Arresto dei presunti assassini del piccolo Cocò: il commento di Renzi

L'individuazione e l'arresto dei sicari che uccisero brutalmente Nicola "Cocò" Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato insieme al nonno ed alla compagna il 16 gennaio dello scorso anno a Cassano allo Ionio, sono stati salutati con legittima soddisfazione da Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio ha pubblicamente ringraziato gli investigatori che hanno lavorato al caso arrivando all'esecuzione dei provvedimenti restittivi compiuti stamane.  In un post su Facebook ha scritto: "Vorrei esprimere la gratitudine mia e del governo agli inquirenti, alle forze dell’ordine e a tutti i servitori dello Stato che hanno raccolto gravi indizi su killer e mandanti del terribile omicidio del piccolo Cocò, il bimbo di 3 anni ucciso e poi bruciato a Cassano allo Jonio. Niente potrà sanare il dolore per l’accaduto, ma sono e siamo orgogliosi delle italiane e degli italiani che ogni giorno combattono contro la criminalità e per la giustizia: Grazie".

Francia e Germania decidono, gli italiani pagano

“L’Italia ha riacquistato prestigio internazionale”. Una frase ripetuta ad ogni piè sospinto da esponenti del Governo, osservatori interessati ed opinionisti ancillari. Una frase con la quale si cerca di nascondere la verità cristallizzata nei dolorosi “schiaffi” ricevuti, negli ultimi anni, dal Belpaese. La storia dei Marò è solo una delle tante, una vicenda in cui i Governi che si sono succeduti non sono riusciti a far valere le ragioni dell’Italia né in termini di diritto, né in termini politici. Quanto il ruolo italiano sia marginale e subalterno, non solo sullo scacchiere internazionale, ma anche europeo, lo dimostra il mancato invito al vertice che si svolgerà stasera a Parigi ed al quale, oltre al rappresentante Ue, prenderanno parte i Ministri degli esteri di Francia, Gran Bretagna e Germania. Al responsabile della Farnesina, Paolo Gentiloni, quindi, non è stato recapitato nessun invito. Eppure, il tema dell’incontro riguarda da vicino l’Italia. Il “direttorio” composto dalle tre potenze continentali affronterà, infatti, i nodi relativi all’Iran ed alle crisi libica e siriana, tutti Paesi nei quali, gli interessi economici italiani sono storicamente rilevanti. Come se non bastasse, dalla Siria e dalla Libia, parte la gran parte dei flussi migratori che arrivano nel nostro Paese. In altre parole, le scelte fatte a Parigi ci investiranno in pieno senza che nessun rappresentante del Governo italiano abbia contribuito a determinale. A rendere ancor più grave la situazione, l’atteggiamento silente di Renzi&Co, considerati, dalle potenze europee, alla stregua di parenti poveri da teneri relegati in un angolo. Del resto, l’esclusione dal vertice di Parigi non è, affatto, un caso isolato, basti pensare al negoziato sul nucleare iraniano al quale, in rappresentanza del Vecchio Continente, hanno partecipato, al solito, Francia, Germania e Gran Bretagna. Situazione analoga a quanto accaduto nel caso della crisi Ucraina. Nel corso degli accordi di Minsk, del febbraio scorso, seduti al tavolo dei negoziati, nel ruolo di sensali, c’erano infatti le diplomazie francese e tedesca. In tutti i casi, dall’Iran all’Ucraina, l’Italia è stata chiamata a condividere il peso di scelte economiche, come le sanzioni, assunte, il più dalle volte da Francia e Germania, ovvero Paesi che, sotto il profilo commerciale, sono nostri concorrenti diretti. Il tutto nel silenzio più assoluto del Governo italiano, i cui rappresentanti esclusi da tutti i tavoli che contano, si consolano in Tv parlando del riacquistato prestigio internazionale dell’Italia. Un prestigio di cui oltre confine non si è accorto nessuno.

