Paesi di Calabria: Mileto

Un tempo è stata un centro di grande propulsione culturale e religiosa: Mileto, la capitale del regno normanno. La prima città completamente distrutta dal terremoto del 1783, sorgeva a 3 chilometri dall’attuale, dove si vede ancora oggi un grosso muro detto “ ‘a scarpa da Batia”. La nostra cittadina secondo il Fiore e il Marafioti sarebbe stata fondata dai Milesi dell’Asia Minore, dopo che Dario rase al suolo la loro terra. Secondo altri studiosi e tra questi il Lenormant, Mileto risalirebbe al decimo secolo dell’era volgare e voluta da gruppi di bizantini della Mileto asiatica che all’epoca si rifugiarono un po’ dappertutto in Calabria. Comunque sia, la grande importanza di Mileto è dovuta alla venuta dei Normanni nel sud d’Italia e il loro condottiero Ruggero, meglio conosciuto come il “Bosso”, figlio di Tancredi d’Altavilla, nel 1058 vi stabilì la sua residenza. “…Divenuta così Mileto reggia gloriosa dei Normanni dominanti della Calabria e della Sicilia non si tenne dietro a qualunque altra città […] qui correvano le ambascerie dei principi forestieri […] qui si solennizzavano gli  sponsalizi del Conte e delle figliole […], qui nacque Ruggero II (battezzato da San Bruno, come si vede nel medaglione posto sotto l’altare maggiore nella chiesa della Badia) che poi divenne il primo re di Sicilia… qui la venuta dei Sommi Pontefici  Urbano II e Callisto II”. Insomma, il Conte Ruggero, ancora oggi molto caro ai Miletesi, fece di Mileto una grande città: centro strategico militare e politico, culla d’arte e di cultura. Nel 1063 il Gran Conte fece edificare l’imponente Abbazia della Trinità consacrata in pompa magna il 29 dicembre 1080 e della quale oggi è appena visibile un muro, la citata “scarpa da Batia”. Qui fu sepolta la seconda moglie di Ruggero, Eremberga e lo stesso Conte in due sarcofagi marmorei di ispirazione ellenistico-romana: il primo si trova a Mileto per concessione della Sovrintendenza ai Beni Archeologici di Napoli, mentre quello di Ruggero è ancora ospitato nel capoluogo campano. A proposito della tomba di Ruggero è doveroso spendere qualche parola in più. L’anonimo autore dell’ “Historia Cronologica brevis abatiae SS. Trinitatis Mileti” descrive la tomba come sarcofago romano con coperchio a due spioventi che simula il tetto di una casa con grosse tegole. Sull’estremità anteriore vi sono ancora oggi due busti acefali, uno di uomo e l’altro di donna e ciò fa pensare che il sarcofago di Ruggero in origine era destinato ad una coppia di sposi. Alcuni studiosi ritengono che il monumento funereo proviene da Hipponion (la greca Vibo V.) e finalizzato ad ospitare le spoglie di un Magistrato Supremo della Colonia Valentia e della sua consorte. È risaputo che la nostra terra di Calabria nel tempo è stata spesso devastata da terremoti (i più disastrosi quelli del 1659 e del 1783) e per questo, nel 1845, i Borbone, sollecitati anche da scienziati, fecero trasportare a Napoli la tomba di Ruggero presso il Museo borbonico. Oggi è da più parti reclamato il ritorno di Ruggero in patria. Tornando alla storia di Mileto, ancora Ruggero fece edificare la grande Cattedrale che, come scrive lo studioso G. Occhiato, fu “la terza delle fabbriche attraverso le quali Ruggero I dimostrò il suo attaccamento e il suo favore verso la città di Mileto”. La data di fondazione del grande luogo sacro,  dell’Episcopato e della Diocesi voluti nello stesso anno da Ruggero, risalirebbe, secondo i più, al 1081 e al 1086 l’anno della consacrazione. “Queste costruzioni – scrive Giuseppe Naccari – dovevano costituire l’archetipo di tutte le successive costruzioni ecclesiali, eseguite successivamente dai Normanni in Sicilia. Per avere un’idea della sontuosità di queste costruzioni in una cittadina, che non era che un piccolo ‘castrum’, dirò che la loro struttura iconografica e il loro linguaggio architettonico erano in netto contrasto con la precedente architettura bizantina…”. E poi queste imponenti costruzioni  sacre avevano lo scopo di accattivarsi la simpatia del