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Quelle spiagge di Davoli deturpate dalla rassegnazione

Essere circondati da uno spettacolare patrimonio naturale e non riuscire a tradurlo in spinta economica. Ma soprattutto non saper avere rispetto della comunità, di se stessi, delle future generazioni. I paradossi della Calabria sono troppi, ma hanno un unico comune denominatore che, però, assume diverse sembianze: la mancanza di senso civico, l’incapacità di guardare oltre il momento, il menefreghismo e, infine, la rassegnazione. Dimostrazione lampante di questo ragionamento è quel settore turistico che dovrebbe essere, come va di moda dire fra la classe politica, “un volano di sviluppo” e che, invece, diventa la testimonianza della profonda diversità sociale e culturale fra le regioni avanzate e quelle arretrate. Mentre in Emilia Romagna basta poco per attirare visitatori da ogni dove, in Calabria, con sconfinati chilometri di coste e con paesaggi da incanto tutto sembra terribilmente complicato. Non è tanto la mentalità imprenditoriale che manca, è piuttosto l’essere in grado di vedere oltre il proprio naso ad essere carente. Cosa dovrebbero dire coloro che, ad esempio, giungono sulle spiagge di Davoli per specchiarsi nelle acque joniche e sbattono contro visioni orrende e odori a dir poco sgradevoli. Frigoriferi abbandonati per strada, brandine, rottami, bottiglie, indefinite materie plastiche, segni di “falò” occasionalmente allestiti per distruggere la spazzatura ed eliminare sterpaglie inducono a mettersi le mani nei capelli e chiedersi come sia possibile distruggere la propria immagine con spaventosa disinvoltura. Quello che fa più rabbia è una sorta di indifferenza shakerata con la scomparsa di ogni reale speranza di cambiamento. Ripassare, giorno dopo giorno, dallo stesso posto e ritrovare la medesima situazione fa toccare con mano un degrado, prima di tutto culturale, ormai dominante. E c’è chi pensa che, tanto, il problema non lo riguarda da vicino.

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