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M5s: "I docenti calabresi abbandonati da Oliverio"

"A differenza dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che ha impugnato la legge sulla finta buona scuola, il governatore della Calabria è rimasto immobile, obbedendo agli ordini del ducetto di Rignano, Matteo Renzi, volato a nostre spese per la finale degli Us Open". E' quanto affermano i parlamentari M5s Dalila Nesci, Nicola Morra, Paolo Parentela e Federica Dieni, per i quali "non impugnando la riforma renziana che affossa la scuola, il governatore Mario Oliverio ha confermato di agire per gli interessi di Renzi e del Pd nazionale, alla faccia dei calabresi. In grande silenzio, Oliverio aveva già rinunciato a impugnare il decreto commissariale sulla nuova rete ospedaliera, piegando il capo e la schiena agli ordini del solito Renzi, che riforma il Paese perché le banche ingrassino col lavoro e col sudore del popolo". A parere dei deputati grillini "Oliverio sta perdendo terreno ogni giorno, impantanato nella sua dipendenza totale da Roma, che non gli permetterà di agire per il bene comune. È gravissimo il suo abbandono dei docenti calabresi, ora scaricati definitivamente, nonostante in tanti lo abbiamo sostenuto alle primarie e poi alle ultime regionali".  Infine, i parlamentari M5s evidenziano le tante criticita' che stanno condizionando l'operato del Presidente della giunta regionale, a partire nella "vicenda delle nomine illegittime nella sanità, con un'inibizione netta e una storia di governo fatta di errori e irrisolti clamorosi; dal riordino degli ospedali alla gestione dei rifiuti, dal futuro del porto di Gioia Tauro ai fondi europei, dalla pulizia nell'amministrazione alle questioni del lavoro. In questo contesto, avrà pesanti conseguenze dalla nullità dei contratti dei dirigenti illegittimi. La sua poltrona scricchiola, ma soltanto lui non se n'è accorto".

Ma la Calabria può aspettare l'alta velocità?

E’ diventato l’argomento principale di questo scorcio d’estate calabrese. Da quando il Presidente del consiglio Matteo Renzi, nel corso della recente direzione nazionale del Pd, ha dato prova di aver scoperto che l’alta velocità ferroviaria non arriva a Reggio Calabria non si parla d'altro. Durante il suo intervento, Renzi ha sottolineato la necessità di far arrivare i treni veloci anche in Calabria. Ad offrire ulteriore impulso al dibattito, ci ha pensato il Ministro delle infrastrutture Graziano Delrio che, in un’intervista concessa a Repubblica, ha annunciato che non ci sarà alcuna estensione della rete sulla quale viaggiano i treni super veloci. Al limite ci potrà essere una linea meno lenta dell’attuale, ma niente di più. Ovviamente le reazioni non si sono fatte attendere. Tasversalmente si è alzato il coro dei politici calabresi che hanno reclamato la necessità di far arrivare, anche, a Reggio Calabria i treni capaci di sfrecciare a 300 all’ora. L'indignazione manifestata dalla classe politica calabrese, per il niet del Ministro, potrebbe essere apprezzabile qualora non somigliasse ad una pessima rappresentazione da teatro delle ombre. Le reazioni di questi giorni, infatti, mal si conciliano con il silenzio dei mesi scorsi, quando il Governo presentò il Def, ed in particolare l’allegato "Programma delle infrastrutture strategiche" nel quale non è stato inserito nessun progetto destinato ad ammodernare la rete ferroviaria calabrese. In altre parole, il dibattito di questi giorni è un semplice gioco delle parti. Non essendo previsto nel Documento economico finanziario del Governo alcun intervento in merito, per il prossimo futuro, in Calabria non ci sarà né alta né media velocità. Il dibattito in corso, quindi, in assenza di conseguenti misure, è poco meno di un passatempo estivo con il quale prendersi gioco dei calabresi. In ogni caso, la discussione potrebbe essere apprezzata in ragione del fatto che rappresenta un corollario al dibattito innescato dal rapporto Svimez che ha fotografato la condizione di estremo ritardo nella quale versa la Calabria. L’alta velocità rischia però di diventare un feticcio, un’effimera speranza destinata a trasformarsi in cocente delusione. Un riedizione, in chiave moderna, di quegli interventi “salvifici” più volte propagandati nel corso della Prima repubblica e la cui unica funzione era di prendere tempo. Il rischio, quindi, è che l’alta velocità diventi qualcosa di analogo alla Trasversale delle Serre, alla Salerno - Reggio Calabria o, peggio ancora, al V centro siderurgico di Gioia Tauro. Per molti, poi, la realizzazione dell’alta velocità sembra essere improvvisamente diventata la misura indispensabile per far uscire dal pantano la Calabria. Si tratta, con tutta evidenza, di una valutazione che non tiene conto del tempo necessario alla sua realizzazione. Giusto per fare un esempio, la costruzione della rete Tav tra Milano e Bologna ha richiesto 15 anni. Ad essere ottimisti quindi, tra progettazione, iter per l’aggiudicazione dei lavori e realizzazione dell'opera servirebbero almeno 20 anni. Siamo sicuri che i calabresi possano attendere tutto questo tempo?

