Generazione Famiglia Reggio aderisce al family day contro ddl Cirinnà e utero in affitto

"Finalmente è ufficiale: il popolo per la famiglia - annuncia Giorgio Arconte, portavoce del circolo 'Generazione Famiglia' di Reggio Calabria - torna in piazza dopo il successo dell’oceanico family day del 20 giugno scorso! In una nota del 'Comitato Difendiamo i Nostri Figli' – al quale aderisce anche Generazione Famiglia – si legge che 'dopo un grande lavoro preparatorio, possiamo comunicare ufficialmente la data della nuova mobilitazione: sabato 30 gennaio si terrà a Roma una grande manifestazione di popolo a difesa della famiglia e del diritto dei bambini ad avere una mamma ed un papà. Il raduno è fissato perle ore 11.30'. Nelle prossime ore daremo informazioni su come intendiamo organizzarci insieme alle altre associazioni pro-family presenti sul territorio reggino per raggiungere Roma e partecipare a questa rinnovata festa per la famiglia. Sarà un appuntamento importante per ribadire che gli uteri non si affittano, che la donna non è una macchina, che i bambini non sono merce e che l’unica famiglia è quella potenzialmente aperta alla vita fondata sul matrimonio fra uomo e donna". Il ddl Cirinnà, invece, è un vero e proprio matrimonio gay sotto le mentite spoglie della dicitura 'unione civile' perché di fatto - argomenta Arconte - crea uno status giuridico di coniuge alla coppia convivente. Questo significa anche intervenire sui naturali rapporti di filiazione aprendo la strada alle adozioni gay ed alla barbarie dell’utero in affitto. Gli stessi promotori di questa iniqua legge non hanno mai fatto mistero delle loro reali intenzioni e per questo più volte hanno dichiarato che l’articolo 5, dove è prevista la 'stepchild adoption', è il nucleo del ddl Cirinnà". "Da Reggio Calabria - rende noto il portavoce reggino di Generazione Famiglia - siamo pronti ad invadere Roma per dimostrare all’attuale governo che l’unica civiltà è quella fondata su una mamma ed un papà!" 

 

Reggio, Generazione Famiglia rimarca il fallimento del registro comunale delle unioni civili

"Benché all’interno di Palazzo San Giorgio qualcuno timidamente cerchi ancora di difendere il registro comunale delle unioni civili, questo resta un fallimento sul piano della realtà! Ne avevamo già dato evidenza a fine luglio quando, a due mesi dalla sua approvazione, ancora nessuno si era iscritto, né gli uffici - evidenzia Giorgio Arconte, portavoce del Circolo 'Generazione Famiglia' di Reggio Calabria - erano pronti a registrare eventuali richiedenti. Oggi, ad otto mesi dall’istituzione di tale registro, un articolo della Gazzetta del Sud apparso in data 7 gennaio, dimostra come la situazione non sia affatto cambiata. Questo in barba alla fretta con la quale l’Amministrazione ha voluto approvare un registro senza dare alcun reale credito al dibattito animato in città ed all’interno della Commissione Regolamenti, ma soprattutto senza avere la legittimità di tale provvedimento. Come abbiamo più volte denunciato, i Comuni non hanno alcuna sovranità in materia di diritto familiare e, di fatto, questi registri restano mera carta, spesso bianca considerato il numero di iscritti irrilevante in tutta Italia". Nessun diritto, infatti, può essere garantito - ricorda Arconte - tramite la sottoscrizione di questi registri illegali, mentre tutti i diritti per una coppia di conviventi non sposati, anche dello stesso sesso, sono già garantiti dal nostro ordinamento giuridico. Come abbiamo dato evidenza in un nostro convegno dell’8 maggio con il magistrato Alfredo Mantovano, le coppie non coniugate non hanno accesso solo alla quota legittima di successione ed alla pensione di reversibilità. Un dibattito serio sui diritti si concentrerebbe solo su queste questioni e non su un tentativo ideologico di rottamazione della famiglia mascherato da belle intenzioni. L’Italia occupa gli ultimi posti in tutte le classifiche per le politiche familiari, difesa della maternità, lavoro femminile, asili nidi, disoccupazione giovanile eppure le uniche preoccupazioni di una certa classe politica restano le unioni civili. Questa è una vera e propria truffa a danno delle famiglie! Una truffa che continueremo a denunciare e contro la quale abbiamo già organizzato un nuovo evento previsto ad inizio febbraio insieme all’avvocato Simone Pillon, membro del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, ed al senatore Nico D’Ascola, avvocato penalista e docente presso l’Università Mediterranea". "In continuità con il popolo della famiglia - rivendica infine il portavoce reggino di 'Generazione Famiglia' - che si è riunito il 20 giugno scorso a Roma in piazza San Giovanni con oltre un milione di presenze, e che presto tornerà a riempire le piazze contro le unioni civili di Renzi, saremo a ribadire che l’unica vera civiltà sono una mamma ed un papà!

