Ferdinando Nunziante e la repressione dei moti calabresi del 1848..

Figlio primogenito del marchese ereditò il villaggio di San Ferdinando e la carriera militare dell'illustre padre. Anche lui fu molto fedele alla casa regnante e perciò si guadagnò numerosi titoli di corte si distinse molto anche a livello caratteriale dal padre Vito, infatti Ferdinando fu ricordato in Calabria per aver represso nel sangue i  moti del '47 a Gerace e Reggio e ne '48 a Catanzaro e Cosenza. La situazione in Calabria era di miseria ed il popolo era soggetto alle angherie dei Sottointendenti poiché i nobili fuggirono nella Capitale. In questo contesto era chiaro che i calabresi più in vista urlavano a gran voce di avere garanzie dalla Corona. Reggio Calabria iniziò a distinguersi con una rivolta anticipata a Napoli tramite telegramma. Il Re rispose inviando due piroscafi  Guiscardo e Ruggero, nel settembre del '47 fecero rotta verso Pizzo e sbarcarono tremila uomini al comando di Ferdinando Nunziante. Le truppe si acquartierarono a Monteleone, Palmi, Cinquefrondi e Galatro e poi diritti a Gerace dove le insurrezioni erano ormai molteplici. Il Nunziate, cinico, molto diverso dal padre fece conoscere tramite i sindaci le pene che i borbonici avrebbero inflitto ai rivoltosi. Dichiarò il ritiro delle greggi al pascolo e sguinzagliò l'esercito in ogni dove. A suon di proclami Ferdinando avvisò i rivoltosi  con queste parole che poi divennero fatti: “Noi Ferdinando Nunziante, Gentiluomo di Camera di sua Maestà ecc. ecc, per effetto di ordini superiormente ricevuti, Manifestiamo, che chiunque provvederà vivi D. Pietro Mazzone e D.Gaetano Ruffo, capi della rivolta di Bianco, avrà un premio di 1000 ducati per ciascuno, e di ducati 300 chiunque li presenterà morti.  All'uopo preghiamo tutti i buoni sudditi del Re nostro Signore, attaccati all'ordine pubblico di cooperarsi per cosa tanto conducente al ristabilimento del medesimo.  Dato dal Quartier generale di Bianco, lì 16 settembre 1847. Il Generale Comandante marchese Nunziante”. Le cose cominciarono a farsi difficili per i manifestanti e vennero sopraffatti dai Borbonici e molti rinchiusi nelle carceri di Gerace; 300 erano tenuti come sorvegliati speciali. Narra a tal proposito Sorace Maresca che vi era rinchiuso, anche, il sacerdote di Bianco don Ferrante Jelasi: “ primo cappellano della truppa nazionale, portato da Bianco a Gerace, legato ed a piedi , bastonato unitamente a Don Francesco Salvadori di Bianco”. Continua ancora il cronista a raccontarci: “ il Sacerdote Zappia arrestato, malmenato e portato all'episcopio assieme al compagno Don Ferdinando Massara, subiva l'oltraggio di uno sputo in faccia ed il riso beffardo del Generale Nunziante con queste parole: “Voi siete gli uomini che volete liberare l'Italia?”. In pochi giorni ed usando non poca violenza, il 10 settembre il marchese Nunziante cattura Michele Bello di Siderno, Domenico Salvadori di Bianco, Rocco Verduci da Caraffa, Stefano Gemelli da Roccella e Gaetano Ruffo da Bovalino.  Nunziante ritenuto dagli storiografi “il responsabile di tutte le vessazioni, ai danni dei liberali” con zelo e cuore duro assegnò persino i premi per chi si fosse distinto nella repressione. Inoltre con fare sagace persuadeva gli arrestati che qualora avessero fatto  dei nomi il Re li avrebbe graziati, ma in questo intento non ci riuscì. Si servì invece di una Commissione Militare che mandò al patibolo i giudicati e citati in calce, mentre graziò Gemelli e Rossetti. Intanto  però la marchesa Eleonora De Riso fidanzata del Mazzone, promise la sua dote ben 4  mila ducati sulla testa del Nunziante( 5). Quei giovani vennero ricordati come i martiri di Gerace, quella morte provocò molte proteste persino a Napoli. Effettivamente il Nunziante poteva evitare quella strage ma non seppe e non volle farlo! Una ministeriale dello stesso anno estendeva la facoltà di sospendere le pene di morte. La figura di Ferdinando Nunziante non ne esce chiara e dimostrò persino di non essere dotato di sensi di umanità. Nel giugno del '48 divampa un nuovo focolaio,  stavolta nel Catanzarese, all'Angitola, dove militava un gruppo di rivoluzionari guidato da Francesco Stocco. L'esercito in quei 33 giorni venne provato ed il Monteleonese vide molte rivolte. Bisognava sedare quell'ennesima rivolta, venne di nuovo inviato Nunziante che con l'astuzia aveva assicurato ai soldati che in Calabria sarebbe stata una passeggiata. Il grosso dell'esercito sbarca a Pizzo ma i fatti diedero torto al condottiero del Borbone, indispettiti i borbonici distrussero tutto ciò che gli passò a tiro. Il 27 giugno la colonna Regia scortata dai vapori Antelope e Archimede volge al fiume Angitola dove vi erano molti nazionalisti. Un piccolo scontro che fece infuriare i Napoletani, i quali si diedero a rappresaglie, sparando molti colpi di cannone. Nunziante cercò di ripararsi dai colpi mentre i Regi indietreggiarono verso Pizzo, di questa notizia si fa portavoce anche Giuseppe Vardè di Nicotera che scrive al cugino Achille Fazzari una lettera,  inedita che si trova nell'Archivio del Vittoriano. Fu  questa una fuga che rimase nella storia, si dice che i ragazzi cantavano un  ritornello che così iniziava: “Poveru Nunziante comu nci su ncappatu”. Il lavoro di calma non era  per le Calabrie, non era finito, insorse Reggio e si preparava l'arrivo del Generale Marchese nella città presso il Palazzo dell'Intendenza. A Napoli intanto furono in molti a criticare la condotta di Nunziante ,tutti riconoscevano che la rivolta si era estinta ma a caro prezzo, quelle stesse critiche indussero il Marchese a dimettersi. Mazza che venne nominato direttore di Polizia in Calabria con i poteri di un Ministro e Ferdinando dovette tornare a Napoli. Mazza si dimostrò molto più truce del Marchese che si pentì amaramente di quelle 5 morti a Gerace.

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