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I calabresi si "rimbocchino le maniche". Ma per fare cosa?

La vera sorpresa è la sorpresa. I tanti, troppi, osservatori rimasti sbigottiti davanti ai dati emersi dal rapporto Svimez sullo stato della Meridione in generale e della Calabria in particolare, forse hanno vissuto su un altro pianeta. Cosa ci si poteva aspettare dai dati se non la fotografia di una realtà sempre più precaria e miserabile? La sorpresa manifestata, poi, da taluni protagonisti della vita politica rappresenta l’indicatore di quanto i partiti  siano ormai alieni rispetto alla società che pretendono di rappresentare. Per conoscere gli affanni delle famiglie calabresi, non serviva, certo il rapporto Svimez. Sarebbe stato sufficiente stare in mezzo alla gente, frequentare le piazza vuote dei paesi e le stazioni ferroviarie affollate, per constatare l’esodo in atto. Bastava sostare davanti ad un supermercato per vedere i sacchetti semivuoti con i quali i clienti ritornato a casa dopo aver comprato il minimo indispensabile. Sarebbe stato sufficiente fare la fila in un ufficio postale ed ascoltare i discorsi degli anziani, ormai, costretti a spartire le magre pensioni con i figli disoccupati. Bastava leggere sui volti di giovani e meno giovani la rassegnazione di chi ha rinunciato a cercare un lavoro che sa di non trovare. Ma loro, i marziani della politica, avevano bisogno dei dati compulsati dallo Svimez per conoscere le condizioni in cui versa la Calabria. Che dire poi, di un Presidente del Consiglio che, di fronte agli indicatori che inchiodano il Mezzogiorno al suo atavico sottosviluppo, non ha saputo dire altro che bisogna smetterla con il “piagnisteo” e che è necessario “rimboccarsi le maniche”. Gli slogan, però, possono creare suggestioni ma non risolvono i problemi. In molti hanno aspettato con ansia la direzione nazionale del Partito democratico, svoltasi venerdì scorso, per conoscere quali sarebbero state le proposte destinata a far invertire la rotta. Ma come se il Sud non avesse aspettato abbastanza, si è deciso di rinviare tutto a settembre, magari nella speranza che per quella data il rapporto Svimez sia già finito nell’orwelliano “buco della memoria”. Nel corso della direzione del partito di cui è segretario, Renzi avrebbe potuto illustrare almeno la sua idea di Sud, avrebbe potuto spiegare meglio il significato di quel “bisogna rimboccarsi le maniche” ripetuto, alla vigilia, come un mantra.  “Rimboccarsi le maniche”, ma per fare cosa? Prendiamo ad esempio la Calabria. Nel corso della Prima repubblica i partiti che componevano l’arco costituzionale si sono prodigati nell’arte della clientela che ha trasformato gli artigiani in uscieri, i commercianti in bidelli, i piccoli imprenditori in portantini. In cambio di consensi a buon mercato, è stato distrutto, per sempre, quel poco di tessuto economico che la Calabria ancora deteneva. Così, mentre, nelle regioni più dinamiche del paese lo Stato ha investito in infrastrutture con le quali sono state create le condizioni per una duratura crescita della produzione, in Calabria le risorse sono state dilapidate per generare stipendifici. Il risultato è che, oggi, la quota di prodotti esportati dalla Calabria è tre volte inferiore a quella della Basilicata, che ha un terzo degli abitanti. Come se non bastasse, la percentuale di valore aggiunto prodotto dall’industria non va oltre il 7,6%. Dati che non lasciano alcun dubbio, da un punto di vista produttivo la Calabria è un deserto. Ridotte al minimo le possibilità di sistemazione nel pubblico impiego e senza un tessuto economico capace di generare ricchezza ed occupazione, il dilemma che i giovani hanno davanti è semplice “che fare?”. “Rimboccarsi le maniche”, ma per fare cosa? La soluzione meno fantasiosa, quella a più a buon mercato, vuole che la Calabria possa vivere di turismo. Ma andiamo a spiegare ad un turista che per arrivare da Roma a Reggio Calabria in treno, si impiega più tempo che per andare in aereo ad Ibiza o nelle isole dell’Egeo. Che l’alta velocità in Italia esiste, ma non va oltre Salerno. Sì certo, in Calabria si può arrivare anche in aereo, peccato che chi esce, ad esempio, dall’aeroporto di Lamezia Terme non sa più dove andare. La rete di trasporto pubblico calabrese è, infatti, soltanto un buco nero, l’ennesimo carrozzone, in cui far sparire risorse. Cercare un autobus, una fermata, o una palina con gli orari e le destinazioni delle corse non è difficile, è inutile.  Un’altra soluzione che viene proposta con una certa regolarità, è lo sviluppo del settore agroalimentare, peccato che in molte realtà calabresi non esistono neppure le strade sulle quali far viaggiare le merci. In un conteso del genere, la politica deve riappropriarsi del proprio ruolo. Se ne è capace deve costruire un progetto, immaginare un futuro e lavorare per realizzarlo. Si tratta di un sfida ardua che non può essere vinta con gli slogan, tantomeno con le ricette già viste. Non servono, infatti, interventi a pioggia che, tanto, finirebbero nelle tasche dei soliti “prenditori”. Quel che occorre, in via prioritaria, è un piano di infrastrutturazione generale ed un intervento finalizzato a portare su livelli europei i tassi d’interesse praticati dalle banche che operano in Calabria. Infine, sarebbe, forse, il caso d’iniziare ad immaginare l’istituzione di un’area regionale dotata di una fiscalità di vantaggio, in maniera tale da attrarre gli investimenti necessari per creare le condizioni generali affinché i calabresi possano, finalmente, avere una ragione per “rimboccarsi le maniche”.