Generazione Famiglia contro "la barbarie dell’utero in affitto"

"Gli uteri non si affittano! I figli non si comprano!" è il messaggio sulle locandine affisse in tutta la città dal circolo reggino di Generazione Famiglia per "denunciare - si legge in una nota trasmessa dal portavoce Giorgio Arconte - la barbarie dell’utero in affitto. Secondo alcuni, l’uso del termine 'utero in affitto' sarebbe offensivo e da sostituire con i preferiti 'gestazione per altri' oppure 'maternità surrogata', termini nati per nascondere un atto di compravendita vergognoso condannato anche dall’UE". Recentemente, infatti, il Parlamento europeo - ricorda Arconte - ha approvato un emendamento al Rapporto sui diritti umani che «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani». Generalmente sono donne povere e bisognose quelle che si lasciano sfruttare da questo odioso mercato, ma l’utero in affitto è un’arma a doppio taglio, da una parte costringe la donna a fattrice di figli per conto terzi, dall’altra riduce i figli allo stato di merce". L’utero in affitto - incalza il rappresentante di Generazione Famiglia - è una violazione dei diritti umani anche quando non implica lo sfruttamento economico e sociale della donna perché comunque un essere umano viene trattato come merce e non come soggetto di diritto, il figlio. Ultimamente anche in Italia si è acceso il dibattito intorno a questa pratica, addirittura le femministe di SNOQ (Se Non Ora Quando) hanno lanciato un appello contro l’utero in affitto sottoscritto da numerosi intellettuali e gente dello spettacolo. Eppure, c’è chi in Italia vorrebbe legittimare questa pratica attraverso l’approvazione del ddl Cirinnà, la proposta di legge sulle unioni civili. Con l’articolo 5 di questa legge, infatti, è previsto il meccanismo della stepchild adoption, che di fatto renderebbe legittima questo commercio anche in Italia pur praticandolo all’estero. È bene, quindi, che il dibattito su queste tematiche sia sempre il più ampio ed approfondito possibile affinché il Parlamento non assecondi spinte ideologiche da parte di piccoli gruppi". La donna - tuona Giorgio Arconte - non è un oggetto, non è il macchinario di una fabbrica, e il bambino non è un prodotto commerciale, non è un bene di consumo!"

Candidatura Leonardi, il commento di un giovane reggino: "Avvoltoi famelici volano su Platì"

