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"La Spallata", il giorno dopo: cosa ha detto la manifestazione del centrodestra

Erano pochi, molti di meno di quanto si sperasse o si temesse, a seconda dei punti di vista. No, erano tanti, molti di più di quanto si sperasse o si temesse, a seconda dei punti di vista. La querelle sul numero di persone presenti davanti a Palazzo San Giorgio da associazioni, movimenti e partiti di centrodestra fieramente oppositori dell'Amministrazione Falcomatà è materia che può appassionare soltanto la folta schiera di coloro che hanno scarsa dimestichezza e familiarità con le dinamiche della Politica e non sapendo armeggiarne gli arnesi essenziali si sfoga discettando di alchimie matematiche. Quello che resta della manifestazione ideata ab origine da Enzo Vacalebre, presidente di Alleanza Calabrese, è, invece, una messe di contenuti, alcuni di segno positivo, altri meno, da cui partire per dipanare un ragionamento di prospettiva che sappia andare oltre la quantità di partecipanti. Detto per inciso, e proprio per non lasciarsi affogare dalla volgare diatriba aritmetica, indipendentemente da quanti fossero i reggini accorsi in piazza, ci si trova comunque di fronte ad un successo in un periodo storico in cui un qualsiasi esponente politico "ufficiale" a queste latitudini faticherebbe anche solo a riunire quattro amici al bar per un aperitivo chic. Come già anticipato in occasione della conferenza stampa di presentazione dell'evento, nessuno fra i soggetti politici aderenti riteneva di poter e di dover assumere un ruolo diverso rispetto a quello della sirena che, cominciando ad echeggiare per le strade, avverte del pericolo e dell'emergenza. Immaginare altro sarebbe stato ingenuo e potenzialmente foriero di un effetto boomerang ingeneroso nei confronti dell'impegno profuso dagli stessi promotori dell'iniziativa. Partendo da questo assunto, forse, sarebbe stato più opportuno scegliere un titolo meno evocativo, ma ugualmente efficace, de "La Spallata" perché è al suo più stretto significato che gli avversari si sarebbero appigliati, come è puntualmente accaduto nelle ore successive e come era prevedibile che fosse. La galassia del centrodestra, e non solo a Reggio Calabria, sta vivendo, peraltro con molte evidenti difficoltà, una fase di transizione e di metamorfosi in cui il rischio maggiore è costituito dalla permanenza in mezzo al guado. Scegliere fra populismo e liberalismo, fra lotta e governo, è un'urgenza che si appalesa in modo chiaro nella città dello Stretto come a Roma, a Milano come in Sicilia. La momentanea uscita di scena di Giuseppe Scopelliti ha lasciato in loco uno stuolo di orfani, esattamente come l'abbandono sostanziale di qualsiasi ruolo attivo da parte di Silvio Berlusconi ha sancito un'implosione le cui schegge impazzite stanno ancora vagando senza avere trovato una collocazione precisa. La cartina di tornasole, sia pure in un ambito limitato come quello di un incontro pubblico locale, è data dalla assenza di quasi tutti i consiglieri comunali che sono stati eletti per sedere sui banchi di centrodestra. Ad eccezione di Lucio Dattola e Massimo Ripepi, nessuno ha sentito la necessità ed il dovere di intervenire. Un gesto che, sul piano squisitamente politico, non può essere minimizzato tanto abnorme è il suo significato simbolico gravido di effetti a partire da oggi. Un atto grave, da qualunque angolazione lo si voglia osservare, perché se quella di ieri doveva essere la scintilla in grado di accendere il fuoco di un percorso comune, la mancata presenza della gran parte dei rappresentanti istituzionali dell'opposizione ne mette in dubbio anche il ruolo stesso. Una sorta di autodelegittimazione incomprensibile che, probabilmente, ha reciso, in maniera definitiva, il legame tra la base e quella che avrebbe dovuto essere la sua longa manus fra gli scranni di Palazzo San Giorgio. Se e quando l'azione di contrasto ad una maggioranza, di qualsiasi colore, si canalizza all'esterno dei luoghi deputati, il pericolo di radicalismo velleitario è sempre dietro l'angolo ed è questa la colpa maggiore in capo agli eletti di centrodestra che sabato pomeriggio hanno scelto di disertare. A maggior ragione che non è chi non veda un grado di insoddisfazione galoppante nei confronti dell'Amministrazione Falcomatà. Sostenere il contrario è, molto semplicemente una menzogna che non rende il giusto  merito alle (poche) persone fisiche capaci e ricche di passione politica che pure appartengono allo schieramento della maggioranza di centrosinistra. Gli errori commessi nel primo anno di consiliatura sono tanti e sarebbe qui inutile tornare ad elencarli tutti, ma se sono stati così marchiani nella loro somma ingenuità o presunzione è anche in virtù di un'accondiscendenza eccessiva da parte di chi, per preparazione ed intelligenza, si può, a buon motivo, sedere parecchi gradini sopra la media di una squadra assai deficitaria. In un contesto generale così sconclusionato ha, quindi, gioco facile, ad imporsi una figura come quella di Massimo Ripepi che, prescindendo dalle posizioni, ha la forza, personale e strutturale, di esprimere con nettezza posizioni buone per infiammare la piazza. E' stato così anche sabato pomeriggio nella circostanza designata per rappresentare, coram populo, il dissenso rispetto agli strafalcioni contestati agli attuali amministratori. Terminato il raduno, rimane, in ogni caso, la coscienza, in seno ai fautori della dimostrazione pubblica, di aver centrato l'obiettivo della vigilia. E' un  punto di partenza. Se basterà sarà solo il futuro prossimo a dirlo. In fondo, se la frase che in poche parole racchiude il senso pieno dell'adunata in Piazza Italia è quella urlata da Vacalebre: "Reggio muore di fame e loro se ne fottono", lo spazio sociale da riempire di contenuti e risposte ha confini di ampiezza siderale. Le forze politiche, esistenti o di là da venire, che lo sapranno colmare, conquisteranno il Santo Graal della fiducia consapevole nascosta fra le pieghe di un'opinione pubblica sempre più rabbiosa, sempre più  disincantata. 

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