L'ex sindaco Arena tuona: "E' lo Stato a rafforzare la mafia"

Come preannunciato dal premier Renzi in tempi “sospetti” (prima ancora di avere contezza  dalle indagini e dalle relazioni) il Comune di Roma, fortunatamente per il nostro Paese, non è stato commissariato per infiltrazioni mafiose".  Una considerazione, questa, che rappresenta l'avvio di una lunga riflessione di Demetrio Arena, sindaco di Reggio Calabria dal 21 maggio 2011 al 9 ottobre 2012, esperienza chiusasi con lo scioglimento del Consiglio Comunale della città dello Stretto. "La Ragion di Stato - sostiene l'ex capo dell'Esecutivo reggino - ha prevalso sull’applicazione di una legge iniqua oltre che inutile, quella ragion di Stato che quando si è trattato di giudicare il caso Reggio Calabria ha scelto invece di mandare a casa un’Amministrazione democraticamente eletta da pochissimi mesi, sulla base dell’innovativo quanto suggestivo concetto di "contiguità". Nel caso di Roma la procedura è nata da un indagine della magistratura che è stata superata dalla volontà del Governo Renzi di salvare l’Amministrazione capitolina amica, evitando un danno insanabile per il nostro Paese. Per Reggio, invece, tutto è partito dall'“input” di un ben noto ambito politico,  che ha trovato  sponda nel governo tecnico più inadeguato della storia della Repubblica e si è consumato nelle stanze delle più alte cariche dello Stato. L’allora ministro Cancellieri, nel corso della sua confusa e contraddittoria conferenza stampa, disse candidamente che con lo scioglimento del Comune di Reggio il Governo voleva dare un messaggio al mondo intero: che l’Italia era consapevole del problema della mafia e che intendeva risolverlo con determinazione. In entrambi i casi, comunque, la Ragion di Stato ha visto come esecutori materiali le “lobby ministeriali”, i "servitori dello Stato", quegli ineffabili e benestanti "mandarini" al servizio del ministro di turno, affetti da una malattia incurabile: “il carrierismo”. Una “ulteriore analogia” riguarda la volontà politica, quella per intenderci con la p minuscola: l’Amministrazione capitolina ha trovato la pesante tutela del partito di maggioranza relativa del Governo, il PD, che è sceso in campo con determinazione, sfruttando i più efficaci  canali istituzionali e mediatici, per difendere una strategica postazione di potere; di contro, Reggio non solo non ha avuto alcuna tutela politica  da parte di una coalizione e di un partito, in quel momento in avanzato stato di liquefazione, ma ha anche trovato il fuoco amico di ben noti personaggi che hanno affossato la città, in quanto preoccupati unicamente di arginare l’escalation nazionale dell’allora Governatore della Calabria". "Del resto - evidenzia Demetrio Arena - il silenzio sulla vicenda di Mafia Capitale dei parlamentari calabresi e reggini continua ad essere  assordante, oltre che eloquente della loro dimensione intellettuale e politica.  Ma "analogia" a parte, in un Paese normale la decisione presa dal Consiglio dei Ministri dopo lo scandalo “Mafia Capitale”, imporrebbe una serie di adeguate valutazioni politiche e sociali. La prima è che l’Italia non è uno  Stato  di diritto, ma ha assunto, ormai da qualche decennio, i connotati di  uno Stato autoritario che viola la legge, nega i fondamentali diritti  costituzionali dei cittadini, ponendo in essere  trattamenti iniqui  nei diversi territori del Paese. Per quanto emerso dalle relazioni della Commissione e dall’azione della magistratura, a norma di legge il Consiglio comunale di Roma andava sciolto per via d’urgenza, senza indugi e senza alchimie politiche. Per molto, ma molto meno, qualsiasi comune del Meridione, sarebbe stato commissariato: a prescindere! Aver voluto trovare una scorciatoia lasciando in piedi una norma i cui effetti distorsivi sono stati denunciati unanimemente  a tutti i livelli (politici, giudiziari ed istituzionali) sancisce un principio ben preciso: lasciare che una materia cosi importante come il contrasto alle mafie continui ad essere utilizzata come strumento di contrapposizione politica". "Significa continuare a perpetrare quell’antimafia di facciata che - sottolinea l'ex sindaco di Reggio Calabria - serve a costruire carriere politiche e  a mantenere in vita organismi utili solo alla lottizzazione del potere.  Detto questo è evidente come, a fronte di atteggiamenti palesemente  iniqui, sia venuta meno  la credibilità nello  Stato e nelle  Istituzioni, specie  in quei territori che per decenni hanno sentito forte il peso dell’abbandono e dell'isolamento.  Ma l'effetto più grave è che quello che  tutto ciò determina: il rafforzamento della mafia soprattutto in termini di consenso e di controllo del territorio, che costituiscono i pilastri su cui si fonda il potere criminale. Uno Stato che, utilizzando due pesi e due misure,  criminalizza  intere comunità, privandole di ogni possibilità di sviluppo e di ogni  speranza, ha determinato  la  desertificazione che affligge la nostra regione e che si fonda su quel particolare stato psicologico  ben rappresentato da Corrado Alvaro “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”.

 

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