Tradito dal coronavirus e dalla sigaretta, latitante catturato in Calabria

È stato tradito dalle nuove norme varate per contrastare il coronavirus e dal vizio della sigaretta.

Sono state proprio le prescrizioni previste dalle norme emergenziali dettate dal governo, a fornire agli investigatori dell'Arma, l’ultimo tassello necessario ad incastrare il latitante Cesare Cordì, di 42 anni.

In particolare, a permettere agli uomini dell'Arma d'individuare Cordì, è stato il comportamento di un fiancheggiatore andato a consegnare “la spesa”, in violazione delle misure governative, in una casa che avrebbe dovuto essere disabitata.

È bastato poi il flebile bagliore di una sigaretta – carpito dalla fessura di una tapparella – per dare la certezza ai carabinieri che, in quella casa in contrada Monica di Bruzzano Zeffirio, ci fosse il ricercato sulle cui tracce erano ormai da giorni.

I militari delle Compagnie di Bianco e Locri e dello Squadrone eliportato “Cacciatori”, hanno quindi messo in campo un'azione fulminea che non ha concesso la minima possibilità alla fuga, già organizzata attraverso un ingresso secondario, al figlio di Antonio “U ragiuneri”, il quale si era reso irreperibile in occasione dell’esecuzione dell’operazione “Riscatto” effettuata nell'agosto del 2019 dagli uomini della Compagnia di Locri.

L'attività investigativa, aveva consentito ai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica reggina, di assestare un durissimo colpo alla storica cosca locrese dei “Cordì”, ai cui sodali furono contestati, a vario titolo, i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto in luogo pubblico di armi, con l’aggravante di aver agito per favorire gli interessi della ‘ndrangheta.

In particolare, al termine delle indagini, a carico di Cesare Cordì è stato emesso un provvedimento di custodia carceraria, per trasferimento fraudolento di valori, aggravato perché commesso al fine di agevolare l’associazione mafiosa.

 Per gli inquirenti, Cordì, al fine di eludere le disposizioni di legge sulle misure di prevenzione patrimoniali, avrebbe attribuito alla moglie, la titolarità formale di un negozio di Ardore.

Sono in corso le indagini per ricostruire la rete di persone che ha favorito la latitanza del 42enne, ritenuto esponente di spicco della ‘ndrangheta di Locri. 

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