quell’interessante periodo della seconda metà del XV secolo, che vide l’estremo bagliore della civiltà medioevale e i primi segni della rinascimentale, e che Huizinga chiama l’autunno del Medioevo; con sussulti politici in Calabria, la rivolta del 1459; la crescita delle istituzioni comunali; lo sviluppo della seta; e, come sempre nei momenti di progresso, problemi sociali cui Francesco prestò attenzione; e respiro internazionale… e quella figura che mi è cara, Nicolò Picardo il guerriero caduto a Otranto, l’amico del santo: Cicco e Cola. Scusate se è poco. Ma siamo in Calabria, e qui vanno solo libri e film di morti ammazzati con sottotitoli. E passa anche il 2016 senza uno straccio di saper cogliere l’occasione.

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