"A Platì, in Calabria, in dieci anni ci sono stati due scioglimenti per mafia: sono stati assassinati amministratori, lo Stato sembra assente, lontano. Anna Rita Leonardi è una trentenne del PD che alle prossime elezioni, sfidando con molto coraggio e un po’ di incoscienza tanti benpensanti della sua terra, ha deciso di candidarsi". Così il premier Matteo Renzi, e penso che gli avvoltoi famelici volino sopra Platì!  Non riuscirei a definire meglio certi arrampicatori che sulle disgrazie delle popolazioni cercano di costruirsi grasse carriere politiche. Ricordo benissimo la primavera del 2013. All’epoca facevo politica nella Fiamma Tricolore insieme ad un gruppo di ragazzi, tutti nemmeno trentenni più qualche colonna un po’ attempata ma solo all’anagrafe. Con questo gruppo di amici condividevamo anche la passione per la nostra Terra e per la natura, in particolare la montagna, e spesso facevamo gite ed escursioni per la provincia. Parlo al passato perché quello fu il nostro ultimo periodo di attivismo, oggi resta e continua solo una grande amicizia. In quel periodo meta delle nostre scampagnate fu Roccaforte del Greco, piccolo Comune dell’Area Grecanica. Lì, chiacchierando con alcune persone nell’unico bar di un paese che sulla carta conta circa 500 abitanti (in realtà vi abitano molti di meno), scopriamo che Roccaforte era senza sindaco a causa del terzo scioglimento di seguito per mafia dell’Amministrazione guidata dalla sinistra. Non è quest’ultimo un dettaglio. Sempre in quel periodo avevamo deciso di sciogliere la sezione e di ritirarci dalla politica. Non sto qui ad approfondire i motivi che, a distanza di anni, confermo pienamente, ma è giusto sapere che noi, nella primavera del 2013, avevamo già deciso di abbandonare l’impegno politico. Ma quella visita riaccese una “fiamma” in noi. Chi ci conosce sa che il nostro impegno è sempre stato un servizio e vedere quella perla così abbandonata, desolata nonostante il potenziale che può ancora esprimere, aver parlato con quella gente ci ha fatto sentire in dovere di rimetterci in gioco. Così ci candidammo alle imminenti amministrative. Io non ero candidato, ero il presentatore della lista. Inizialmente presentammo il nostro simbolo della Fiamma Tricolore, ci sembrava giusto, perché dover nascondere la nostra identità? Già eravamo dei perfetti sconosciuti. Ci sembrava un atto dovuto e di rispetto verso quella popolazione. Poi dovemmo cambiare a causa di presunti errori burocratici e ci presentammo come una lista civica, “Roccaforte Rinasci” con Giuseppe Minnella candidato sindaco. Quel piccolo boicottaggio (avevamo dimostrato che i documenti erano tutti corretti) sarebbe stata solo la punta di un iceberg contro di noi. Si scatenò subito, infatti, una violenta campagna diffamatoria nei nostri confronti ad opera di tanti "benpensanti", ma soprattutto da parte dei cosiddetti "democratici" che, dall’alto della loro sinistra “superiorità morale”, invitavano i roccafortesi a non andare a votare per scongiurare il pericolo fasssshhhhista, nazzzzzista, rrrrrrazzista e via dicendo. Giornalisti (anche di testate nazionali) che non dormivano la notte per cercare invano qualche nostra dichiarazione compromettente, politicanti che non sprecavano giorno per scrivere un comunicato stampa contro di noi. Eppure nessuno di questi era mai stato a Roccaforte, probabilmente non conosceva nemmeno la sua esistenza prima e continuava a tenersi a debita distanza. E poco importa se le Amministrazioni sciolte per mafia, non solo a Roccaforte ma in tutta l’Area Grecanica, erano state tutte di sinistra, poco importa se tanto si è blaterato ma nessuno di questi democratici aveva presentato una lista concorrente alla nostra. Si, tutti volevano difendere la democrazia a Roccaforte ma si chiedeva di non andare a votare e gli unici che presentarono una lista fummo solo noi, tra l’altro con nostra sorpresa. Una delle accuse più frequenti che ci venivano rivolte era quella di profanare il paese del partigiano "Pietro". Eppure, il monumento al partigiano "Pietro" versava in condizioni pietose, era sporco e aveva la foto divelta da chissà quanti anni nonostante le amministrazioni passate fossero tutte di sinistra… Nessuno lo sa, a distanza di anni possiamo confessarlo senza retorica, ma, se fossimo diventati amministratori di quel meraviglioso quanto disgraziato paese, ci eravamo promessi che una delle nostre prime opere sarebbe stata il restauro di quel monumento. Perché per noi la storia è una cosa seria, non una questione politica da strumentalizzare; perché per noi la memoria storica è importante per l’identità di un Popolo! Sempre! A prescindere! Certo, ci eravamo anche ripromessi di intestare il piccolo spiazzo dove sorge quel dimenticato monumento a Giorgio Almirante in quello che sarebbe stato un bellissimo gesto di pacificazione nazionale. Una