Un monumento per Mastro Bruno Pelaggi

C’è una categoria dello spirito umano che si chiama ricordo. Alcune volte, per celebrare una persona basta un semplice pensiero, altre volte, invece, il festeggiamento di una ricorrenza, o ancora, una commemorazione. Per alcuni invece ne l’una ne l’altra. Perché il suo lascito, il suo testamento è la parte morale di una comunità e deve vivere ogni giorno. Questo vale soprattutto per chi, come nel caso di Mastro Bruno Pelaggi, fu un padre fondatore della cultura della denuncia, non soltanto a Serra San Bruno ma anche in Calabria e nel meridione d’Italia. Un uomo dal libero pensiero che non negoziò la sua libertà, ne si piegò innanzi ai potenti, e che da quando i suoi occhi smisero di leggere la luce fu dimenticato. Perché? E’ forse un personaggio ingombrante? Non era giusto, forse, che uno dei suoi figli migliori, la cittadina montana lo celebrasse ogni giorno attraverso un monumento? Non era doveroso ricordare quella voce potente che denunciò per prima la Questione Meridionale che nacque con l’Unità d’Italia? Già. Mastro Bruno ce lo ricorda ogni giorno nelle sue poesie e nei versi controcorrenti e frizzanti: prima dello stato unitario il Meridione non era una Questione ma una entità viva, ricca e produttiva. Invece no. Le sue ossa riposano come quelle di un uomo “comune” in una semplice e dimenticata nicchia nell’ossario del cimitero cittadino. Avrebbero dovuto, più degnamente, riposare in un monumento ma non è mai avvenuto. L’amministrazione comunale, un comitato di cittadini del quale la redazione del Redattore sarebbe disponibile a farne parte, si faccia promotore di una bella iniziativa e ponga rimedio a questa centenaria “ingiustizia”. Si dedichi un monumento a Mastro Bruno nel cimitero cittadino. Bruno Alfonso Pelaggi fu Gabriele (Serra San Bruno 15 settembre 1837 – 6 gennaio 1912) visse quasi tutta la sua parabola umana a Serra San Bruno, patria anche dell’amico, più volte ministro, Bruno Chimirri. Il poeta serrese faceva uno dei mestieri più duri, lo scalpellino; aveva imparato la vita alla severa scuola della crudezza e aveva improntato la sua esistenza ai principi morali della giustizia e dell’uguaglianza, assumendo il concetto del bene e del giusto quale regola inflessibile di condotta, che osservò con estrema coerenza, senza timore di scontrarsi con l’ordine costituito e con la moralità del tempo. Esaminando le liriche di Mastro Bruno è possibile rinvenire, in alcuni componimenti, dei concetti e dei principi omogenei. Pur non potendo parlare di pensiero sistematico, in quanto il poeta scalpellino non ebbe una cultura letteraria né tantomeno filosofica, è possibile tuttavia parlare di una concezione etico-politica che caratterizza la maggior parte delle sue poesie e che ne fa un acuto osservatore e denunciatore della nascente Questione Meridionale. Non si può parlare di una “poetica politica” come frutto di una coscienza di classe, essa è figlia piuttosto di un “istinto di classe” che nasce dalla consapevolezza che al mondo esistono due categorie di esseri, gli sfruttatori e gli sfruttati, e dalla percezione del poeta serrese di appartenere a quest’ultima. In Mastro Bruno la Questione Meridionale, come acutamente osservato dallo studioso Biagio Pelaia che ha curato “Li Stuori” (nota raccolta dei versi di Mastro Bruno Pelaggi) fin dalla prima edizione, si manifesta non soltanto come testimonianza diretta, ma soprattutto come vicenda umana personalmente vissuta e sofferta che lo conduce, partendo dalla propria esperienza, a fare delle considerazioni e delle riflessioni più generali ed universali che saranno poi alla base della coscienza meridionalistica.

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