Tragici gesti di padre Aldo e di padre Willibrando: Dio giudica meglio degli uomini

L’anno della Vita consacrata (ufficialmente chiuso lo scorso 2 febbraio, memoria liturgica della Presentazione di Gesù al Tempio) in Calabria si conclude con il tragico gesto di padre Aldo Lamanna, 42 anni, frate francescano minore. Una vicenda dolorosa che, per certi aspetti, ricorda quella di padre Willibrando Pnemburg, 46 anni, monaco certosino e priore della Certosa di Serra San Bruno, che il 21 febbraio 1975, si impiccò nella sua cella utilizzando le lenzuola del letto. Il certosino era molto apprezzato all’interno dell’Ordine, scelto tra i monaci che avrebbero dovuto lavorare per l’adattamento della famiglia religiosa di San Bruno alle disposizioni del Concilio Vaticano II, era anche "padre visitatore" delegato della Casa madre francese, e questo gli comportava frequenti spostamenti in Italia e all’estero. Tant’è che il giorno del suicidio era appena tornato da un viaggio presso la Grande Certosa di Grenoble, nelle Alpi francesi. Dalle cronache dell’epoca niente faceva presagire il peggio, ma pare che padre Pnemburg, di origini olandesi, sul comodino avesse lasciato un biglietto, quasi a testamento, con scritto: "Dio mi giudicherà meglio degli uomini". Parole che risuonano come paradossale testimonianza di fede nella misericordia del Dio della vita, anche nel momento dell’estrema e terribile decisione di togliersi la propria, di vita. In quegli attimi, quindi, non era la fede del priore certosino a vacillare né la sua vocazione di monaco contemplativo e di sacerdote, ma la fiducia negli uomini; già quegli uomini che egli, con la sua scelta consacrata, aveva deciso di servire nella preghiera.  Le storie di padre Aldo e di padre Willibrando, seppure a distanza di quarant’anni l’una dall’altra, si intrecciano nel punto più insondabile dell’animo umano: l’intima coscienza di ciascun individuo che è mistero ed enigma. Indagare nelle motivazioni di simili gesti può rappresentare un inopportuno tentativo di volere a tutti i costi riaprire il sipario di trame esistenziali che gli stessi protagonisti hanno deciso di chiudere, senza applausi e riflettori. Ma c’è dolorosamente una considerazione che si impone pure laddove il silenzio sarebbe d’obbligo: sotto l’abito di chi ha pronunciato i voti di castità, di povertà e di obbedienza, e che è segno visibile della profezia di quanti sono chiamati a vivere già ora, su questa terra, il Regno dei Cieli, vi sono donne e uomini, in carne ed ossa, con le loro fragilità e paure. Quando spesso le difficoltà ed i problemi del “secolo” contagiano anche chi nell’aldiqua ha scelto di vivere per l’aldilà, siamo davvero certi che oggi i monasteri, i conventi e le stesse nostre comunità parrocchiali, siano, come vorrebbe Papa Bergoglio, luoghi “altri”, in cui si sperimenta la "logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità e dell’amore di Dio"? Un Amore che tutto compone e tutto attira (ce lo ricorda quest’anno giubilare sulla misericordia) e che accoglie pure chi della fragilità della sua umana condizione non ne ha sopportato il peso. D’altronde, l’incrollabile speranza di padre Willibrando, quel “Dio mi giudicherà meglio degli uomini", forse ha guidato pure gli ultimi passi di padre Aldo incontro a "Sorella morte". Verso un vuoto che, nella fede, risplende della luce di un Dio il cui nome è Misericordia. Ed è sempre, pure questa, profezia…   

Luigi Mariano Guzzo - Dottorando in Diritto ecclesiastico e canonico presso l'Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro

Il Quotidiano del Sud, domenica 7 febbraio 2016, p. 12

 

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