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L’ok di Oliverio al percorso di Renzi sul Mezzogiorno

Il presidente della giunta regionale Mario Oliverio è intervenuto alla direzione straordinaria del Pd dedicata al Mezzogiorno. Di seguito, il testo completo del suo discorso: 

Mi convince molto il percorso indicato da Matteo Renzi per approfondire un’iniziativa che assuma il Mezzogiorno, come qui è stato detto, come risorsa. Nel percorso che Renzi ha indicato, c’è una risposta chiara a quanti pensavano che la riunione di oggi fosse solo un fatto meramente mediatico o un fuoco di paglia. Credo, invece, che il percorso indicato, ci farà approdare a settembre, prima dell’approvazione della Legge di Stabilità, ad una assunzione di proposte, di misure che contribuiranno a rendere concreta questa discussione. È chiaro che tutto quello che viene “squadernato” dalla Svimez è una novità solo per quanti non conoscono il Mezzogiorno o che, in questi anni, nel lungo periodo che abbiamo alle spalle, sono stati con la testa tra le nuvole. Il Mezzogiorno, qui è stato ricordato, da almeno un quindicennio è stato cancellato dall’attenzione del Paese. E, nel corso di questi anni, c’è stato un progressivo aggravamento della condizione economica e sociale e un progressivo allargamento del “gap” tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese. Vorrei ricordare che nel 2008, l’anno dell’inizio della crisi più acuta che hanno vissuto l’Europa ed il nostro Paese, c’ è stata un’ulteriore linea di demarcazione che ha accelerato questo aggravamento e questo “gap”. Io potrei dire che, per quanto riguarda alcune realtà, perché i “Sud” si esprimono in modo variegato ed esprimono anche contraddizioni diverse, ci sono le luci e le ombre in questa articolazione. Ci sono grandi eccellenze che vengono occultate e travolte da stereotipi che proiettano un’immagine sempre e solo negativa del Mezzogiorno, ci sono punti anche di maggiore sofferenza. A proposito dei dati che ci offre la Svimez, ce ne sono alcuni che sono addirittura edulcoranti della realtà. E mi riferisco, per esempio, al dato della disoccupazione giovanile. La Svimez ci dice che solo un giovane su quattro lavora nel Mezzogiorno. Ci sono alcune realtà come la mia, come la Calabria, in cui le condizioni di disoccupazione sono largamente più gravi. E’ stato questo un processo che nel corso degli anni ha determinato progressivamente questa condizione. Per non parlare della povertà. In Calabria, nel solo triennio 2011-2013, centosettantamila persone hanno abbandonato la Calabria e sono, in grande parte, giovani e ragazze. Nel solo 2013, quattordicimila giovani sono andati fuori mantenendo la residenza in Calabria. Questo è il viatico di un fenomeno che tende ad allargarsi e a determinare una condizione di desertificazione. Altro che ribellismo! Il vero problema con cui dobbiamo fare i conti non è la protesta sociale, ma il fenomeno della desertificazione sociale. Il secondo punto su cui sono molto d’accordo con la relazione di Renzi riguarda la necessità di riflettere sul perché nel corso di questi venti anni c’è stata una caduta di attenzione sul Mezzogiorno. Nel fenomeno del leghismo c’è stata, a mio parere, una concentrazione di egoismi territoriali che ha proposto una “questione settentrionale” che c’è, esiste e sarebbe sbagliato rimuoverla. Tale “questione”, però, è stata assunta con un approccio sbagliato nel corso degli anni perchè ha riproposto una visione dualistica della crescita e dello sviluppo del Paese. E, allora, dare una risposta a tale questione significa assumere un’ impostazione che guardi alla crescita complessiva del Paese ed al Mezzogiorno come risorsa, come grande potenzialità. Dico questo non in modo astratto, ma perché sono modificate le condizioni di contesto. Oggi parlare del Mezzogiorno non significa riproporre la vecchia “questione meridionale”, per come è stata affrontata nell’immediato dopoguerra. Oggi parlare del Mezzogiorno, come risorsa per il Paese, significa proiettarsi verso il Mediterraneo, verso la riva Sud del Mediterraneo, la nuova frontiera dello sviluppo. In questo quadro dobbiamo guardare al Mezzogiorno come risorsa ed essere consequenziali, assumendo nelle strategie nazionali il Mezzogiorno come punto da cui partire. Non per riproporre, ammesso che ce ne fossero le condizioni economiche ed i