pacificazione che da destra a sinistra (categorie ormai illusorie e strumentali perché sovrapponibili) nessuno vuole veramente perché il potere ha sempre bisogno di distrazioni sociali per mantenersi vivo, anche se ormai fascisti e partigiani sono tutti morti e del fascismo non restano che le opere, le case popolari e qualche stralcio di pensione. Altra frequente accusa che ci veniva rivolta era quella di voler "colonizzare" Roccaforte, volerla "conquistare", Vunì (così in grecanico) doveva essere amministrata dai suoi cittadini e non da stranieri. Bizzarro che questa cosa non valga adesso anche per Platì… Erano insinuazioni che ci facevano sempre sorridere. La nostra candidatura nasceva per caso, in un momento in cui avevamo deciso di chiudere, e soprattutto noi avevamo fatto tutto in punta di piedi, con grossa umiltà, senza farci pubblicità e senza lo sponsor di un premier né di altri. Nessuno, infatti, nemmeno i tanti "amici" "di destra" spesero una sola parola a nostro favore. Eravamo praticamente soli contro tutti. Ma poco ci importava, noi continuavamo per la nostra strada che cercavamo di costruire insieme alla popolazione di Roccaforte. Il nostro primo atto fu quello di riqualificare la piazza principale e l’adiacente teatro. Fu una bella fatica. E continuammo poi stabilendo un dialogo ed un rapporto con le persone del luogo. Qualcuno qui a Reggio ci diceva che eravamo dei pazzi, ma a noi piaceva stare in mezzo a quella gente. Andavamo porta a porta a metterci la nostra faccia ed a conoscere quella gente di persona, all’assemblea pubblica erano tanti i volti giovani e le donne. Avevano voglia di parlare, di raccontare i loro problemi, di avere un interlocutore, e nelle loro parole non c’era rassegnazione anche se si sentivano abbandonati. Credo che la loro forza fosse l’amore per la propria terra. Il contatto con quella gente fu la più bella esperienza politica della mia vita nonostante fosse l’ultima. Si concluse con l’ennesima sconfitta. Scontata direi. Era impossibile che sarebbe andato a votare il 50 % + 1 degli elettori per l’unica lista presentata, anche in considerazione del fatto che il paese ormai è quasi disabitato. E infatti sbagliammo a non presentare la seconda lista! All’epoca fu una scelta presentare solo una lista. Ci sembrava un atto di onestà verso i cittadini "della Rocca" (così affettuosamente la chiamavamo). Ma in politica occorre anche un pizzico di cinismo ed oggi dico che avremmo dovuto presentare la seconda lista ed amministrare quel paese! Per chi non conosce i meccanismi elettorali, in caso di seconda lista non ci sarebbe stato il vincolo del quorum ed essendo noi gli unici in campo saremmo stati automaticamente eletti. Lo avremmo dovuto fare non per noi ma per dimostrare a tutti questi ben pensanti che amministrare è una cosa seria! E che questi paesi non sono un taxi per costruire carriere politiche e che la Calabria non ha bisogno di eroi ma di gente semplice e sincera! Occorre dedizione, sacrificio ed una rinnovata e concreta idea di partecipazione. Noi, pur sapendo di non poter mai essere eletti in quelle condizioni, studiavamo altre esperienze di piccoli Comuni in Italia che erano stati quasi abbandonati ma successivamente erano riusciti a conoscere un nuovo processo di sviluppo, soprattutto turistico; già invitavamo amici e parenti con attività sociali, ludiche e sportive ad organizzare eventi su a la "Rocca"; immaginavamo Consigli comunali aperti dove tutti i cittadini avrebbero potuto esprimersi e diventare i protagonisti dell’amministrazione. Fantasticavamo tanti problemi, ma non con i cittadini, piuttosto con la magistratura, spinta da una certa politica che non avrebbe mai potuto accettare che Roccaforte potesse rinascere sotto la spinta dei "fascisti" (sic) e diventare un modello di partecipazione diretta per l’amministrazione della cosa pubblica. Erano sogni puri di ragazzi puri che non sono cresciuti comodamente nei salotti radical-chic della "Reggio bella e gentile", ma hanno sempre vissuto fra la gente, per la gente e la sua Terra. L’amore è sempre stata l’unica benzina del nostro motore. Tutt’altra storia invece, purtroppo, quella che leggo per Platì che un giorno, anche lei fu meta delle nostre scampagnate. Mi scuso per la lunghezza ma quell’amore che mi animava anni fa, nonostante tutto, non si è ancora sopito e non posso tacere di fronte a questa ennesima speculazione ad opera dei soliti venditori di fumo e di odio, anche se si presentano in gonna!  Un piccolo post scriptum: qualcuno/a rabbiosamente dirà che il mio è solo uno sfogo di frustrazione, probabilmente non ha letto che confermo con convinzione la scelta di aver abbandonato la politica. Forse sono proprio questi ad avere pene per la testa. Altri invece capiranno che la politica significa costruire insieme alla gente per la gente, non sulle spalle della gente.

