Filogaso ed i riti della Settimana Santa

I riti pasquali, anche se ripetitivi nelle loro gestualità e nella loro iconografia principale, della vita e morte di Gesù suscitano sempre forti emozioni e rievocano ricordi e tradizioni popolari diverse e tipiche di ogni paese del Sud. L’anno scorso ho trascorso Pasqua a Sorrento ed ho assistito alla processione del Venerdì Santo. Di quella processione mi sono rimaste impresse alcune cose inimmaginabili e per certi versi inusuali. Il silenzio, quasi surreale, che scendeva tra i sorrentini e i numerosi turisti presenti al passaggio, lungo il corso principale, della statua del Cristo morto; i vestiti, a forma di saio con il cappuccio, di colore nero e bianco, indossati dai fratelli appartenenti a due congregazioni religiose diverse che si disponevano sui due lati della strada.

Indossare quelle tonache, particolari e strane, raccontavano alcuni, era un vanto ed una tradizione centenaria che si tramandava da padre in figli. 

Quest’anno invece ho partecipato, dopo moltissimi anni, alla processione svoltasi al mio paese.

Tralascio il racconto dei sentimenti e dei ricordi intimi che affollavano la mia mente durante lo svolgimento del rito religioso: per la prima volta tra i tantissimi presenti, il paese quasi tutto, non vi era mamma; e mi soffermo sulla celebrazione della passione e sugli inevitabili cambiamenti e innovazioni introdotti nel tradizionale rito, rispetto alla mia infanzia e gioventù.

L’evocazione della vita e morte di Gesù è stato svolta, come sempre, da un bravissimo parroco (u “predicaturi” nel nostro dialetto) la cui presenza è stata limitata al solo rito serale mentre nel passato veniva prolungata a tutta la Settimana Santa ed oltre.

Il confronto con le “prediche” dell’indimenticato ed indimenticabile padre “Oliva”, frate francescano che ha per anni officiato la solenne ricorrenza, è stato inevitabile. Mancava la stessa foga oratoria ma i contenuti erano altrettanto ricchi di richiami storici e culturali, con spunti ed accenni interessanti al presente.

Le pause delle “chiamate” rispettivamente della Santa Croce, dell’Ecce Homo e della Madonna, venivano inframmezzate da alcuni canti religiosi ( stabat mater,ecc....) eseguiti dal Coro di recente formazione invece che dai fedeli. Nel coro spiccavano, tra le altre, le figure di due componenti del complesso bandistico di Filogaso degli anni cinquanta: Antonio Fiumara, nella veste di direttore, Francesco Antonio Sisi, nella veste di batterista (grancassa e tamburo) e della giovanissima violoncellista Galati.

Il passato, il presente ed il futuro nella tradizione e nella continuità. Infine, dopo la “chiamata” della Madonna, la processione lungo il corso del paese, addobbato per l’occorrenza con i lumini dislocati lungo i marciapiedi, in sostituzione delle tradizionali “frache” (torce fatte da canne ).

Altra novità ed innovazione rispetto al passato, è stata la presenza della “naca” (dal greco nache ‘ :culla) che tradizionalmente veniva portata in processione il sabato. 

La processione, che una volta procedeva a passo cadenzato dal suono della "tocca" (strumento utilizzato al posto delle campane ) si è conclusa con un falò nello slargo del comune.

La domenica di Pasqua è caratterizzata, invece, dal rito della famosa “affruntata “, descritta e ripresa per Rai Tre dal professore Vito Telti, amico e compagno di studi liceali, a cui partecipano ogni anno, per la suggestione che suscita, molte persone dei paesi vicini

 

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