Il senato? Torniamo allo Statuto

Le istituzioni inglesi che, aristocratiche e alto borghesi, i libri spacciano per democratiche, e, medioevali, passano per rivoluzionarie, funzionarono per secoli così: il potere del re limitato da una Camera dei Comuni, con rappresentanti delle città, e una Camera dei Lord con i feudatari. Tutti i liberali europei del XIX secolo tentarono di imitarle, venendo però inficiati da una mania francese: il cartismo, cioè fissare per iscritto quello che saggiamente in Inghilterra, poi Gran Bretagna, è solo modificabile consuetudine. Il risultato fu che le costituzioni liberali e, nel XX secolo, democratiche subirono una stridente dicotomia tra norme scritte e situazioni di fatto. Lo Statuto albertino (per inciso, era simile anche la costituzione di Ferdinando II) del 1848 prevedeva una Camera elettiva (censitaria, ma elettiva), e un Senato di nomina regia, la cui funzione era di immischiarsi poco nelle piccole questioni della politica, e garantire saggezza e moderazione attraverso l’autorevolezza dei suoi membri. Presto la Camera iniziò a prevaricare, condizionando e di fatto ponendo i governi, che invece dovevano essere espressione del re. Lo lamentava nel 1897 Sidney Sonnino con il celebre articolo “Torniamo allo Statuto”. La costituzione del 1948 fece del Senato un sostanziale doppione della Camera, con qualche remota reminiscenza del passato come l’età e i senatori a vita; ma il Senato fu teatro delle stesse manovre più o meno pulite dell’altro ramo. L’effetto fu un rimpallo delle leggi tra emendamenti e modifiche. Che ora il Senato così com’è sparisca, dichiaro di essere d’accordissimo. Che alcuni vecchi costituzionalisti si schierino in difesa del 1948, rafforza con entusiasmo la mia convinzione. Fosse per me, farei un Senato albertino, con figure davvero autorevoli e con una funzione di rappresentanza dei corpi intermedi e delle realtà comunitarie e sociali, comprese le categorie produttive e le corporazioni; e con rare e fondamentali funzioni e riunioni. Intanto sparisce questo che c’è, e mi sta bene. 

 

 

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