Giorgio Arconte, giovane reggino

 

Riflessioni di un giovane reggino sul messaggio di Monsignor Morosini: "Coraggioso e sconvolgente"

Ospitiamo in questo spazio le riflessioni, che riportiamo integralmente, di un giovane cittadino di Reggio Calabria, Giorgio Arconte, in merito al contenuto del messaggio rivolto venerdì dall'Arcivescovo dell'Arcidiocesi Reggio-Bova, Monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, alla vigilia delle celebrazioni Mariane.

"In occasione delle festività mariane reggine, il nostro Arcivescovo, monsignor Morosini, in un video ha lanciato un messaggio forte, sconvolgente, provocatorio e che ci invita a riflettere. Da buon pastore si rivolge al suo gregge, ma il messaggio è così forte che è impossibile restare indifferenti, anche se non si è appartenenti alla sua comunità cristiana. Personalmente io mi sono sentito molto scosso dalle sue parole, sia da cattolico sia da persona che vive l’attuale società. Una società non semplicemente ascrivibile a quella reggina, ma che bisogna estendere a tutta la società europea che sta vivendo uno dei suoi tramonti. Proverò, quindi, con molta umiltà, e ringraziando chi mi ospita, a cercare di rispondere allo stimolo lanciato da Morosini nella speranza che si animi un dibattito molto più profondo di queste mie semplici riflessioni, ma anche superiore alla banale risposta di un sindaco che non riesce ad andare oltre ad uno slogan monotono e senza contenuti. "Ma in tempi in cui assistiamo ad una secolarizzazione e scristianizzazione galoppante, ha senso festeggiare un patronato religioso?” Una domanda che può essere riscritta anche così: che tipo di società stiamo costruendo? La mia risposta è: sì, ha un senso continuare a festeggiare un patronato religioso! Sia chiaro, il mio si non è semplicemente frutto del legame con una tradizione, non sarebbe un sì. Il mio sì è dettato da un altro motivo che è quello di "tenersi in piedi in un mondo di rovine", per dirla alla Julius Evola. Non si può cedere alle tendenze che stanno attraversando questo mondo in quest’epoca e rintanarsi nelle proprie sacrestie. Questo atteggiamento significherebbe celebrare un requiem aeternam Deo e trasformare le chiese in "sepolcri di Dio" come Nietzsche aveva immaginato/profetizzato nel suo "La Gaia Scienza". Piuttosto, come spesso lo stesso Morosini ricorda nelle sue omelie, bisogna opporre quella pacifica resistenza della testimonianza sull’esempio ed il coraggio delle prime comunità cristiane. Queste, infatti, vivevano in una società non solo non cristiana, ma addirittura ostile tanto da richiedere il sacrificio della vita. Eppure, con la forza della loro fede, i primi cristiani non si sono mai piegati al mondo. Anzi, è il mondo ad essersi piegato, tanto che l’Europa per secoli si è lasciata "cristianizzare" rivoluzionando così il pensiero dell’Uomo e l’ordine delle società. Una storia già scritta e che oggi, come un ricorso, va riscritta. A differenza di duemila anni fa, però, oggi bisogna confrontarsi con una società che ha abbandonato Dio. Provo a spiegarmi utilizzando le parole del cardinale Robert Sarah nel suo ultimo libro "Dio o niente" in cui ci dice che "L’allontanamento da Dio non è il frutto di un ragionamento, ma di una volontà di staccarsi da Lui. […] L’uomo non vuole più riflettere sul suo rapporto con Dio, perché vuole diventare Dio lui stesso. Il suo modello è Prometeo".  Questa volontà, ci spiega sempre il cardinale Sarah, "trova la sua principale origine nell’individualismo esacerbato dell’uomo europeo. L’individuo-re, che aspira sempre di più a una forma di autonomia o d’indipendenza assoluta, tende alla dimenticanza di Dio. Sul piano morale, questa ricerca di libertà assoluta implica un progressivo e indistinto rifiuto delle regole e dei principi etici. L’universo individualista diventa così centrato unicamente sulla persona che non accetta più alcun (limite, nda)". Non c’è dubbio che oggi l’Europa e tutto il cosiddetto Occidente stiano abbandonando la loro dimensione sociale in favore di un nuovo volto fortemente individualista, dove il soggetto-Uomo perde il suo carattere di persona-sociale per trasformarsi in un atomo-individuo. Ecco perché la famiglia oggi sta subendo un violento attacco. Usando un’espressione di Diego Fusaro, filosofo contemporaneo marxista, "famiglia vuol dire comunità: vuol dire relazione non permeabile dal nesso mercantile, vuol dire solidarietà e gratuità, donatività e altruismo, negazione dell'individualismo oggi imperante. Per questo il capitale mira a distruggere la famiglia: esso non tollera comunità e vuole vedere ovunque sempre e solo atomi consumistici. Nell’odierna "notte del mondo" (Heidegger) del monoteismo del mercato e del fanatismo dell’economia, la famiglia, ove ancora esista, costituisce un’eroica forma di resistenza all’esiziale dialettica di sviluppo del capitalismo. Finché vi è famiglia, vi è comunità: e finché vi è comunità, vi è speranza". E io aggiungo che finché c’è comunità vi è anche un’identità. La famiglia è la cellula fondamentale di ogni tipo di comunità: "Tu nasci ed hai un padre ed una madre” (Dolce e Gabbana). Ma oggi la famiglia è il nemico numero uno del mercato proprio per il suo carattere essenzialmente sociale, identitario ed anti-individualista, quindi anti-mercantilista, e la cultura gender è attualmente lo sforzo ideologico più grosso che si sta compiendo per distruggere le basi antropologiche della nostra civiltà. Sempre Fusaro ci spiega come "l’ideologia mondialista gender mira alla creazione e all’esportazione di un nuovo modello antropologico, pienamente funzionale al capitalismo dilagante: l’individuo senza identità, isolato, infinitamente manipolabile, senza spessore culturale, puro prodotto delle strategie della manipolazione". Una grande sfida. E rispetto a questa sfida la Chiesa moderna ha una grossa responsabilità alla quale non può sfuggire. In un momento in cui tutte le istituzioni civili sono fragili solo l’autorità morale della Chiesa può essere luce per l’Uomo. Lo fu alla caduta dell’impero romano, deve tornare ad esserlo ancora oggi. Ricorsi storici, come si diceva all’inizio. E allora questo è il senso delle celebrazioni mariane in una società scristianizzata: una coraggiosa testimonianza, una fiaccola che arde fra la gente e scalda i cuori nel freddo dell’odierna "notte del mondo". Intorno al quadro della Madonna della Consolazione, come fosse una mamma, da secoli si riunisce la città di Reggio. Ed in una città completamente allo sbando come quella di Reggio questa mamma è un punto di riferimento sociale ed identitario irrinunciabile. Vorrei continuare perché monsignor Morosini con coraggio ha aperto un dibattito davvero ampio e che meriterebbe libri di approfondimento. Ma non è possibile. Rinnovo allora il mio ringraziamento a chi ha voluto ospitare questo mio pensiero e chiedo scusa per essermi dilungato troppo. Chiudo con l’auspicio che tutte le forze culturali della città di Reggio, tutti i carismi della chiesa cattolica reggina e tutte le confessioni presenti in città, in particolar modo le tradizioni cristiane non cattoliche, si lascino spontaneamente coinvolgere in questo dibattito e possano dare un contributo positivo e propositivo per rispondere alla domanda "che tipo di società stiamo costruendo?". 