margini, vecchie e fallimentari ricette. Il Mezzogiorno non ha bisogno di assistenzialismo. L’assistenzialismo è stato il primo nemico del Mezzogiorno, perché ne ha ripiegato e mortificato le potenzialità. Noi abbiamo bisogno di un grande progetto innovativo da mettere in campo. In questo senso dobbiamo articolare questo seminario, da te proposto per il mese di settembre, in direzione delle infrastrutture e della logistica. Non è possibile pensare ad un Paese che cresce insieme, se da Reggio Calabria a Roma s’impiega ancora il doppio del tempo che si impiega da Roma e Milano. Non è più concepibile questo stato di cose e mi ha fatto molto piacere che tu abbia posto questa questione. Nella legge di stabilità noi dovremo assumere la TAV fino a Reggio Calabria per la Sicilia. Dobbiamo assumerla come l’infrastruttura che dovrà consentire la ricomposizione del Paese e anche la sua proiezione verso il Mediterraneo. Bisogna puntare, poi sulle reti, sull’ultrabanda larga su cui noi stiamo già lavorando e su cui bisogna investire. E ancora: su Gioia Tauro che è la infrastruttura portuale di transhipment più importante della riva europea del Mediterraneo. Ieri c’è stata l’ inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez, un punto su cui non possiamo non fare una riflessione. Nell’arco di tre anni saranno triplicati i traffici. Chi li intercetterà? Come saranno intercettati? Gioia Tauro è un’ infrastruttura pronta. La portualità italiana deve porsi come punto di intercettazione di questi traffici. Per fare questo è necessario assumere iniziative che possano anche valorizzare l’entroterra. Penso, per esempio, alla Zona Economica Speciale. E ancora: bisogna porre mano ad un grande progetto per la sistemazione idrogeologica. La mia è la regione più sofferente da questo punto di vista. Penso, infine, che noi dobbiamo definire strumenti per offrire un quadro di convenienza agli investitori e agli investimenti. Dobbiamo agire sulla fiscalità, su forme di automatismo come, per esempio, il Credito d’Imposta, che sgancino sempre di più il rapporto con l’economia dalla mediazione politica. Si fa presto a dire che occorre bonificare. La bonifica deve passare attraverso strumenti che riducano ai minimi termini la mediazione della politica. E in questo quadro bisogna pensare ai grandi attrattori. Penso per esempio ad un grande progetto per i Beni Culturali e per l’Ambiente, ai grandi servizi e ad una maggiore presenza dello Stato per garantire legalità e contrasto alla criminalità. Credo che le risorse comunitarie disponibili per il Mezzogiorno e per il nostro Paese devono essere utilizzate al meglio, facendo in modo che dentro il Mezzogiorno ci sia la necessaria rottura con un passato che ha macinato risorse, determinando degrado e sacche di assistenzialismo e marginalità. E perciò ritengo che dobbiamo pensare ad una “task force” che, presso la Presidenza del Consiglio, coordini la parte dell’intervento strategico nazionale con gli strumenti operativi delle Regioni per quanto riguarda la utilizzazione delle risorse della Unione Europea in direzione di un grande progetto di formazione per i giovani e per creare le condizioni di uno sviluppo auto propulsivo. Rigore e competitività. Hai fatto bene a ricordare che noi abbiamo, come Pd, una grande responsabilità. Abbiamo la responsabilità del governo del Paese e di tutte le regioni del Mezzogiorno Su questo terreno ci giocheremo grande parte della prospettiva e del futuro. Sul terreno della capacità di rimettere in moto, di accendere un nuovo sviluppo autopropulsivo del Mezzogiorno noi ci giochiamo molto. Credo che anche le scadenze che abbiamo davanti devono essere al centro della nostra attenzione e credo che il confronto, spostato su questo terreno, di per sé libererà il campo dal politicismo, dalle strumentalizzazioni strumentali e da una discussione interna che, invece di liberare le potenzialità dell’iniziativa del Pd, rischia di comprimerle e di farle implodere. Il Mezzogiorno c’è. Ci sono amministratori del Pd che vogliono, attraverso nuove pratiche di governo e discontinuità rispetto al passato, contribuire a fare crescere la terra e le comunità che amministrano e dare un contributo alla crescita di tutto il Paese perché il Mezzogiorno da problema possa diventare risorsa. E’ una sfida grande, una sfida per la quale vale la pena impegnarsi. Grazie.