Papa e di ripristinare il culto latino in Calabria e la romanizzazione del Mezzogiorno. E la Mileto normanna non fu soltanto imponenti edifici sacri. Si ebbe anche la Zecca fondata attorno al 1072 dove si coniarono tre pezzi in argento: il denaro, il mezzodenaro e la frazione di denaro; nonché quattro pezzi in bronzo: il trifollaro, il doppio follaro, il follaro e il mezzo follaro. Questa moneta oggi è visibile in quanto riprodotta da Santo Ciconte e utilizzata come logo del bollettino “Rogerius” edito dall’Istituto della Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro. Però, come ogni avvenimento dell’umanità, anche la grandezza normanna di Mileto ebbe una fine. Nel 1101 Ruggero morì e dopo alcuni anni i suoi eredi trasferirono la capitale del regno da Mileto  a Palermo dove Ruggero II venne incoronato re di Sicilia. Da qui ne discende la decadenza di Mileto e dell’autorevole passaggio dei Normanni nessuna traccia. Già nel 1955 Berenson, avendo visitato queste contrade, ebbe a scrivere che “…passando per Mileto mi rammento che questa città per molti anni fu politicamente importante quanto Londra o Parigi e che le sue chiese, i suoi palazzi uguagliarono la migliore arte prodotta allora. Spesso mi domando quali meravigliosi tesori sotterranei porteranno alla luce gli scavi…”. Per fortuna non tutto è andato perduto e Mileto, oggi, raccoglie la sua storia e quella della sua Diocesi nei locali di un grandioso Museo statale inaugurato nell’agosto del 1997 e ospitato in sei vasti ambienti della Curia Vescovile. Qui sono sistemati reperti che vanno dal II  al XX secolo ed offrono una buona parte, anche in termini storico-archeologici, delle vicende di Mileto e della sua Diocesi, entrambe legate alla presenza dei Normanni. Nella struttura museale sono offerti allo studio e alla curiosità dei visitatori: capitelli del II e III secolo provenienti dai vecchi templi e riutilizzati in epoca normanna; capitelli a stampella con figurazioni animali e vegetali; numerosi arredi sacri. Nel 2002, poi, anno europeo dedicato ai Normanni, durante una campagna di scavi, è stata individuata e portata alla luce la monumentale area absidale della cattedrale. E per molti i reperti di maggiore interesse sono le opere del cosiddetto “Maestro di Mileto”, nome convenzionale attribuito da F. Negri Arnoldi ad uno scultore del Trecento che ha operato particolarmente a Mileto ed in Sicilia. Scrive il Naccari che “il Maestro ha avuto il grande merito di creare un’arte gotico-romana bizantineggiante che la caratterizza e la contraddistingue anche dalla scultura lombardo-veneta e da quella napoletana”. Altra opera importante custodita nel Museo è il Crocifisso in avorio di Alessandro Algardi, artista bolognese del ‘500. Ma l’itinerario non si ferma qui. Attualmente sono cinque le chiese aperte al culto in una città di profonda tradizione cattolica e di intensa attività pastorale. Si tratta della Cattedrale sita accanto alla Curia e al Seminario interdiocesano, chiesa questa ricchissima di opere d’arte; la Cattolica, quella di San Michele proprio di fronte alla cattedrale, la chiesa di Sant’Antonio e la SS trinità edificata intorno al 1930 e che raccoglie il patrimonio storico dell’antica abbazia benedettina. Infine non posso sottacere della presenza numerosa e qualificata artisticamente di palazzi sparsi qua e là per il paese: palazzo Lombardi con lapide dedicata a Vincenzo Lombardi, insigne penalista; palazzo Sarlo con portale in granito; palazzo Tavella in stile Liberty; il Taccone Gallucci casa natale di vescovi, letterati e filosofi e tra questi ultimi il filosofo Nicola; l’Episcopio nelle cui vicinanze era ubicato un osservatorio sismico visitato dallo scienziato Mercalli; la villa Pata Dominelli sulla cui facciata è sistemata una lapide in ricordo della sosta di Garibaldi durante la Spedizione dei Mille. A ben vedere di sicuro Mileto merita un’approfondita visita in quanto, per dirla con Virginio Varone, è “un’autentica miniera di cultura”.

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