 

"A Reggio non esiste il registro delle unioni civili"

"Il registro delle unioni civili rappresentava, per l’attuale Amministrazione comunale, una delle emergenze della città di Reggio Calabria, tanto che per la sua approvazione - ricorda Giorgio Arconte, portavoce del Circolo reggino di Le Manif Por Tous - è stata convocata una sessione straordinaria del Consiglio comunale. Ma, a quasi 3 mesi da dalla sua votazione, questo registro in realtà non esiste.  Ci siamo recati presso la segreteria generale del Comune per iscriverci, ma la risposta - rivela Arconte - è stata che ancora il registro per le unioni civili non è attivo. Ci è stato anche consigliato di scrivere una lettera ufficiale per chiederne conto e, non vorremmo sembrare maliziosi, ci è parso di capire che paradossalmente noi siamo stati i primi a volerne richiedere l’iscrizione. Tutto ciò conferma inesorabilmente che questo registro, illegittimo e già inutile in quanto non garantisce alcun diritto, è solo uno strumento ideologico che mira ad indebolire la famiglia naturale e l’istituto del matrimonio costituzionale fra un uomo ed una donna.  Ci sentiamo, pertanto, di suggerire a questa Amministrazione di abbandonare le suggestioni ideologiche di piccoli gruppi e di accogliere le istanze del popolo della famiglia che ha mostrato tutta la sua bellezza lo scorso 20 giugno a Roma quando una folla oceanica ha invaso piazza San Giovanni. Un primo piccolo passo potrebbe essere dando seguito e concretezza alla mozione per la famiglia già approvata dal Consiglio comunale reggino, che è sovrano, ed indire la prima festa della famiglia naturale".

 

 

 

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