La benedizione di Renzi su Oliverio: “Ha fatto benissimo”

Sembrava un rapporto compromesso, visto il susseguirsi di tensioni negli ultimi mesi. E, invece, almeno a parole, arriva la benedizione di Matteo Renzi sul governatore della Calabria Mario Oliverio. Pungolato da un lettore dell’Unità sulla formulazione della nuova giunta calabrese da parte del “lupo di San Giovanni in fiore”, il premier ha affermato: “Non bene, benissimo. Dai, Mario. Il Pd è con te”. Musica per le orecchie del capo dell’esecutivo di palazzo Alemanni che ha vissuto un inizio di legislatura da incubo, fra ritardi nella proclamazione degli eletti, modifiche dello Statuto, inchieste della magistratura e beghe interne al suo partito. Ora il plauso del segretario nazionale del Pd che è anche il presidente del consiglio dei ministri. Ma è evidente che dietro la giunta composta da donne e docenti universitari, ci sia qualche manina romana, che ha chiesto e ottenuto la sua (grandissima) parte.

Renzi gela Oliverio: impugnato il collegato alla finanziaria regionale 2015

Il Consiglio dei Ministri ha esaminato stasera  23  leggi delle Regioni e delle Province Autonome. Per 4 è stata deliberata l’impugnativa: disco rosso, in particolare, per la Legge della Regione Calabria n. 11 del 27/04/2015, “Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e procedurale (collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2015)”, in quanto “alcune disposizioni riguardanti le prestazioni sanitarie interferiscono  con i poteri del Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e, conseguentemente, violano l’articolo 120 della Costituzione. Tali disposizioni contrastano inoltre con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica e di tutela della salute, in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione”.

 

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