Storia dei bagni: usanze ed evoluzioni

La buffa storia del burkini mi suggerisce reminiscenze storiche. Evito riflessioni di attualità, perché i miei lettori sanno cosa io pensi di clandestini e immigrati, Dio liberi. Lasciamo stare gli antichi romani e greci e i bagni di Baia e le fanciulle in due pezzi di Piazza Armerina, per andare dritti al Medioevo, epoca in cui l’uso di lavarsi continuò alla grande, e alle usanze classiche si aggiunse quella germanica di immergersi in laghi e fiumi. “Chiare, fresche, dolci acque, dove le belle membra pose colei… ” del Petrarca attesta che nel XIV secolo in Provenza le signore nuotavano nei fiumi e laghi, deposta la gonna: non poté certo nuotare con addosso i sontuosi abiti delle nobildonne del suo tempo. Leggete la canzone. Quanto al mare, racconta il Malaterra che Roberto e Goffredo d’Altavilla assalirono e accecarono un tale Gualtieri, longobardo comandante della rocca di Tezio in Capitanata. A questo punto, ecco una chicca, la quale dimostra che anche studiare la storia può essere un vero spasso: “Egli aveva una sorella, che fu presa prigioniera con lui. Ed era di tanta bellezza, che se si recava al mare per fare il bagno, o per far prova avesse messo le gambe in qualche fiume pescoso, i pesci, attratti dalla sua bianchezza, le nuotavano vicino, tanto da poter essere presi con le mani”. Peccato non sapere il nome di questa meravigliosa fanciulla bagnante nelle acque dell’Adriatico e dei fiumi; e, come appare, in abbigliamento adatto al nuoto, diciamo così essenziale. Eh, Malaterra, che malpensante! Lo storico, con “si aliquando ad mare balneatum venisset”, attesta essere operazione normale, per una donna di quel tempo e quel luogo, di farsi una stagione balneare tra una guerra e l’altra! L’età moderna dimenticò questi costumi, anzi smisero anche di lavarsi, donde lo sviluppo della scienza dei profumi nelle regge dei sovrani Sole e Luna, in difetto di un semicupio! In Calabria, però, le popolazioni usavano scendere dai colli al mare almeno nel giorno dell’Assunta, con festa e pranzo; ma si stava attenti, perché una credenza voleva che uno dovesse morire tra le acque! Si narra che la prima a rifare un bagno di mare in senso moderno sia stata Maria Carolina di Borbone Due Sicilie, figlia di re Francesco I e moglie, dal 1816, di Carlo Ferdinando di Borbone Francia duca del Berry, una donna di grande vivacità anche culturale, e che ebbe peso negli avvenimenti politici francesi: la sola Borbone delle quattro casate veramente reazionaria e che capiva qualcosa di politica (uomini inclusi)! Un giorno ordinò di essere portata sulla spiaggia, e, mentre i soldati facevano a debita distanza un cordone, entrò orgogliosamente nelle acque dell’Atlantico. Si diffuse la regia moda. Ma a Napoli dagli anni 1850 c’erano ben attrezzati stabilimenti balneari. A Soverato, la mia città nel bel mezzo della Calabria, dal 1881, quando ancora a Ostia pascolavano i bufali (bovini, non teorie di storici della domenica) e a Rimini manco quelli si azzardavano, vantava due stabilimenti balneari. L’attività è regolamentata da un’ordinanza municipale, la quale però imponena - udite udite! - che uomini e donne stessero separati: la distanza prescritta era di ben cento, e dico cento metri! Un bell’esempio di legge formale e non sostanziale; nulla del resto si diceva delle acque, che sono notoriamente mobili. In età fascista s’incentivò la pratica dei bagni, con strade e località costiere, e, per bambini e ragazzi, le “colonie”. Soverato era sede di un Centro di cura elioterapica. Gli abiti balneari ottocenteschi erano ingombranti, ma andarono rapidamente riducendosi; negli anni 1930, ampi perizoma per i maschi e costumi interi per le donne, ma le più coraggiose azzardavano un due pezzi, sia pure poco generoso. Le donne senza reggiseno fecero la loro comparsa verso gli anni 1980, come dovunque, anche in Calabria; però l’uso venne respinto, in Calabria come dovunque, dall’evidenza essere molto poche quelle signore e signorine che possano fare a meno di un sostegno! Il resto è cronaca dei giorni nostri.

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